Le eterne dilettanti: storie di donne e sport

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Il primo anniversario della Galleria è stato festeggiato in maniera eccellente. Anniversario significa anche guardarsi indietro e vedere la strada percorsa, quanto lavoro è stato fatto, ma non siamo ancora al Gran Premio della Montagna: la salita è ancora lunga. In questo mese di giugno in cui la vita sembra tornare alla normalità, anche noi abbiamo deciso di rilassarci e per questo scrivere di diverse tematiche. La Divulgatrice, grande appassionata di sport, ha deciso di scrivere proprio su questo tema e di quanto sia difficile essere una sportiva, soprattutto ai tempi del coronavirus.

Lo sport come scuola di vita

Lo sport, praticato a ogni livello e da ogni persona secondo le proprie possibilità, non è solamente un passatempo, bensì rappresenta un’attività altamente formativa ed educativa. Lo sport insegna a conoscere il proprio corpo e le proprie emozioni, a stimolare un’organizzazione efficiente del proprio tempo, ma soprattutto educa alla socialità e al rispetto per le altre persone. In questo momento particolare, dopo lunghi mesi di stop forzato di ogni attività, è doveroso parlare di questo argomento. L’attività fisica è molto importante in tutte le fasce d’età, non solo per la salute fisica ma anche per quella mentale. Anche la sottosegretaria di Stato con delega allo sport Valentina Vezzali, ex schermitrice olimpica, ha recentemente sottolineato la necessità di ripresa per il settore sportivo, durante il suo discorso per la presentazione del Recovery Plan avvenuta in marzo: «dobbiamo lavorare tutti insieme, affinché, dopo questa pandemia, la nuova normalità veda una popolazione ancora più sportiva e dedita a uno stile di vita attivo». La dispersione sportiva è maggiormente accentuata nell’età adolescenziale, soprattutto tra le ragazze. Le cause possono essere svariate, ma certamente il fatto che la valorizzazione dello sport non sia una priorità per l’istituzione scolastica rappresenta lo scoglio maggiore. Le ragazze risentono maggiormente di questa carenza anche a causa delle poche possibilità offerte loro al di là delle consuete discipline sportive considerate, in maniera stereotipata, tipicamente femminili.

I bambini a calcio e le bambine a danza

Questo luogo comune purtroppo non è molto distante dalla realtà che viviamo quotidianamente. Le bambine e ragazze possono trovarsi in difficoltà nella scelta della propria attività sportiva nel caso in cui questa esuli da quelle ordinarie. L’immaginario collettivo, infatti, è intriso di stereotipi di genere anche per quanto riguarda lo sport ed è costantemente alimentato dalle immagini trasmesse dai mezzi di comunicazione, in cui la fisicità delle atlete è talvolta più importante dei loro risultati sportivi. In alcune situazioni le donne addirittura non sono ritenute all’altezza di praticare determinate attività sportive. Emblematico il caso della comica Aurora Leone, che tanto scalpore ha suscitato perché si è permessa di dichiarare di essere stata invitata ad allontanarsi dalla cena celebrativa di un evento calcistico benefico solo perché donna. Il gioco del pallone per eccellenza ci ricorda anche che non esiste parità nemmeno quando si parla dello stesso sport. La notorietà acquisita a livello mediatico dalla nazionale femminile di calcio, durante gli ultimi Europei, è stata unicamente dovuta al fatto che la rispettiva squadra maschile non si fosse nemmeno qualificata. Nonostante le premesse non siano state delle migliori, però, le ragazze di Milena Bartolini nel corso del torneo hanno conquistato l’intera nazione. Speriamo questo possa essere un primo passo per smantellare gli stereotipi legati alle donne nello sport, che sono così profondamente radicati da interessare persino la vita sessuale delle atlete.

«Non ho niente da nascondere però di base sono fatti miei. Quello che deve interessare è se gioco bene a pallavolo, non con chi dormo»: queste le dichiarazioni di Paola Egonu, giocatrice di punta della nazionale di pallavolo, durante un’intervista riguardo la possibilità di essere la portabandiera alle prossime Olimpiadi di Tokyo 2021.

Il valore D.

Ancora oggi atlete con carriere sportive floride e palmarès degni di nota non posso vantare nemmeno le minime tutele lavorative. In campo femminile, infatti, solo poche sportive sono riconosciute come professioniste. Le altre, nonostante abbiano fatto dello sport il loro lavoro, sono considerate dilettanti. Diretta conseguenza di questa categorizzazione è la disparità di retribuzione rispetto ai colleghi maschi. L’unica possibilità di contributo economico straordinario di cui possono usufruire sono le sponsorizzazioni, che ovviamente sono riservate solo alle atlete già note al grande pubblico. Inoltre, le sicurezze a lungo termine, che cioè si protraggono anche dopo il termine della carriera sportiva, sono del tutto assenti. È necessario specificare quanto quest’ultimo fattore sia comune alla maggior parte di atleti e atlete che praticano sport considerati minori. L’unica soluzione per loro è l’ingresso nei gruppi delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine, che comunque è riservato solo a persone con grandi meriti sportivi. Inoltre, plurimi episodi si potrebbero citare per dimostrare la difficoltà delle donne nel far conciliare la vita sportiva con quella famigliare. In primis dovrebbe far pensare la scelta della regina del tennis, Serena Williams, di annunciare la propria gravidanza solamente dopo aver giocato e vinto gli Australian Open nel 2017. In tempi recenti invece hanno fatto scalpore le dichiarazioni rilasciate sui social network dalla pallavolista Lara Lugli. La giocatrice ha denunciato la paradossale situazione accadutale dopo aver scoperto di essere incinta, quando è stata denunciata per inadempimento del contratto dalla società per la quale giocava. Non si tratta solamente di diritto alla maternità, ma di ogni minima tutela garantita a qualsiasi lavoratrice, come pensioni, assicurazioni per infortunio e periodi di malattia retribuiti.

La situazione sembra essere in miglioramento anche grazie al lavoro di Assist (Associazione Nazionale Atlete), che si occupa di tutelare i diritti delle sportive, e al decreto legislativo n. 36 del 28 febbraio 2021, che istituisce un fondo per il professionismo negli sport femminili per aiutare le società sportive a pagare i contributi delle atlete e a promuovere la parità di genere a tutti i livelli.

Le intrepide

La storia ci insegna che le donne da sempre combattono per vedere riconosciuti i propri diritti e così è anche nel mondo sportivo. Celeberrima la foto di Kathrine Switzer, la prima donna che tentò di combattere il sistema riuscendo a iscriversi e portare a termine la maratona di Boston del 1967. Prima di lei molte altre atlete cercarono di abbattere le barriere imposte loro dalla società. Nel panorama nazionale non possiamo evitare di citare Alfonsina Morini, conosciuta con il nome da sposata di Alfonsina Strada, prima donna a competere nel ciclismo in gare maschili e a completare il Giro d’Italia nel 1924. La bicicletta, infatti, per le donne è stata da sempre simbolo di libertà e coraggio, basti pensare all’importante ruolo ricoperto dalle staffette partigiane. Manuela Mellini, nel suo libro Donne, biciclette e rivoluzioni, approfondisce il merito del velocipede nel corso della storia. Prima di essere accettate come atlete nelle stesse competizioni internazionali degli uomini – come mondiali, europei e olimpiadi – gareggiavano in competizioni separate e venivano chiamate in maniera denigratoria “atlesse”. Il suffisso “essa”, infatti, è stato usato inizialmente per sminuire le donne che si dedicavano alle stesse pratiche degli uomini, tanto in campo sportivo quanto lavorativo: un’ulteriore testimonianza di quanto la lingua influenzi la visione collettiva della società. Una maggiore attenzione rivolta alle sportive è quindi necessaria e per questo è nato il sito Sport al femminile, che si occupa solamente di divulgazione sul tema.

I pregiudizi e gli stereotipi sono numerosi nella società contemporanea e permeano con costanza anche lo sport, purtroppo. Negli ultimi anni, grazie anche ad alcune pubblicazioni mirate, il cinema sta cercando, tramite la comicità, di spezzare questi stereotipi. A quasi vent’anni dall’uscita di Sognando Beckham, finalmente il calcio al femminile è nuovamente protagonista grazie all’uscita nelle sale di Le regine del campo. Dello stesso filone si consiglia la visione di 7 uomini a mollo, che racconta la storia di una squadra di uomini alle prese con il nuoto sincronizzato, e Gamberetti per tutti, dove la pallanuoto non è mai stata così orgogliosa di essere luccicante.

Illustrazione a cura di Francesca Pisano.