Tr3censioni in fuga

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La Critica d’arte non si capacita della fine dell’estate e così si è data da fare per scovare una via di fuga. Come al solito l’ha trovata nelle storie, ma stavolta non si è posta limiti: si è abbuffata senza ritegno di film, romanzi e serie tv. Quelli che le sono piaciuti di più sono stati trasformati nell’edizione settembrina delle Tr3censioni.

Niente di meglio di un buon racconto per allontanarsi dalla monotonia della quotidianità.

Quindi, che fare?

  • Scappare con Amy Dunne del romanzo Gone Girl e gabbare la società,
  • seguire le orme dei giovani innamorati di Wes Anderson nel film Moonrise Kingdom,
  • o mollare tutto con i protagonisti della serie HBO Run e girovagare per l’America?

Non c’è nessun bisogno di scegliere, ma solo di continuare la lettura!

Chiara ha scelto: Gone Girl

Gone Girl, tradotto in italiano come L’amore bugiardo, nasce dalla penna tagliente come un pugnale di Gillian Flynn, i cui gialli tendono a trasformarsi in film e serie tv di successo (cercate nella filmografia di David Fincher).

Thriller intelligente e capace di fuggire gli stereotipi del genere, Gone Girl racconta la storia dell’inganno ordito da Amy, vittima e carnefice di un matrimonio basato sulla falsità, per scappare dall’immagine di perfezione che le è sempre stata cucita addosso. Niente è come sembra, moltiplicato per tre: il titolo infatti può significare “ragazza scomparsa” quanto “ragazza in fuga”, oltre a mostrare un’assonanza con “gun girl” [“ragazza pistola”, N.d.R.].

Sotto accusa – metaforicamente e letteralmente – c’è Nick, il marito di Amy, brillante e affascinante solo in apparenza. Dopo la scomparsa della moglie diventa il primo sospettato di un caso di omicidio senza cadavere. A incastrarlo è prevalentemente la sua infedeltà coniugale: l’immagine di uomo di successo con più donne ai propri piedi viene ribaltata dalle circostanze, portandolo a essere visto come un individuo pericoloso.

La virilità tossica non è l’unico stereotipo imputato: non è un mistero – almeno per i lettori – il fatto che Amy sia viva, vegeta e lucidamente letale. L’autrice ci porta presto a esplorarne la mente, attraversando le pareti del cranio che suo marito aveva la sensazione di non poter penetrare. Amy ha inscenato il proprio omicidio per incastrare Nick e imbrogliare l’opinione pubblica, rivolgendole contro l’arma del luogo comune secondo cui una donna è fragile e innocua. Gone Girl è pensato per condannare gli stereotipi di genere senza fare sconti, fuggendo da essi e quindi anche dalle tipiche figure del thriller.

Chi finisce in galera e chi la scampa, in questo giallo di equivoci e intrighi evocati da specchi distorti? Dovrete scoprirlo tra le pagine del libro o nel film di Fincher.

Valentina ha scelto: Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore

«Vorrei l’amore dei film di Wes Anderson, tutto tenerezza e finali agrodolci»: cantava così Niccolò Contessa nel 2011 nella sua Wes Anderson. Queste parole riassumono davvero la bizzarra storia di Suzy e Sam, protagonisti del film Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, uscito nelle sale cinematografiche nel 2012.

Suzy e Sam sono i bambini che molto probabilmente sono stati anche tanti di noi: solitari, pensierosi, outsiders. Proprio per questo motivo il destino li fa incontrare, e lo fa nella cornice del New England della metà degli anni Sessanta. Suzy e Sam ci mettono davvero poco a organizzare la loro fuga d’amore, prevista per l’estate successiva: due lettere sono sufficienti a stabilire l’accordo. Attrezzati, partono per il sentiero dei Chickchaw, dove si stabiliscono per una notte, ascoltando dischi, esplorando la zona e chiacchierando. Inevitabilmente vengono trovati e riportati a casa, ma non dobbiamo esserne delusi. A contare è il viaggio, non la riuscita del piano. La loro fuga non è soltanto una goliardata che si fa da giovani, cretini e innamorati. La loro è un’evasione dalla società, dal futuro che li vuole già cresciuti e adulti, è la forma più primitiva di libertà.

La riscoperta e l’introspezione sono i temi chiave che accomunano molti dei film di Wes Anderson, e che si ritrovano anche in quest’opera. Suzy osserva il mondo attraverso il suo fedele binocolo.     È così che si percepisce, infatti: lontana e distaccata dalla realtà. Sam è un boy-scout ed è cresciuto in mezzo a rigide regole che la sua goffaggine e ingenuità faticano a rispettare. All’apparenza così diversi, Suzy e Sam sono in realtà spaventosamente simili. E sono molto più vicini a noi “quasi adulti” di quanto non si direbbe. Non è un film per ragazzini, dunque, e non è nemmeno una storia d’amore. È una storia di rivincita, introspezione, «inquadrature simmetriche e poi partono i Kinks».

Marta ha scelto: Run

Run è una serie tv del 2020 formata da sette episodi della durata di circa mezz’ora ciascuno, targata HBO e ideata da Vicky Jones. Di cosa parla? Credo un po’ di tutti noi: chi, a un certo punto, non ha pensato: “Questo è troppo (o troppo poco), ora mollo tutto e scappo”?

Ruby ha una vita perfettamente manchevole: ha rinunciato alle ambizioni personali e si è lasciata levigare dalla monotonia di una placida vita borghese. Billy, un tempo prototipo del fidanzato carismatico, oggi è un uomo in carriera a cui piace ricordare nostalgicamente il passato e sottrarsi alle responsabilità del presente. Una cerca il brivido, l’altro mira a un obiettivo nascosto, entrambi vogliono scappare da qualcosa. Così si incontrano nella stazione di Grand Central a New York per mettere in atto un piano ideato diciassette anni prima: prendere un treno e fuggire insieme. Cosa li attende? Menzogne, furti, ricatti? Inseguimenti, omicidi, rimorsi? Momenti di tragicomico tracollo emotivo? Inaspettate storie d’amore collaterali? Chissà.

Però ora veniamo al dunque. Perché vi sto consigliando di dedicare tre ore e mezza del vostro tempo alla visione di Run? Non starò a fingere che sia un fine capolavoro, e la riprova sta nel fatto che la serie non è stata rinnovata dopo la prima stagione. Quindi sì, non solo non è perfetta, ma non ha nemmeno un finale definitivo e si conclude con un grosso punto di domanda. Tuttavia, i motivi per guardarla rimangono. Le performance attoriali, per esempio: Domhnall Gleeson è sempre un’ottima ragione, e anche Merritt Wever non scherza. Poi, se avete amato Fleabag, sicuramente vi farà piacere rivedere il volto sardonico di Phoebe Waller-Bridge. Infine, la ragione più semplice, forse: è una serie divertente. Un po’ frenetica, un po’ nevrotica, tra il dramma leggero e la commedia nera, Run vi terrà incollati allo schermo e questo basta per farci compagnia per una serata.

Illustrazione a cura di Caterina Cornale.