La rivoluzione The Mandalorian: vento di cambiamento in casa Disney

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Anno nuovo, vita nuova. Si dice così, no? Allora non stupitevi se in questo articolo la Divulgatrice vi sembrerà un po’ più nerd del solito. Ma dovete capirla: dopo aver visto l’ultimo capitolo di The Mandalorian, si è lasciata prendere dal fangirling!

Ora, se non siete la mamma di Zerocalcare, è praticamente impossibile che non abbiate mai sentito parlare di questa serie. E se lo negaste, nessuno vi crederebbe. Chi è che non ha visto il faccino adorabile di Baby Yoda sulla propria timeline? E chi non ha reagito con gli occhi a cuoricino?

Ma bando ai convenevoli: non siamo qui per postare GIF, ma per parlare di cambiamenti, piccoli e grandi. E forse vi starete chiedendo a cosa si stia facendo riferimento. Perché usare una serie su un alieno infante di cinquant’anni e un mercenario dal volto coperto da un casco per parlare di metamorfosi? La risposta è semplice, e la trovate in questo articolo – insieme a qualche spoiler!

Coordinate spaziali

Prima di rispondere a questa domanda, è meglio fornire qualche indicazione in più a chi si trova ancora ai margini dell’universo di Star Wars.

The Mandalorian è una serie targata Lucasfilm, distribuita su Disney+ a partire dal 12 novembre 2019. La seconda stagione si è conclusa lo scorso 18 dicembre con il sedicesimo capitolo, nel tripudio generale. Ideatori e showrunner sono Dave Filoni, produttore di svariate serie TV animate in casa Star Wars, e Jon Favreau, regista e fan sfegatato del franchise.

La vicenda al centro della serie va collocata cinque anni dopo The Return of the Jedi, sesto episodio della saga. L’Impero del malvagio Darth Sidious è caduto e la Nuova Repubblica sta cercando di riorganizzare la galassia. Ai margini di questi eventi storici si muove un cacciatore di taglie mandaloriano, di nome Din Djarin. Questa figura taciturna e misteriosa si ritrova, nel primo capitolo, a dover svolgere una missione per conto di un ex ufficiale imperiale. Le informazioni fornitegli sono poche: sa solo che la “risorsa” da recuperare è molto ambita e preziosa.

È così che Din, dopo aver completato l’incarico, si trova di fronte a una creaturina verde dotata di poteri prodigiosi, battezzata dai fan Baby Yoda. Dopo qualche tentennamento, Din decide di contravvenire agli ordini e di salvare il piccolo dalle grinfie degli spietati imperiali. Comincia così un’epopea spaziale, quella di questa strana coppia alla ricerca di un luogo sicuro in cui nascondersi dai numerosissimi nemici che vogliono braccarli.

Il primo incontro tra il mandaloriano e il piccolo alieno verde, in “Chapter 1: The Mandalorian”. Fonte: Wookieepedia.

La metamorfosi di Din Djarin

Durante il corso di questo viaggio, il mandaloriano inevitabilmente cambia. Infatti, quello che inizialmente era un tipico antieroe nel finale si è trasformato in un eroe tenero e benefico.

Nel primo capitolo ci viene mostrato quanto Mando – soprannome con cui tutti lo chiamano – sia inflessibile. Non persegue il bene, ma il proprio tornaconto, con freddezza. I suoi punti di riferimento morali sono il codice dei mercenari e il credo religioso del suo popolo, The Way of the Mandalore. Nessuna eccezione è contemplata.

Tuttavia, non c’è storia senza un cambiamento. E il catalizzatore è proprio Baby Yoda – il cui vero nome è Grogu. Episodio dopo episodio, osserviamo come i gesti di Din siano sempre meno bruschi e la sua indole si faccia più indulgente verso il frugoletto verde. L’inflessibile mandaloriano comincia a provare affetto per Grogu. Per lui calpesta le regole della gilda dei mercenari e si inimica tutti i colleghi sul pianeta di Nevarro. Per lui mette in discussione la sua solitudine. Il coinvolgimento emotivo è talmente alto che Din arriva persino a compiere la rinuncia suprema: quella al suo credo. La sua religione gli vieta di togliere il casco in presenza di altri, e Din rimane ferreo su questo proposito fino al penultimo episodio della seconda stagione. Le motivazioni che lo portano a sgarrare? Ottenere i codici per localizzare la nave su cui Grogu è prigioniero e salutare come si deve il piccolo amico prima della dolorosa separazione.

Ogni concessione fatta alla propria coscienza, prima ingabbiata da regole acriticamente accettate, è accolta per proteggere il bambino. Perché è la cosa giusta da fare. E lo capisce anche chi lo circonda. Din riesce ad assicurarsi alcuni tra gli alleati più improbabili. Dall’agente della gilda Greef Karga al robot-sicario IG-11, dall’ex stormtrooper Migs Mayfeld alla soldatessa ribelle Cara Dune, tutti intervengono per il bene di Grogu. Persino un giovane maestro jedi di nome Luke Skywalker.

La metamorfosi dell’universo Star Wars

Dopo essere subentrata alla guida di Lucasfilm nel 2012, Disney ha introdotto molti cambiamenti, e non sempre con una direzione precisa. Il desiderio è quello di creare un universo espanso in stile Marvel, e l’assemblea degli azionisti del 10 dicembre scorso lo ha confermato. Le potenzialità ci sono sempre state, anche prima del 2012. Ma è dura mantenere la coerenza, quando i materiali narrativi sono così tanti e così eterogenei. La direzione oscilla tra la conservazione e l’innovazione. Se da una parte alcune storie ormai fuori canone sono state parzialmente recuperate all’interno di vicende inedite, dall’altra la casa di produzione sta cercando di diversificare sperimentando nuove forme di narrazione.

The Mandalorian non è la prima serie TV ambientata nell’universo di Star Wars, ma è la prima in live-action. Una serie sui mandaloriani – e un videogioco?era già nei pensieri di Lucas nel 2005, ma l’idea era stata accantonata per via dei costi di produzione eccessivi. Nel 2017, nel pieno del fermento della trilogia sequel, è poi ritornata sul tavolo.

Il cambio di formato è una scelta rischiosa. Introduce nuovi rischi. E le conseguenze di un passo falso si ingigantiscono, quando ad attendere il prodotto c’è una fanbase notoriamente molto appassionata e molto suscettibile. Dopo il malcontento generato da The Last Jedi e The Rise of Skywalker, bisognava riuscire a compiacere i vecchi fan e a fidelizzare quelli giovani. L’obiettivo era raccontare qualcosa di nuovo, ma con la stessa inconfondibile patina dei film di quarant’anni fa. Insomma, nuovi mondi e personaggi, ma il gusto doveva essere quello di sempre.

Din Djarin si scontra con Ahsoka Tano nelle paludi di Corvus, in “Chapter 13: The Jedi”. Fonte: Wookieepedia.

La metamorfosi delle forme narrative

Dato il successo di The Mandalorian, Jon Favreau sembra aver trovato il modo per soddisfare le aspettative. E ci ha regalato – per ora – sedici episodi da mezz’ora l’uno di uno spettacolare western spaziale.

Rispettando il volere di Lucas, Favreau è riuscito a creare una narrazione archetipica vicina al mito. Ma ha fatto di più: ha creato il primo esemplare di un racconto diverso e insieme familiare. The Mandalorian esplicita gli stilemi western che erano già insiti nella trilogia originale e si lascia ispirare da un immaginario al crocevia tra A New Hope e Mad Max.

Il layer fantascientifico, se lo guardiamo attentamente, lascia trasparire ciò che sta immediatamente sotto. La narrazione è ambientata in un’epoca di transizione: il vuoto lasciato dall’autorità decaduta non è ancora stato completamente riempito. L’Outer Rim, come il Far West, è una plaga distante dai centri del potere e non è stata ancora raggiunta dalla nuova legislazione. I pianeti sono sperdute cittadine di frontiera, una cavalcata su un blurrg indomabile sostituisce la monta di un cavallo imbizzarrito. Ci sono stalli alla messicana con sceriffi spaziali e assalti alla diligenza orchestrati su navi imperiali. Il mandaloriano, tenebroso straniero, giunge nella sperduta Mos Pelgo per salvare la popolazione dai banditi, proprio come il Django di Franco Nero. E poi la mantella di Din non vi ricorda quella di Clint Eastwood in Per un pugno di dollari?

I dialoghi serrati ed essenziali lasciano la ribalta alla purezza dell’azione e alla ricchezza dell’aspetto visuale della narrazione. E questo, insieme alla colonna sonora semplicemente indimenticabile di Ludwig Göransson, fa di The Mandalorian un’esperienza appagante in ogni suo aspetto.

La metamorfosi della tecnologia

Come abbiamo detto, il cambiamento introduce nuove difficoltà. E per i produttori dello show, tra le altre, c’era anche come girare una serie di questo tipo.

La potenza del visual design è uno degli aspetti più apprezzabili di The Mandalorian. La varietà di specie aliene rappresentate e di pianeti visitati impone ostacoli non indifferenti alla costruzione di ambienti reali. Tuttavia, la tecnologia sulla quale tradizionalmente si appoggia la CGI è egualmente inutilizzabile. Il buon vecchio green screen da rimpiazzare in post-produzione non poteva funzionare. L’armatura scintillante del mandaloriano avrebbe riflesso il verde dello sfondo in ogni fotogramma e imposto un enorme lavoro di post-produzione. Come ovviare?

È per rispondere a questa domanda che nel 2018 Lucasfilm e ILM creano StageCraft. StageCraft è uno spazio di realtà virtuale costituito da una struttura circolare del diametro di ventitré metri, ricoperta di LED. Sulle pareti scorrono immagini in 3D altamente responsive, che mutano a seconda dei movimenti della videocamera, grazie a un motore grafico per videogiochi. Questo consente di creare sfondi non piatti ma realistici, oltre che di introdurre effetti speciali raffinati in fase di produzione. Inoltre, permette di cambiare ambientazione velocemente e anche di ridisegnare la morfologia del paesaggio in tempo reale sul set. Infine, il vantaggio è evidente anche per gli attori, che recitano così in uno spazio allestito, anche se digitale, e non in una spoglia stanza verde.

Quando vediamo Din camminare sulla sabbia di Tatooine o nelle paludi di Corvus, in realtà stiamo guardando attori che si muovono in uno spazio che non esiste. Può sembrare sorprendente, ma quello che vediamo nella serie è in larga parte creato digitalmente.

Fett e Mando

The Mandalorian ha innovato e rinnovato il franchise in molti modi inaspettati, ma il più interessante è quello di cui non abbiamo ancora parlato. Lo show, infatti, contribuisce a riscrivere la storia di uno dei popoli più affascinanti dell’universo di Star Wars: i mandaloriani.

Definire cosa sia un mandaloriano non è un’impresa facile. Intanto, possiamo affermare che i mandaloriani sono un popolo di guerrieri rivestiti da casco e corazza, organizzato in clan, ora decimato a seguito di un genocidio sistematico. Chi conosce un po’ la storia di Mandalore potrà obiettare che questa definizione è imprecisa in più punti, ma non occorre approfondire ulteriormente ai fini della nostra trattazione.

Il primo mandaloriano a noi noto è il leggendario Boba Fett, comparso fugacemente nel 1980 in The Empire Strikes Back. Nessuno lo chiama mai mandaloriano, nel corso del film. Secondo le intenzioni iniziali, doveva essere una sorta di supertrooper, ma poi venne riqualificato come cacciatore di taglie. Aveva a malapena un nome, niente di più. E ciononostante, diventò immediatamente un personaggio iconico per i fan più accaniti, che non avevano avuto bisogno di un background per amarlo.

Con la trilogia prequel la storia comincia a complicarsi. Scopriamo che Boba Fett è il clone di un cacciatore di taglie di nome Jango Fett, dotato di un’armatura tipicamente mandaloriana che indossa senza appartenere a quel popolo. Su Mandalore, però, si sa ancora poco.

Le serie animate Rebels e The Clone Wars hanno offerto qualche indizio in più, fino all’uscita di The Mandalorian, che spariglia di nuovo le carte. Sì, perché sullo schermo vediamo ben tre mandaloriani – Boba Fett, Din Djarin e Bo-Katan Kryze – e nessuno di loro, oltre all’armatura, sembra avere qualcosa in comune con gli altri.

Din Djarin (a sinistra) e Boba Fett (a destra) in un fotogramma tratto da “Chapter 15: The Believer”. Fonte: Wookieepedia.  

La metamorfosi dei mandaloriani

Perché, dopo aver scoperto la regola che impone l’uso del casco, vediamo Bo-Katan, legittima erede al trono di Mandalore, mostrare il viso senza timori? Anche Boba Fett lo fa, ma non è così sconvolgente, conoscendo le sue origini.

La rivoluzione, forse, sta tutta qui. Mando, mezzo attraverso cui i fan si aspettavano di poter decifrare l’enigma dei mandaloriani, è solo un elemento che complica ulteriormente il quadro. Din, come fa notare Bo-Katan, aderisce – senza saperlo – a quella che è una setta ristretta di fanatici religiosi mandaloriani. La confusione su questo popolo, dovuta all’andamento instabile con cui ne è stata definita l’identità negli ultimi quarant’anni, viene integrata come parte della finzione. Noi, come il personaggio, non sappiamo a cosa credere. Noi, come lui, non sappiamo nulla della vera storia di Mandalore.

La rivoluzione mandaloriana ci ha dato questa e altre soddisfazioni. Ora non ci resta che aspettare ancora una volta l’imprevedibile, nell’attesa della terza stagione.

Illustrazione a cura di Noemi D’Atri.