Venere in pelliccia: il fascino crudele della dominazione

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L’erotismo presenta un’infinita serie di sfumature, malizie, giochi e perversioni che da secoli affascinano le penne degli scrittori e stuzzicano le menti dei lettori. Diversi sono i momenti, nel corso della storia, in cui la letteratura incontra questo tema. L’incontro culmina nel XVIII secolo e conduce allo sdoganamento del libertinaggio. La rigida morale del periodo mette però a tacere pensieri e parole degli autori, e continuerà a farlo fino a un rinvigorimento del genere in pieno Decadentismo (dalla fine del XIX secolo). È proprio in questo periodo che una nuova sfumatura della perversione si affaccia al mondo letterario: il masochismo. Fino ad allora si era sempre scritto di dominazione, ma non dal punto di vista tecnico ed erotico. La dominazione come disciplina della sessualità (che oggi chiameremmo BDSM) esisteva solo perché vi era una concezione arcaica del sesso, fatta di uomo dominatore e donna sottomessa. Quella che inizia a trovare spazio nella letteratura emerge perciò come mera risposta al sistema sociale e normativo decisamente sessista in vigore all’epoca. Forse per questo motivo, la narrativa in cui la figura femminile è preponderante, dominatrice e subdola ha sempre attirato curiosità e languido fascino. Proprio di una donna forte, consapevole, cinica e spietata parla Venere in pelliccia, romanzo d’esordio di Leopold von Sacher-Masoch.

Lo sfondo: dalla fredda Austria alla sensuale Italia

Pubblicato per la prima volta nel 1870, Venere in pelliccia è un romanzo dai forti toni autobiografici. Come intuibile dal nome dell’autore, infatti, il libro parla di masochismo (ed è infatti da lui che deriva il termine). In Venere in pelliccia si racconta la relazione del giovane aristocratico galiziano Severin con Wanda Dunajew, una nobildonna vedova, ricca e bella. La prima parte del romanzo, che si svolge durante la seconda metà dell’Ottocento, si colloca nell’impero austroungarico,madrepatria di Sacher-Masoch, per poi spostarsi presto nella calda e accogliente Italia, più precisamente a Firenze. Qui il protagonista sottoscrive con la donna un vero e proprio contratto: sarà il suo schiavo e lei la sua padrona. Tutto ciò a un’unica condizione, che corona il feticcio di Severin: Wanda dovrà indossare una pelliccia, proprio come la Venere allo specchio dipinta da Tiziano. A testimoniare il cambio di ambientazione è anche la scelta di Wanda di cambiare il nome al suo sottomesso, depersonalizzandolo ulteriormente. Severin ora diventa Gregor: le regole del gioco si infittiscono ancora.

Wanda: la crudeltà di Venere

«Io vivo per il piacere, per la gioia, non voglio vedermi attorno gente che mi accusa. Non sopporto alcun vincolo. Non conosco doveri, tanto meno nell’amore.»

L. von Sacher-Masoch, Venere in Pelliccia, Milano, Mondadori, 2013.

Wanda von Dunajew è una giovane e ricca vedova, una donna bella e seducente che Severin vede come la raffigurazione della dea Venere. Trecento anni prima ci aveva pensato Tiziano a dipingere Venere come una dea sensualissima, vanitosa, narcisista e dall’aura irraggiungibile. È proprio quest’immagine che tormenta Severin, quella che quando vedrà incarnata in Wanda lo porterà all’ossessione. Ammaliato da lei, il protagonista la chiede subito in moglie, ma lei rifiuta. Wanda esibisce un tratto finora poco esplorato nelle donne raccontate in letteratura (seppur non ignorato): la conoscenza di sé. Wanda sa di non essere in grado di amare e di non volerlo fare. Questa incostanza affettiva insita nella sua personalità le impedisce di legarsi con qualcuno. La sua è una psicologia molto profonda, che cela un carattere fondamentalmente triste e malinconico. Come affermerà lei stessa: «Se non posso essere felice, ho almeno il piacere di veder soffrire gli altri» (L. von Sacher-Masoch, Venere in Pelliccia, Milano, Mondadori, 2013). Nonostante ciò, la sua indole solitaria è però intenerita da Severin, per questo gli propone la convivenza di un anno, invito a cui Severin risponde con il desiderio di diventare suo schiavo. Nonostante qualche riluttanza iniziale, Wanda accetta e comincia il suo ruolo di sensuale carnefice.

La svolta innovativa: il contratto

In Italia avviene la metamorfosi della relazione tra i due. Quello che inizia come un gioco diventa un vero e proprio rapporto contrattuale e vincolato. Wanda trasforma Severin in Gregor e tra i due viene stipulato un contratto che formalizza la volontà del sottomesso di rinunciare a ogni libertà, diventando ufficialmente di proprietà di Wanda von Dunajew, che può disporre dell’uomo a suo piacimento e senza alcun limite. Il documento sfocia poi nell’estremo, quando Severin pone per iscritto che la sua padrona disponga anche della libertà di privarlo della vita, qualora lei lo desiderasse. La stipula del contratto è il punto di svolta che divide Venere in pelliccia dagli altri romanzi erotici dell’epoca. La relazione di subordinazione diventa non solo un desiderio inconscio del protagonista Severin, ma sale al livello della consapevolezza. Vengono stabilite le regole del gioco, i limiti, le possibilità concesse e soprattutto viene letto e siglato da entrambe le parti. Sia la dominatrice sia il sottomesso sono consenzienti e viene stabilito un rapporto alla pari: una grande novità non solo per la letteratura ma per la vita sessuale dell’epoca, fatta spesso di disparità non concordate. Di fatto, siamo quindi probabilmente davanti a uno dei primi esemplari di contratto BDSM, espressione dell’eros che conquisterà spazio e rappresentazione nei media mainstream solo a decenni di distanza.

Il lieto fine, o la rigida morale ottocentesca

A questo punto sembra che la vicenda sia totalmente deragliata: se oggi nel mondo delle parafilie esistono regole per la sicurezza di entrambe le parti piuttosto uniformate, nel caso raccontato nel romanzo la situazione è un po’ più complicata. Si tratta dei primi timidi approcci al mondo del masochismo (che lo stesso Sacher-Masoch praticava), quindi passare da un impaccio iniziale a un gioco pericoloso diventa molto facile. Wanda si stanca presto di questo sfizio e si innamora di un terzo personaggio, l’ufficiale greco Alexis Papadopolis. La situazione diventa talmente borderline che quella che di fatto è ancora la padrona di Severin arriva a umiliarlo, facendolo frustare da Alexis stesso. Questa vilificante punizione, rivela il protagonista, arriva a svegliarlo bruscamente e riportarlo alla realtà. Si dice “guarito”, tornato in sé e pronto a tornare alla sua vita morale. Questa sorta di lieto fine, in una società come quella del tardo Ottocento, era d’obbligo. Un destino diverso spetta invece a Sacher-Masoch, che come il fondatore del sadismo De Sade, finisce i suoi giorni in manicomio nel 1895.

Non sappiamo se in cuor suo l’autore avrebbe voluto davvero questo finale per la sua storia, ciò che rimane è la storia esausta, straziante e rivoluzionaria che ha travolto il mondo dell’eros, esplorando una sfaccettatura della sessualità fino ad allora nascosta agli occhi del grande pubblico.

Illustrazione a cura di Francesca Pisano.