Frab’s Magazines & More: intervista alla libraia digitale Anna Frabotta

Frab’s Magazines & More: intervista alla libraia digitale Anna Frabotta

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Lo scorso weekend la Gallerista, ispirata da Rimini di Pier Vittorio Tondelli, ha deciso di trascorrere un paio di giorni sulla riviera romagnola e ha colto l’occasione per incontrare la libraia Anna Frabotta, fondatrice della libreria online Frab’s Magazines & More, e di regalare a tutti voi questa intervista.

L’idea di Frab’s nasce alcuni anni fa, quando Anna, partecipando ad alcune fiere straniere dell’editoria, rimane affascinata dal mondo dell’editoria indipendente, in Italia ancora sconosciuto. Inizia così a collezionare riviste indipendenti che acquista online o durante i suoi viaggi.
Consapevole di questo vuoto che caratterizza l’editoria nostrana, Anna si decide a colmarlo. La scintilla si accende nel 2018, dopo un viaggio a Riga. Durante il volo di ritorno, legge un articolo su un giovane libraio che ha lasciato Londra e il suo lavoro per aprire una libreria in un paesino scozzese. A trentun anni, Anna capisce che può ancora realizzare il suo sogno.

Grazie all’aiuto del suo compagno Dario – e dopo aver rinunciato all’idea di aprire una libreria fisica a causa dei costi elevati – Anna riesce a lanciare sul web il suo primo sito. La scelta del nome è molto più semplice: “frabs” è il soprannome con cui la madre di Anna chiama suo padre. È un nome significativo, facilmente memorizzabile e, soprattutto, catchy. È il maggio del 2019 e Frab’s è ufficialmente nato.

Sei una giornalista, una redattrice e una social media manager e, proprio come noi, appassionata di editoria. Quando è nata questa tua passione, in particolare quella legata alle riviste e all’editoria indipendente?

La passione per l’editoria credo sia una cosa innata, un qualcosa che hai o non hai. Da bambina passavo le ore nelle edicole, con mia mamma disperata, e quando sono giù di morale mi basta passare un paio d’ore in una libreria per stare bene.

Ho sempre avuto un debole per le riviste da edicola anche se, ovviamente, il mondo delle riviste indipendenti l’ho scoperto solo alle fiere, quando ero già grande. Anche durante il mio percorso universitario non ho mai incontrato questo tipo di riviste: ho studiato Scienze politiche e questo genere di prodotti era estraneo al mio circuito universitario.

Questa passione è un feticcio. Una cosa che ripeto spesso è che tutti quelli che seguono Frab’s sono dei feticisti della carta.

Foto di Michele Arrabito.

In alcune stories hai pubblicato delle definizioni autorevoli di magazine, come quella di Gwen Allen, professoressa di Storia dell’arte alla San Francisco University, la quale afferma che «a definire una rivista è la sua peculiare dimensione temporale che la rende dinamica e in costante evoluzione». Cos’è per te una rivista indipendente?

Dare una definizione non è semplice perché questo è un mondo variegato e libero, che ognuno potrebbe interpretare come vuole.

Una rivista indipendente deve, però, avere delle caratteristiche.
La prima è la qualità. Una rivista indipendente deve avere un’alta qualità che la distingue da un prodotto amatoriale, che è pur sempre indipendente ma spesso scadente.
La seconda è la sperimentazione. Deve staccarsi da tutto ciò che è mainstream. Ci sono riviste che giocano con formati e carte diversi, con un layout che cambia all’interno dello stesso numero, o che cambiano testata a ogni numero. La rivista indipendente non parte da un target, ma nasce a immagine e somiglianza dell’editore, il quale decide come deve essere e cosa deve contenere. La rivista diventa lo specchio dell’editore e della community.
La terza caratteristica riguarda la pubblicità. Sarebbe scorretto dire che la rivista indipendente si riconosce dalla sua assenza. Anche queste riviste richiedono un sostegno economico, con la differenza che le sponsorizzazioni non influenzano i contenuti: prima viene creata la rivista e poi vengono richiesti i contributi economici. E spesso la pubblicità è talmente integrata che non ci si rende nemmeno conto che è pubblicità.

La quarta è il tempo. Le riviste indipendenti, rispetto a quelle mainstream, non hanno una cadenza precisa, escono quando l’editore si sente pronto per pubblicarle.

Frab’s è una realtà che esiste solo online, eppure sei riuscita a creare una community che conta più di undicimila lettori. Come vivi questa condizione e in che modo riesci ad avere un rapporto cristallino con i tuoi follower?

Ammetto che la vivo quasi come una condizione di svantaggio perché il rapporto umano con le persone mi manca.

Prima della pandemia organizzavamo un evento ogni fine settimana, da settembre a dicembre 2019 siamo stati continuamente in giro per l’Italia e per l’Europa. È stato massacrante, ma ci ha permesso di colmare quel gap dovuto al fatto di essere solo online.

Io cerco di creare un qualcosa che dia l’idea che dietro Frab’s ci siano delle persone. Cerco di riempire il vuoto dell’online comportandomi come il libraio sotto casa che dà consigli e ha un rapporto sincero e non asettico con i suoi clienti.

Sul sito di Frab’s si legge: «Nel nostro store non troverai tutte le riviste indipendenti esistenti al mondo». Quali sono i fattori che ti spingono a scegliere di vendere determinate riviste o a tralasciarne altre? 

Ammetto che, innanzitutto, scelgo le riviste per un gusto personale.
L’altro principale criterio è la qualità, che deve riguardare sia il contenuto sia l’estetica. La rivista indipendente deve essere un oggetto di design da poter esporre.
Il terzo parametro riguarda la sperimentazione: la rivista deve essere un qualcosa di innovativo.
Poi prendo in considerazione anche la percentuale della pubblicità, che deve essere bassa. Ci sono riviste, come Purple Magazine o Self Service Magazine, che sebbene siano colme di pubblicità devo vendere perché sono delle istituzioni; però se una rivista appena nata è piena di pubblicità ma si proclama indipendente, io non la ordino.

Foto di Michele Arrabito.

Molte delle riviste provengono, per l’appunto, da ogni angolo del mondo. Come hai fatto a scoprirle e a costruire una rete di contatti così ampia e ramificata?

Ho scovato la maggior parte delle riviste alle fiere, sia in Italia sia all’estero. Ad Amburgo si tiene l’Indiecon, l’unica fiera europea dedicata esclusivamente alle riviste indipendenti. Lì abbiamo conosciuto editori da tutto il mondo, toccato con mano i loro prodotti e parlato con loro.
Quando si poteva viaggiare ho scovato, banalmente, molte riviste nelle librerie e poi ho preso contatto con gli editori.
Inoltre, mi affido anche a un paio di distributori esteri per i titoli più importanti, più conosciuti e con tirature alte. Invece, per le riviste con tirature minori mi rivolgo direttamente agli editori.

Aver creato e gestire questa rete è una delle cose più faticose, perché si tratta di tenere molti contatti, ricordarsi di scrivere per avere informazioni sui nuovi numeri e di pagare tutte le fatture entro i termini. Comunque, oggi come oggi, è una rete che si costruisce tramite internet.

Urbarïum semen è la prima pubblicazione firmata Frab’s. Ce ne parli?

Urbarïum semen è il progetto di una designer bolognese, Virginia Viapiano, che durante il primo lockdown ci ha proposto questo taccuino da viaggio che, presi dall’entusiasmo e dalla voglia di viaggiare, abbiamo deciso di pubblicare.
Urbarïum è un taccuino molto particolare: è costruito a modello degli erbari monastici e contiene diciotto schede che ti aiutano e ti indirizzano nell’osservare meglio il luogo che stai visitando. In ogni scheda sei chiamato a raccontare le cose più immediate, come il tempo o con chi eri, e a descrivere, attraverso dei simboli, quel momento; ci sono anche degli spazi in cui poter fare dei disegni o appiccicare delle cose. È quindi un taccuino che aiuta a viaggiare in modo più consapevole e più lento, osservando meglio le cose.

Foto di Michele Arrabito.

Pubblicare una rivista indipendente non è sempre una cosa facile: ad esempio, i costi di produzione possono essere elevati, il timore degli invenduti pende sulle teste degli editori come la spada di Damocle e il budget può essere insufficiente. Quali sono le difficoltà che hai incontrato nella produzione di Urbarïum semen?

Lavorare a una rivista richiede tantissimo tempo e competenze, e circondarsi di persone in gamba e di cui fidarsi. Non è una cosa semplice: bisogna trovare i contatti, i contenuti, la tipografia in cui stampare.
Il budget è sicuramente l’aspetto più importante. Si parte sempre da un business plan ed è importante avere nel proprio staff una persona che sia in grado di lavorare con i numeri. Ad esempio, per quanto riguarda il prezzo al pubblico, devi sapere quante copie devi vendere per rientrare nel budget e raggiungere il break even point [o punto di pareggio, è il punto in cui la merce prodotta e venduta permette di pareggiare i costi di produzione, quindi il punto in cui profitto e perdite sono pari a zero. N.d.R.] e da quale numero di copie inizierai a guadagnare.
Inoltre, esiste anche il problema degli invenduti.

Molte riviste indipendenti nascono anche grazie al crowdfunding. Il progetto viene proposto in anticipo e chi ci crede acquista dei numeri mesi prima della loro pubblicazione. L’abbiamo fatto anche noi con Mulieris Magazine, una rivista femminista italiana, quando è stato annunciato il secondo numero.

Dal punto di vista della produzione, con Urbarïum non abbiamo avuto grosse difficoltà perché abbiamo ricevuto un progetto che era quasi pronto. Poi, però, abbiamo avuto dei problemi con il tipografo e abbiamo dovuto buttare le prime cinquecento copie. Questo ha rallentato l’uscita di un prodotto che avremmo dovuto lanciare a inizio giugno, ma che abbiamo lanciato a metà luglio, in un periodo sbagliato poiché molte persone erano già in vacanza.

Che consigli ti senti di dare a chi vorrebbe produrre una propria rivista indipendente?

Non risparmiarsi, in tutti i sensi. In un progetto del genere bisogna credere e impiegare tutto il proprio tempo, soprattutto quello libero, perché è difficile fare di questo un lavoro vero e proprio.

Non bisogna risparmiarsi nemmeno economicamente. Fare una rivista con carta e stampa di bassa qualità e rilegata con il punto metallico costa poco dal punto di vista della produzione, ma è difficile riuscire a venderla proprio per la scarsa qualità che la contraddistingue. Se i soldi sono pochi, si può trovare uno sponsor che sia inerente con il proprio progetto e che possa aiutare mettendo a disposizione le proprie risorse.

Secret Mag Club.

Tra le varie riviste che vendi, quali sono quelle a cui sei più affezionata, che leggi e sfogli sempre con interesse?

Con questa domanda potresti farmi inimicare della gente!
Le riviste italiane sono quelle a cui sono più affezionata. Ma quelle a cui tengo di più, sarà anche per il rapporto di amicizia con gli editori, sono RVM Magazine – Agnese, l’editrice, è stata la prima persona a cui ho parlato di Frab’s, l’ho incontrata a una fiera ed è stata carinissima – e Quanto Magazine, rivista di narrativa speculativa che ho praticamente visto nascere.
Però, dai, quelle che vendo alla fine mi piacciono tutte. Se una rivista non mi piace, lo si capisce: ne vendo un solo numero e poi nello store non si trova più.

Rielaborazione grafica a cura di Caterina Cornale.