Una foresta di simboli: Corrispondenze tra Natura e scrittura

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La Divulgatrice non si è ancora stancata dei poeti simbolisti, e soprattutto non di Charles Baudelaire. Questa volta, però, la sua ricerca l’ha condotta attraverso i meandri della foresta cantata in una poesia particolare, per rispolverare la peculiare corrispondenza tra Natura e linguaggio.

Analisi di Corrispondenze: il simbolismo naturale

Corrispondenze è il titolo di uno dei componimenti più noti del poeta maledetto Charles Baudelaire, uno tra i primi che si studia a scuola, ma anche uno dei più intrisi di simbolismi reconditi. Tanto reconditi che forse lui stesso ignorava di averli usati! 

Il terreno fertile della foresta di concetti piantata da Baudelaire in questo sonetto è il simbolismo, come movimento poetico ottocentesco e come scelta di stile personale. Può essere infatti considerata la poesia-manifesto della corrente di pensiero simbolista e soprattutto della poetica dell’autore.

Baudelaire immagina la sua attività di poeta come quella di un esploratore intento ad addentrarsi in una foresta di simboli, dove le sinestesie succedono alle metafore. La suggestione è davvero simile a quella che si prova inoltrandosi nel folto, dove l’odore penetrante del sottobosco è quasi tattile e la vista inganna occhi non più abituati ai mimetismi della natura. Per questo, gli echi si confondono nella tenebra, dandole vita, e i profumi – divenuti materiali e commestibili – sono freschi e dolci.

L’elemento davvero particolare di questa poesia è che Baudelaire, perfettamente integrato nella giungla urbana della Parigi decadente, composta da artisti e mangiatori d’oppio, elegga proprio l’ambiente naturale come tempio del proprio linguaggio. Più precisamente, una Natura marcata da maiuscola come se fosse la personificazione di un concetto più alto, perciò differente dalla comune boscaglia. Questa Natura è mistica e sacra, esoterica perché legata al simbolo

Quest’ultimo elemento è il fondamento della poetica di Baudelaire, ma soprattutto è inscindibile dalla visione umana del mondo. Fin dalla preistoria la razza umana fabbrica simboli per rendere la realtà comprensibile e divulgabile, dando vita a sistemi simbolici sempre più complessi. L’alfabeto è uno di questi sistemi e fu così importante da segnare la fine della preistoria e l’inizio di un nuovo capitolo delle vicende umane.

Foto: Pixabay.

L’alfabeto arboreo: lettere celtiche e il loro impatto sul libro moderno

C’è qualcosa di arcano e affascinante negli alfabeti sconosciuti, che appartengano o meno a lingue ancora in uso. Un antico alfabeto in particolare corrisponde alla poesia di Baudelaire: si tratta dell’Ogham Craobh. L’alfabeto ogamico è stato ideato dalle popolazioni celtiche, abitanti di un vasto territorio. I clan celti, eterogenei tra loro, occupavano una vasta fetta d’Europa, che si estendeva attraverso Francia e Germania fino al bacino del Danubio, oltre ad abitare alcuni insediamenti iberici, un tratto di Italia del Nord e le isole britanniche e irlandesi, luogo d’origine e di diffusione delle lettere arboree. 

La cultura celtica conferiva grande importanza e popolarità alla figura del cantastorie, tanto che i bardi ne costituivano una vera e propria categoria sociale – attraversata da gerarchie e rapporti di potere specifici – retribuita in beni e prestigio a seconda del livello di maestria raggiunto dall’individuo. La capacità di raccontare storie, e raccontarle bene, assumeva un valore preciso e socialmente riconosciuto che necessitava di simboli specifici e complessi. L’arte bardica aveva molto a che fare con il culto religioso, era perciò farcita di allegorie e metafore. A un certo punto, nella storia di queste popolazioni venne coniato un sistema di simboli, organizzato nelle lettere chiamate ogham. Ognuna di esse era legata a un albero e al suo legno, diventando un simbolo di quella pianta e dei miti a lei legati. Si dava vita così a un intricato sistema di corrispondenze mitologiche che il bravo bardo doveva conoscere per filo e per segno (letteralmente). Ci sono molte versioni della stessa ballata, la Cad Goddeu, ovvero La ballata degli alberi. Essa cantava della guerra tra i verdi signori della foresta che, schierati in due eserciti, si batterono per la supremazia. Non era altro che un espediente per enunciare le lettere dell’alfabeto ogamico e le loro caratteristiche, ordinandole in base all’albero di rappresentanza e alle sue proprietà, vere o attribuitegli dalle superstizioni locali. È opportuno specificare che queste lettere avevano un valore cultuale più che linguistico: gli ogham non erano agevoli per la redazione di documenti, ma venivano considerati dotati di proprietà mistico-religiose. 

I pilastri della conoscenza

Un altro elemento curioso che l’alfabeto ogamico ci indica è l’attaccamento peculiare che queste popolazioni nutrivano nei confronti degli alberi, i pilastri del tempio di Baudelaire. Sappiamo che chi tagliava alberi senza permesso – specialmente se si trattava di piante considerate sacre – poteva addirittura essere condannato a morte. Ritroviamo pienamente questo concetto di sacralità nella Natura di Corrispondenze.
Quando i Romani riuscirono ad asservire i clan celti, queste pene vennero progressivamente ridotte a semplici “multe”. Eppure elementi di cultura celtica permangono fino a oggi nel nostro linguaggio.

Infatti, gli antichi occupanti dell’attuale Galles erano soliti usare tavolette di faggio per scrivere. Questo albero era tra i più sacri e il suo uso ha lasciato tracce che impregnano il linguaggio moderno:

L’inglese book, “libro”, per esempio, deriva da una parola gotica che significa “lettere” e che, come il tedesco Buchstabe, “lettera dell’alfabeto”, è imparentata etimologicamente con beech, “faggio”; la spiegazione sta nel fatto che le tavolette per scrivere erano di faggio. “Barbara fraxineis pingatur runa tabellis”, scrive nel VI secolo il vescovo e poeta Venanzio Fortunato: La runa dei barbari sia tracciata su tavolette di faggio”.
R. Graves, La Dea Bianca, Milano, Adelphi, 1992, p. 45

Se beech e book condividono la stessa radice linguistica, allora quando parliamo di e-book stiamo inconsapevolmente evocando una tavoletta di faggio digitale (un “e-beech”?) e il periodo in cui veniva usato come primitivo quaderno.

L’alfabeto ogamico. Foto: Wikimedia Commons.

Magia immortale

Se Baudelaire fosse un segreto appassionato di cultura celtica e se conoscesse l’alfabeto ogamico non è dato sapere, ma certamente è affascinante seguire le sue tracce ed esplorare le molteplici corrispondenze che sorgono tra linguaggio e mondo naturale. Esiste una profonda connessione tra questi due elementi dovuta al carattere della scrittura primitiva che veniva insegnata e praticata incidendo tavolette d’argilla, legno e sassi. Ancora oggi, nonostante schermi e tastiere, lo strumento più utilizzato e preferito per scrivere è la carta, di ovvia derivazione naturale. 

Non stupisce che la pratica della scrittura fosse così intimamente accostata alla figura dell’albero (per lo meno tra i Celti). La magia del linguaggio scritto forse è andata in parte persa con l’avanzare del tempo, ma se qualcuno può risvegliarla questi sono sicuramente i grandi poeti e scrittori, bardi contemporanei che con il loro uso meraviglioso del simbolo tengono vivo il suo fascino mistico.

Immagine di copertina a cura di Francesca Pisano.