Le scandalose: storie di donne lussuriose

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I peccator carnali, che la ragion sommettono al talento […] 

Dante, Divina Commedia, Inferno, V, vv. 38-39.

Il sommo poeta descrive in questo modo le persone presenti nel secondo girone infernale, ree di aver vissuto solamente per soddisfare i propri piaceri carnali. In questo cerchio il poeta incontra, oltre ai noti Paolo e Francesca, anche molte peccatrici come Semiramide, regina degli Assiri e creatrice dei giardini pensili di Babilonia, Cleopatra, sovrana d’Egitto, Didone, fondatrice di Cartagine ed Elena, la più bella, amata e invidiata eroina greca. Di queste donne tutto si può dire ed è già stato detto nel corso della storia; ma sicuramente oltre all’istinto usarono anche la ragione. Purtroppo però la lussuria è un peccato – o meglio, uno dei sette vizi capitali, come viene definito dalla dottrina cristiana – imperdonabile e molto criticato dalla società di ogni tempo, soprattutto se a commetterlo è una donna.

Donne di piacere

Bagascia, baldracca, battona, cortigiana, donnaccia, lucciola, meretrice, mignotta, passeggiatrice, prostituta, puttana, squillo, sgualdrina. Questi sono solo alcuni degli epiteti riservati alle donne che hanno dedicato la propria vita all’appagamento dei propri piaceri carnali, talvolta tramutando la loro passione in professione. Donne che si guadagnarono indipendenza e autonomia sfruttando i loro doni naturali e per questo furono mal viste dalla società. Per alcune di loro mettere sul mercato la propria sessualità fu l’unico modo per non arrendersi a una vita di dolore, povertà, fame e malattia, ma questo aspetto delle loro vite è stato presto dimenticato. Molte altre donne inoltre non riuscirono a rivoluzionare il proprio destino e soccomberono a una vita di privazione, sfruttamento e violenza. Anche e soprattutto per ricordarle è necessario conoscere la storia delle donne che ce l’hanno fatta grazie alle proprie qualità naturali, quali bellezza, fascino e astuzia. Valeria Palumbo in Donne di piacere e Lia Celi in Quella sporca donnina cercano di recuperare le loro eredità, raccontandone le vere storie. 

Frine posò come Afrodite per lo scultore Prassitele, fece così del suo corpo l’ispirazione per ogni Venere futura. Si offrì di pagare la ricostruzione delle mura di Tebe solamente per fare un affronto ai suoi pudici contemporanei. Veronica Franco apparteneva alla borghesia e divenne cortigiana onesta, oltre che poetessa, pubblicando Terze rime e Lettere familiari, nella Venezia rinascimentale. Sono solo due delle donne che riuscirono a usare il potere invincibile dell’eros anche al di fuori della camera da letto. Nel corso degli ultimi secoli le storie di molte di loro si intrecciano in una città in particolare: Parigi. 

La bella Otero.

Parigi: la città dell’amore e del sesso

La capitale francese nell’immaginario collettivo è la città romantica per eccellenza. Le vie di Parigi però, nel corso della storia, hanno ospitato soprattutto amanti, rendendo la città il centro indiscusso della soddisfazione della propria libido.

Non c’è stata città che più di Parigi abbia raffigurato la scintillante vivacità, la bellezza, la libertà di una metropoli. Ampi boulevard, luci, gli spettacoli più arditi, le avanguardie più innovatrici, disinvoltura dei costumi, ricchezza e disordine della vita artistica, brivido della trasgressione, a Parigi, la città della luce per antonomasia, si poteva trovare (e comprare) tutto, di tutto si poteva fare esperienza.

C. Augias, Racconti parigini, Einaudi, Torino, 2018, p. VIII.

In questa città si incrociano le storie di molte donne di piacere.

Ninon de Lenclos fu protagonista della vita parigina del XVII secolo, arrivando a creare anche un proprio salotto letterario all’epoca di Re Sole. Fu attenta amministratrice dei suoi beni e persona molto controllata per quanto riguarda l’alimentazione. Dedicò questa precisione anche ai suoi benefattori, che teneva appuntati sul suo libretto contabile in tre diverse liste: payeurs, martyrs, caprices.

Cora Pearl, di origini inglesi, fu la prima diva della storia che scandalizzò Parigi con le sue stravaganze in fatto di moda e i suoi eccessi comportamentali. Nella seconda metà del XIX secolo fu la prima a presentarsi abbronzata al ritorno da una stagione balneare, in un tempo in cui il pallore della pelle era sinonimo di bellezza. 

Carolina Augustina Carasson, conosciuta al grande pubblico come la bella Otero, nacque nel 1868 in Galizia. Divenne famosa nella capitale francese come ballerina, cantante e attrice. Nell’arco della sua vita conquistò svariati uomini, città e palcoscenici di tutto il mondo. Tanto nota è la sua vita di femme fatale quanto poco lo è la sua infanzia. La sua longeva storia (la bella Otero visse infatti  per novantasei anni) iniziò infatti con una violenza, subita a soli undici anni, da parte di un uomo che le provocò ferite gravissime, rendendola sterile. Purtroppo moltre altre donne vissero atti oltraggiosi di questo genere: molte non sono riuscite a superarlo, altre invece lo hanno fatto con coraggio. Tra loro ricordiamo Marie Duplessis. 

La travagliata vita di Marie Duplessis

Rose Alphonsine Plessis nacque in Normandia nel 1824 e dovette combattere fin dall’infanzia per sopravvivere. Il padre alcolizzato la vendette a un uomo che abusò di lei e la costrinse a prostituirsi fin dalla tenera età di tredici anni. La ragazza, per allontanarsi dal padre, si trasferì a Parigi, dove alcuni parenti riuscirono a trovarle un lavoro, all’età di quindici anni. Fece inizialmente la lavandaia e in seguito la commessa, ma ben presto capì che la sua bellezza le avrebbe permesso di vivere una vita migliore. Iniziò quindi a frequentare gli ambienti vivaci in cui si concentrava la peccaminosa vita parigina e in poco tempo divenne grisette, termine che indica una bella ragazza di facili virtù. Il passo successivo fu riuscire a conquistare un uomo che si offrì di mantenerla economicamente, facendo di lei una lorette. La sua tenacia, inoltre, le permise di imparare a cantare, suonare il piano e leggere un gran numero di libri, riuscendo a elevare il proprio livello culturale. Decise anche di cambiare il proprio nome per uno che sembrasse di nobili origini: divenne così Marie Duplessis. Ebbe una vita breve, ma sfavillante, all’interno di una società che la condannò per le sue scelte ardite, ma che allo stesso tempo ne subì il fascino. Così come accadde ad Alexander Dumas figlio che, in seguito alla prematura morte per tubercolosi di Marie, a soli ventitré anni, le dedicò il suo più noto romanzo, La signora delle camelie.

Il pubblico, affascinato come oggi dalla vita delle persone celebri, lesse avidamente il libro: l’autore decise quindi di trarne un’opera teatrale, che però divenne famosa solamente nella trasposizione che ne fece Giuseppe Verdi, La traviata. Entrambi,  però, la rappresentarono secondo il loro ideale romantico; ritratto che si discosta notevolmente da quello più realistico descritto da Julie Kavanagh in La ragazza delle camelie (Einaudi, 2014). La scrittrice recupera infatti «la vérité sur Dame aux camèlias», dalla biografia scritta dal suo amico Romain Vienne, in cui si narra tutta la parabola della faticosa ascesa della vita di Marie Duplessis, una sopravvissuta.

Man mano che la storia di Marie andò adattandosi a generi narrativi diversi, la sua reale personalità finì per essere messa in ombra dai temi dominanti della malattia, del sacrificio e della morte. Dumas figlio e Verdi ne riaddolcirono i tratti, capitolando di fronte all’ideale romantico teso ad assolvere e desessualizzare la donna perduta.

J. Kavanagh, La ragazza delle camelie, Einaudi, Torino, 2014, p. 31.

Le storie delle donne raccontate finora possono farci capire quanto i giudizi sulle vite altrui talvolta siano dati con superficialità e sufficienza. Queste donne sono diventate protagoniste della propria epoca guidando il proprio desiderio e quello degli uomini; ma soprattutto hanno saputo guadagnarsi la libertà grazie alle proprie qualità naturali, come astuzia e intelligenza.

Illustrazione a cura di Martina Nenna.