Candy di Mian Mian: dipendenze, abusi e amori acidi

Candy di Mian Mian: dipendenze, abusi e amori acidi

Reading Time: 8 minutes

That’s how chemicals are. You feel great for a while, but afterward all the bullshit that’s been troubling you comes back in full force, and you find yourself in even deeper shit than before.

Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, p. 216.

È la regina della vita notturna di Shanghai, è una vera party queen ed è una delle scrittrici cinesi che per prime hanno scalfito la muraglia di tabù che permeano la società cinese. Il suo nome è Mian Mian.

Nata a Shanghai nel 1970, a soli diciassette anni decise di abbandonare gli studi per trasferirsi in quella che, all’epoca, era ancora una Shenzhen in fase di sviluppo, simbolo della corsa alla modernizzazione della Repubblica Popolare Cinese.
Tornata nella sua città natale nel 1995, si avvicinò al mondo della musica e alla scrittura.

Nel luglio del 1997 pubblicò a Hong Kong il suo primo racconto, La la la, contenuto in Nove oggetti di desiderio, una raccolta di racconti pubblicata da Einaudi nel 2001 e unica traduzione italiana di alcune sue opere.
Il vero successo, però, giunse nel 2000 quando, nel mese di gennaio, venne dato alle stampe Candy, il suo primo romanzo. Disponibile nella traduzione inglese pubblicata da Little, Brown and Company, dopo soli tre mesi dalla sua pubblicazione, il romanzo venne censurato dal governo a causa dei contenuti, ma continuò a circolare grazie a numerose copie pirata.

Candy è un’opera originale in senso lato: i personaggi e gli eventi narrati riprendono e ampliano le vicende di La la la e, a loro volta, costituiscono la base del racconto I bambini buoni avranno le caramelle del 2002.
Candy non è un’opera perfetta. Talvolta capita di perdere il nesso tra le parti e la componente temporale si fa così indefinita che il tempo stesso sembra non trascorrere, ma il linguaggio sfrontato e le tematiche trattate lo rendono un romanzo simbolo della letteratura cinese degli anni Duemila.
Fin dalle prime pagine è impossibile non pensare a Ruined City di Jia Pingwa, romanzo del 1993 in cui gli atti sessuali narrati sono stati censurati dall’autore stesso, il quale ha sostituito i caratteri con dei quadrati bianchi. Al contrario, Mian Mian è diretta e descrive senza censure le problematiche della sua generazione e di quelle future.

Inghiottire caramelle

This book exists because one morning as the sun was coming up I told myself that I had to swallow up all the fear and garbage around me, and once it was inside me I had to transform it all into candy.

Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, p. XI.

Sebbene l’autrice abbia più volte ribadito – e lo fa anche in chiusura del romanzo – che le vicende narrate in Candy non siano la storia della sua vita, è impossibile non fare un paragone tra le sue esperienze e quelle che Hong, la protagonista, vive nei diciannove capitoli che compongono l’opera, contrassegnati con le lettere dalla A alla S.

Hong, proprio come Mian Mian, dopo il suicidio dell’amica Lingzi, abbandona la scuola e si trasferisce da Shanghai a Shenzhen, città che nel romanzo viene indicata come South. È il 1987 e Hong dichiara: «I was only sixteen, but my life was over. Fucking over». (Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, p. 8.)

Nella metropoli, la vita di Hong, dopo l’incontro con Saining, un musicista in erba, inizia a deteriorarsi. L’abuso di droghe e di alcol e la partecipazione a un mondo fatto di relazioni promiscue portano la protagonista a condurre un’esistenza vuota, a far affidamento sul padre per poter sopravvivere economicamente e a dover rinunciare al sogno di diventare una cantante.
La discontinua relazione con Saining che, a fasi alterne, si dipana per l’intero tempo della narrazione – la quale si conclude nel 1999 –, costituisce il fulcro del romanzo. Da essa si diramano situazioni che molti giovani appartenenti alla generazione degli anni Ottanta hanno vissuto sulla propria pelle.
Sono gli anni in cui la Cina, dopo la fine del maoismo, si apre alla cultura occidentale. La musica pop e l’underground rock fanno il loro ingresso, soprattutto per vie illegali, nel Paese. Madonna, i The Doors, i Radiohead e i Nirvana sono alcuni degli artisti che hanno influenzato l’autrice: i versi delle loro canzoni, alternati a quelli dei poeti di epoca Tang, compaiono tra le pagine del romanzo.

Mian Mian
Mian Mian

Chase the dragon

La musica è l’elemento che unisce indissolubilmente le vite di Hong e Saining. Lei, appena arrivata nella città che si affaccia sul delta del Fiume delle Perle, trova lavoro come cantante in un nightclub; lui, assieme all’amico Sanmao, suona in una rockband.
Il loro, agli inizi, sembra essere un amore sincero, ma col tempo si tramuta in un amore acido – come il titolo di un racconto di Mian Mian – e carnale

In the restaurant toilet I grasped his penis in my hand, and I suddenly felt upset when I realized that I’d hardly ever taken the initiative with him. It was 1992, I was twenty-two years old, and I was so useless. This made me start crying all over again. […] I swallowed, and with his semen inside me, I found myself again.

Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, pp. 47-48.

Saining si rivela un ragazzo infedele, incapace di amare una persona soltanto, ma allo stesso tempo non è in grado di staccarsi da Hong. Dal canto suo, lei è sempre disposta a perdonare Saining, a scavare dentro di lui per trovare quel che c’è di buono, ad aiutarlo, anche se tutto ciò la porterà sulla via dell’autodistruzione.

Sono entrambe persone autodistruttive, e la loro inesorabile rovina ha inizio con una canna; ma ben presto si trasforma in alcolismo e dipendenza da eroina, prima per Saining e poi per Hong.
È con queste parole che la protagonista descrive la sua prima esperienza come “cacciatrice di draghi”: «He put a bit of faintly yellowish powder on some tinfoil and showed me how to “chase the dragon”. […] When I passed out, my body had already dissolved, and my nose was full of the odor of the photographic developing chemicals. Heroin was icy cold […] and my body and mind became supersensitive». (Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, p. 72.)

La dipendenza dall’eroina le rovina le corde vocali, costringendola a smettere di cantare, e nel 1993 viene rinchiusa per la prima volta in una clinica di disintossicazione a Shanghai. Sì, esatto, la giovane viene rinchiusa. I tossicodipendenti, nella Cina degli anni Novanta, erano ritenuti dei deviati, venivano internati negli ospedali psichiatrici e subivano gli stessi trattamenti riservati ai pazienti, come l’elettroshock; alcune delle donne confinate con Hong sono delle assassine.
Ricaduta nella dipendenza, nel 1995 suo padre la riporta a Shanghai. La vita di Hong si intreccia nuovamente con quella dell’autrice: quell’anno, Mian Mian stessa ritorna nella sua città natale per disintossicarsi.

Ladies’ Room

Attorno ai due protagonisti ruotano una serie di personaggi secondari le cui storie costituiscono uno spaccato della società cinese di quegli anni. Tra questi vi sono Qi, una cocktail hostess, e Little Shanghai, una chicken.
Entrambe originarie di Shanghai e con un basso livello di istruzione, come la protagonista, hanno abbandonato la metropoli sul mare per cercare fortuna a Shenzhen. Sono delle prostitute, hanno un talento naturale nel vendere il loro corpo, ma esiste una sorta di gerarchia in base alla quale le chickens si trovano a un livello inferiore: «Most of the women were like Qi, hostesses who worked in the nightclub […] made most of their money in tips from the clients they joined for drinks. […] They thought of themselves as hostesses, while Little Shanghai was just a chicken, a cheap whore». (Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, pp. 105-106.)

Qi lavora nel locale in cui Hong si esibisce come cantante, ed è una delle tante amanti di Saining; Little Shanghai, invece, è fidanzata con un malavitoso che la obbliga a prostituirsi in un hotel della città, dove accoglie i clienti nell’ascensore della struttura: «The elevator was her world, and I remember it as the window on her life». (Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, p. 105.)

Le vite di queste due giovani ricordano una delle opere cinesi più singolari del XXI secolo: Ladies’ Room della defunta Cui Xiuwen.
Ladies’ Room è un video del 2000 girato, con l’ausilio di una microcamera, nel bagno di uno dei nightclub più esclusivi di Pechino. L’opera si focalizza sui momenti passati davanti allo specchio dalle donne che lavorano nel club: chi si rifà il trucco, chi risponde alle chiamate dei clienti, chi conta gli incassi. Le donne, in questa sorta di limbo rappresentato dalla toilette, possono ritagliarsi alcuni momenti di solitudine ed evadere, anche se per poco, dalla loro vita. Ignare della telecamera, sono libere di essere loro stesse.

Ladies' Room
Cui Xiuwen, “Ladies’ Room”, 2000, still da video, video, 6’25”.

Il timore della sieropositività 

In un universo letterario popolato da personaggi promiscui, una possibile esposizione a malattie sessualmente trasmissibili diviene realtà.
Il capitolo N è il più coinvolgente del romanzo, e ruota attorno alla figura di Bug, amico di Hong. Come la protagonista, anche Bug è un tossicodipendente – la sua droga preferita è un medicinale di cui non si conosce il nome, ma che viene indicato come «three-yuan bottle of pills» – e un animo libero avvezzo a consumare rapporti sessuali non protetti.

[…] How could you have AIDS? That’s impossible!
Why is it impossible?
Well, in the first place, you’ve always used a condom.
I’ve never used a condom.
[…] How could you not use a condom?
I don’t like them.
Who does? That’s not the point. […] It’s not who you screw; it’s how you do it.

Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, pp. 218-219.

A causa di una febbricola durata due settimane, accompagnata da diarrea e dall’ingrossamento di un linfonodo, si insinua in Bug il timore di aver contratto l’HIV. Il lettore viene così intrappolato nel turbinio di ansie e paure che il personaggio si trova ad affrontare: il terrore di morire, il terrore di essere abbandonato, il terrore di essere ghettizzato.

La percezione distorta dell’HIV che la società cinese degli anni Novanta aveva, e che affiora dalle pagine di questo capitolo, era dovuta alle scarse informazioni che circolavano in merito alla malattia, ed era al tempo stesso causa ed effetto del timore di essere etichettati, arrestati e banditi dalla comunità. Un’amica di Bug, dopo aver visto un documentario sulla malattia, afferma che: «You can’t just go anywhere for testing. If you’re positive, they’ll haul you off and banish you to some deserted island, and they’ll never let you go». (Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, p. 220.)

I personaggi coinvolti in questa situazione incarnano la disinformazione che, purtroppo, altera la percezione di questa patologia. Hong e Bug, in primis, sembrano non conoscere la differenza tra HIV e AIDS, tant’è che Bug stesso dichiara più volte di essere affetto da AIDS, chiedendo all’amica in quale ospedale può effettuare il test per l’AIDS. Sarà un medico pechinese a fornire loro le informazioni corrette sulla malattia.

La forza della scrittura

Uscita dal centro di riabilitazione, Hong si stabilisce definitivamente a Shanghai; Shenzhen diventa un ricordo. È la metà degli anni Novanta, e la vita del personaggio si intreccia ancora una volta con quella di Mian Mian.
È in questo contesto che la scrittura, per entrambe – personaggio e autrice –, si fa misericordiosa, diventa un elemento salvifico, di liberazione e di espiazione.

Writing came to me on doctor’s orders. Really I was writing simply to gain a clearer understanding of myself, I wrote for myself, for my good friends, and sometimes for men with whom I’d once been close. As I wrote, I became more ambitious, and I wanted lots of people to read what I wrote — I wanted the whole world to see what I’d written.

Mian Mian, Candy, New York, Boston, London, Little, Brown and Company, 2003, p. 184.

Grazie alla scrittura, le due donne riescono a trovare il proprio posto del mondo, a esprimere loro stesse, ad alimentare quel barlume di speranza che le mantiene in vita, ad avere la forza di andare avanti.

Illustrazione e rielaborazione grafica a cura di Caterina Cornale.