Mikhail Baryšnikov: un danzatore in fuga, alla ricerca della libertà artistica

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Quando si parla di fuga, viene abbastanza naturale pensare a chi è costretto ad abbandonare la propria terra per garantirsi un futuro migliore. Qualsiasi tipo di fuga, in fondo, implica il passaggio da uno stato di costrizione a uno stato di libertà, se non assoluta, perlomeno maggiore. È ciò che vediamo succedere ogni giorno ed è ciò che succede da sempre, in epoche e luoghi diversi.

Come ormai saprete, la Divulgatrice nutre una profonda passione per la Russia e la sua storia più o meno recente. Anche questa volta, perciò, non ha potuto fare a meno di concentrare la sua attenzione lì, dove, non molto tempo fa, le fughe erano all’ordine del giorno.

La storia che vi presenta oggi è quella di un celebre “evaso” dall’Unione Sovietica, nonché uno dei ballerini più famosi al mondo: Mikhail Baryšnikov. Non aspettatevi intrighi politici e avventure rocambolesche, però. Come si addice a un danzatore, anche quello della fuga è un esercizio che va eseguito con grazia.

Miša: un giovane talento in rapida ascesa

L’ascesa di Baryšnikov nel firmamento della danza è piuttosto rapida. Inizia a studiare a dodici anni – tardi, per gli standard della disciplina –, ma si fa subito riconoscere come un grande talento. A quindici anni viene accettato alla prestigiosa scuola del Teatro Kirov di San Pietroburgo (Leningrado, al tempo) e a diciotto entra a far parte del suo corpo di ballo.

Da sempre, nelle compagnie di balletto vige una gerarchia quasi militaresca, per cui è molto difficile, in giovane età, aspirare a ruoli solisti. Ma Miša è un fuoriclasse e a soli vent’anni ottiene il posto di Primo Ballerino del Teatro Kirov.

È doveroso precisare che il protagonista di questa storia inizia la sua carriera alla fine degli anni Sessanta del Novecento, perciò il contesto è quello della Russia Sovietica. I tempi non sono più così bui, come furono per Šostakovič, ma si è ancora ben lontani dalla libertà di espressione personale e artistica.

La grande Russia: gelosa madre del balletto

Tra le sue meraviglie culturali, la grande Madre Russia vanta una tradizione secolare nell’arte coreutica e ci tiene a preservarla. Senza dubbio le sue scuole e accademie sono ancora oggi tra le migliori al mondo, così come gli artisti che forgiano.

Eppure, si sa come sono le madri: oltre all’orgoglio per le proprie creature, è facile che sviluppino anche una certa dose di gelosia. Ai tempi di Baryšnikov, ciò si percepiva più che mai.

Coloro che potevano portare più lustro al panorama artistico venivano trattati con i guanti: a Miša vennero assegnati un bell’appartamento con vista sul fiume, un’auto privata e addirittura un autista. Allo stesso tempo, però, dal punto di vista artistico, i privilegi sembravano essere minori: più si saliva nella gerarchia, meno si danzava in pubblico.

Baryšnikov seguiva la sua routine di allenamento quotidiana, ma non aveva potere decisionale per quel che riguardava le esibizioni: oltre alla normale turnazione dei solisti, per cui il ruolo principale non è di un ballerino soltanto, Miša doveva subire anche il fatto di essere il fiore all’occhiello della compagnia e, per questo motivo, di doversi “conservare” per le performance più importanti.

Dentro e fuori dai confini: la gloria e l’incanto

Con performance importanti si intendono quelle, per esempio, in cui tra il pubblico vi è qualche “pezzo grosso” dell’ambiente, capace di riconoscere e ammirare la bravura dei danzatori. In questi casi, certo, il merito va sicuramente al ballerino, ma si ricade anche sempre in quella dinamica di orgoglio e gelosia per cui sono il teatro e la compagnia a trarre lustro e vantaggio, piuttosto che il singolo artista.

Altre occasioni utili a sfoggiare il talento delle proprie creature erano le tournée internazionali: viaggi-lampo in cui la compagnia veniva trasportata in un Paese straniero, fatta esibire e riportata a casa; il tutto sotto strettissima sorveglianza, nel caso qualcuno decidesse di approfittare dell’occasione per scappare dall’URSS. 

Dopo diversi anni da star del balletto russo, fu proprio in un’occasione del genere che Baryšnikov decise di non tornare più a casa.

Il Nuovo Mondo: occasioni e libertà

Miša era da sempre un artista curioso e ben consapevole delle sue capacità. Pur non conoscendo altro, c’era qualcosa nel modo russo di gestire la sua carriera che non lo soddisfaceva. I contatti con il Nuovo Mondo, seppur sorvegliati, gli fecero aprire gli occhi.

Innanzitutto, vide che i suoi colleghi occidentali erano più liberi di spostarsi da una compagnia all’altra: essi potevano scegliere in che teatro, città o paese proporsi per un’audizione in base allo stile per il quale erano più portati o nel quale desideravano cimentarsi. Scoprì, dunque, che il balletto classico non era un mostro sacro e intoccabile – seppur bellissimo –, ma che il panorama della danza offriva una gamma vastissima di tecniche diverse e nuove elaborazioni coreografiche. 

Tutto ciò gli parve troppo bello per essere visto soltanto attraverso il finestrino di un autobus che l’avrebbe riportato in Russia a interpretare – perfettamente, certo – i soliti ruoli, nei soliti modi.

La fuga: nostalgia ed entusiasmo

Nel 1974, dopo una brillante performance in qualità di Primo Ballerino del Kirov di Leningrado in tournée a Toronto, in Canada, Mikhail Baryšnikov non salì sull’autobus insieme al resto della compagnia. Si dice che all’ultimo momento cambiò strada, che ci fosse un’auto misteriosa ad aspettarlo e che poco dopo telefonò all’Ufficio Immigrazione canadese chiedendo asilo politico.

Non lo fece a cuor leggero:

«He stated that he knew that what he did was considered a crime in Russia but, in his opinion, it would have been a worse crime not to develop whatever talents he possesed».
(S. Goodman, Baryshnikov – A Most Spectacular Dancer, New York, Harvey House Publishers, 1979)
[«Dichiarò di sapere che ciò che aveva fatto era considerato un crimine in Russia, ma, a parer suo, non sviluppare del tutto il suo talento sarebbe stato un crimine peggiore», N.d.R.].

Dal Canada, Baryšnikov si spostò subito negli Stati Uniti, dove gli vennero proposti ruoli di prestigio prima all’American Ballet e poi al New York City Ballet, entrambi con sede nella Grande Mela. Il suo piano iniziale era quello di non legarsi a nessuna compagnia, ma le cose andarono diversamente, anche se non meno bene.

American Life: dal teatro al cinema, senza mai dimenticare la danza 

In America e nel mondo – mai più in Russia – Baryšnikov poté essere tutto ciò che voleva: ballerino classico, moderno, contemporaneo, coreografo e persino attore. Alla fine degli anni Settanta fu addirittura candidato all’Oscar come attore non protagonista per il film Due vite, una svolta (1977), in cui impersonava il ruolo di un ballerino russo, fuggito negli Stati Uniti.

Mikhail Baryšnikov è stato anche Aleksandr Petrovsky, uno degli amanti di Carrie Bradshaw in Sex And The City, ma innanzitutto è stato un ballerino straordinario, che ha avuto il coraggio di abbandonare la propria patria e tutte le riconoscenze che essa gli aveva offerto e avrebbe potuto offrirgli, per amore della sua arte.

Oltre ad aver entusiasmato il pubblico con le sue abilità di danzatore, Baryšnikov ha dimostrato di padroneggiare l’arte coreutica in tutte le sue sfaccettature anche in qualità di direttore artistico dell’American Ballet e come fondatore della compagnia White Oak Dance Project. Il tutto senza mai perdere l’umiltà dell’artista, che fa ciò che fa soltanto perché sa che è proprio questo ciò che deve fare. La gloria e il lustro sono secondari.