Corrispondenze agli estremi di un secolo: Fight Club come riscrittura di The Great Gatsby

Reading Time: 6 minutes

The Great Gatsby parla di un ricco e misterioso gentiluomo che da anni aspetta l’occasione giusta per sposare la ragazza dei suoi sogni. Fight Club segue le vicende di un insipido colletto bianco che, grazie all’incontro con un carismatico sconosciuto, si trova invischiato in una rivoluzione terroristica mondiale. Il primo romanzo, nato nel 1925 dalla penna di Francis Scott Fitzgerald, è una storia d’amore tragica. Il secondo, opera d’esordio del 1996 di Chuck Palahniuk, è una parabola fosca sullo squallore della società contemporanea. Nulla di più – apparentemente – antitetico.

Eppure, incredibile a credersi, Fight Club è a tutti gli effetti la riscrittura contemporanea di The Great Gatsby. In un modo a prima vista impensabile, forse, i due libri si corrispondono. E la nostra Divulgatrice vi spiegherà il perché.

Parola di Chuck Palahniuk

Ma da dove arriva questa idea tanto singolare? La risposta è più semplice di quello che potreste immaginare: è farina del sacco di Chuck Palahniuk. L’autore di Fight Club, infatti, ammette apertamente la parentela tra il suo e il romanzo di Fitzgerald in ben due occasioni. La prima dichiarazione si trova in un afterword, aggiunto in coda al suo best-seller in occasione del decennale:

Really, what I was writing was just The Great Gatsby, updated a little. It was “apostolic” fiction – where a surviving apostle tells the story of his hero. There are two men and a woman. And one man, the hero, is shot to death. It was a classic, ancient romance but updated to compete with espresso machine and ESPN.
C. Palahniuk, Fight Club, London, Vintage Books, 2006, p. 216.

La seconda, invece, è parte di una intervista (oggi non più reperibile) rilasciata a Scribd nel 2016, in occasione dei vent’anni di Fight Club

Fight Club was originally written as a kind of reinvention of The Great Gatsby […] Because in the American novel, you typically have three characters. One of the characters demonstrates passivity by committing suicide, one character demonstrates the perils of being too rebellious and must be killed, and then one is the witnessing character. […] I wanted to condense that perfect American model and make it three characters, but make it as tight as possible. The three characters would be two characters, one of which has a split personality. #ScribdChats Presents Chuck Palahniuk, 18 agosto 2016

Classico moderno, triangolo e quintessenza dell’americanità: abbiamo già tre indizi che ci spingono nella giusta direzione. Ora, grazie alle parole di Palahniuk, siamo pronti per fare un passo avanti e iniziare a scavare più in profondità.

A sinistra, Chuck Palahniuk, scrittore ancora prolifico, nato nel 1962 nello Stato di  Washington. A sinistra, Francis Scott Fitzgerald, capostipite della letteratura americana nato nel 1896 a Saint Paul e morto nel 1940. Fonte: Wikimedia Commons. 

Deviazioni

Ma prima, una deviazione. Se dobbiamo parlare di corrispondenze, forse è meglio prima dichiarare le discrepanze

Innanzitutto, la più immediata: l’epoca d’appartenenza. Fitzgerald è il cantore dell’età del jazz. Anzi, è colui che l’ha ribattezzata tale. Parliamo di quel periodo di benessere sfrenato che va dalla fine della Prima guerra mondiale alla crisi nera del 1929. Anni beati, questi, in cui i figli dell’ultima generazione di vittoriani pruriginosi si danno alla pazza gioia. Sono gli anni delle maschiette che bevono e fumano negli speakeasy, delle trasgressioni mondane e della liberazione sessuale. Palahniuk, invece, è figlio della rough decade, un periodo tra due morti. Tra il crollo del muro di Berlino e della dissoluzione del blocco sovietico e l’attentato dell’11 settembre 2001 è incastrato un decennio cupo e informe. Crollano le ideologie, la deindustrializzazione spinge verso una nuova stagione di dominio tecnologico deumanizzato, dilaga il terrorismo deterritorializzato. Il passato – un Novecento sempre più estraneo – è irripetibile, mentre il futuro – il nuovo millennio imperscrutabile – non ha senso. 

Un’altra differenza, nemmeno a dirlo, sta nello stile così antitetico dei due scrittori. Fitzgerald appartiene alla seconda generazione romantica. La sua storia delicata si dipana tra simboli evocativi e immagini tratteggiate secondo gli stilemi dell’impressionismo poetico. Le pagine di The Great Gatsby trasudano malinconia, al contrario di quelle di Fight Club, che grondano marciume. Palahniuk è un postmoderno e scrive blank fiction: le sue storie sono cupe e crude, il suo stile secco e minimalista, le scene si giustappongono a incastro, cucite da anafore martellanti. 

Il contesto e il linguaggio di questi due romanzi, perciò, non potrebbero apparire più distanti. O forse no? C’è una prospettiva, infatti, che ci permette di riassorbire anche questi elementi di differenziazione in un quadro più grande. Ed è quella che abbiamo iniziato a intravedere grazie alle parole di Palahniuk. 

Classici americani

Classico moderno e americanità, ci ha detto Palahniuk. Ed è vero, perché The Great Gatsby e Fight Club sono entrambi romanzi di culto, capaci di dipingere col linguaggio dell’universale uno scorcio storicamente connotato dell’America contemporanea. La storia collettiva, letta a livello microscopico grazie alle vicende individuali dei personaggi, diventa protagonista. E questo grazie alle tematiche comuni che infondono la linfa vitale nelle due opere.

La studiosa e professoressa del Chestnut Hill College Suzanne del Gizzo ha riconosciuto come all’origine dei due romanzi risieda lo stesso nucleo tematico, composto da tre elementi che si intrecciano. Il primo è il perseguimento dell’American dream, il secondo è la costruzione dell’identità, e il terzo è la crescita tumorale della società dei consumi.

L’American Dream è il grande mito dell’America repubblicana: a priori dal background personale, l’individuo può guadagnare ciò a cui aspira. Gatsby è l’incarnazione di questo desiderio, mentre il Narratore di Palahniuk, nella sua casetta ammobiliata, sembra avere già realizzato il suo sogno. Entrambi i personaggi, inoltre, attraverso l’accumulo di beni, non solo vogliono realizzarsi, ma anche definire la loro identità. Ed è qui che si innesta il pervertimento: il desiderio di avere successo si confonde pericolosamente con il desiderio di possedere. Gatsby crede erroneamente che l’amore di Daisy si possa comprare grazie alla ricchezza. Il Narratore di Fight Club, incasellato in una vita monotona di finti confort, avvia una relazione schizofrenica con la parte più anarchica della sua personalità, che chiama Tyler Durden. La società dei consumi, con i suoi imperativi inderogabili, spinge l’individuo alla sconfitta, o peggio, all’autodistruzione.

Se The Great Gatsby è una favola degradata dal miraggio del self-made man, Fight Club è il sogno americano tramutato in incubo. E in entrambi i casi per l’America non c’è via di fuga.

Apostolic fiction

E poi c’è la questione del triangolo. Nick Carraway, Jay Gatsby e Daisy Buchanan. Il Narratore, Tyler Durden e Marla Singer. L’evangelista, l’eroe e la principessa. The Great Gatsby e Fight Club condividono la stessa struttura: la storia ha base triangolare. A prendere la parola, infatti, è un narratore omodiegetico e allodiegetico – ossia personaggio ma non protagonista – che assiste alle peripezie di un’avventura da cui è escluso. 

Palahniuk parla di apostolic fiction, e la definizione non potrebbe essere più calzante per riferirsi ai due romanzi. I narratori di queste opere raccontano una storia di cui, sorprendentemente, non sono il centro gravitazionale. Anzi, Nick e il Narratore scelgono di tenersi ai margini della loro stessa vicenda, protetti dall’ombra mastodontica dei loro mentori. Il fascino di ciò che sta all’esterno zittisce l’egoismo di chi osserva, e ne risulta un racconto poco attendibile, spesso intorbidito da un’ammirazione troppo parziale. Gatsby è l’agnello sacrificale il cui sorriso è capace di eclissare il sole, Tyler il messia carismatico la cui parola è capace di scatenare la rivoluzione. 

Entrambi i romanzi partono dalla fine, dall’apostolo che, solo, si cimenta a raccontare la storia di un incantesimo di ipnosi. E da qui le vicende si ripetono: prima l’incontro tra adepto smarrito e maestro, poi la folgorazione, e infine l’allontanamento che segue il sacrificio rituale. Ma la separazione non è frutto di un atto di volontà o un ravvedimento, sia chiaro. Gatsby e Tyler sono personaggi chiaroscurali, il cui splendore offusca peccati inconfessabili. Eppure, anche di fronte all’evidenza della cruda verità, i narratori sembrano restii a condannare del tutto i loro mentori. Rimangono segretamente loro sostenitori, nel profondo del loro cuore e tra le righe dei loro racconti, scritti a giochi fatti.

A sinistra, la copertina di “The Great Gatsby”, edito da Charles Scribner’s Sons nel 1925. A destra, la copertina della prima edizione di “Fight Club”, pubblicato da W. W. Norton nel 1996. Fonte: Wikimedia Commons.

La terra delle opportunità

Scomparso il vertice più luminoso, il triangolo si scioglie. Tra le macerie di una società in rovina, rimane in piedi il mito di una personalità superiore, custodita da un misto di fede mescolata alla disillusione più lucida. Il sogno si è sgretolato, l’identità si è disciolta, la fame di possesso si è cibata di se stessa. 

La strada che abbiamo tracciato congiunge questi due romanzi e ce li mostra come due specchi, posti agli estremi opposti del Novecento. Fight Club è la continuazione di The Great Gatsby, o meglio, del dramma della definizione dell’identità all’interno della società consumistica che ne sta al centro. È sempre la stessa America, ma vista in due diversi momenti della storia contemporanea e cantata con voci differenti. Quella di Fitzgerald, delicatamente criticata per la sua impronta neomaterialista, e quella di Palahniuk, crudamente denigrata per la sua smania iperconsumistica. Ma è lo stesso popolo a specchiarsi in questi romanzi, e la stessa critica, in tempi e modi diversi, a colpirne le abitudini e gli ideali. In quell’America terra delle opportunità, tra le quali figura anche quella di andare incontro alla propria distruzione.

Rielaborazione grafica a cura di Sabrina Poderi.