La ragazza del convenience store: trovare rifugio in un minimarket

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Fuggire non significa scappare da qualcosa o da qualcuno, abbandonare tutto ciò che si possiede per raggiungere luoghi remoti. A volte, fuggire è allontanarsi da se stessi, annullarsi per essere ciò che gli altri si aspettano da noi.
Questo è quanto succede a Furukura Keiko, protagonista della Ragazza del convenience store, romanzo di Murata Sayaka di cui la Critica d’arte si è innamorata.

Murata Sayaka, nata nel 1979 a Inzai, nella prefettura di Chiba, ha esordito nel 2003 con il racconto Jyunyū. Ma il vero successo è arrivato nel 2016 quando sugli scaffali delle librerie giapponesi è comparso La ragazza del convenience store, vero e proprio bestseller che in Giappone ha venduto più di 700.000 copie, a oggi unica sua opera approdata in Italia grazie a Edizioni e/o.

Paragonata spesso alla Banana Yoshimoto delle origini, quella di Kitchen e Presagio triste, Murata Sayaka si distingue per uno stile vivace e concreto, frutto di un’osservazione scrupolosa della società giapponese. La disparità di genere, l’asessualità e il nonconformismo sono alcune delle tematiche principali della sua produzione letteraria, che si ritrovano anche nella Ragazza del convenience store, insignito nel 2016 del premio Akutagawa.

Un konbini aperto ventiquattro ore su ventiquattro

Furukura Keiko. Trentasei anni. Single. Impiegata part time in un konbini aperto ventiquattro ore al giorno. Questa è l’“anormale” protagonista della Ragazza del convenience store.

Fin da bambina Keiko è diversa dai suoi coetanei, la sua mente la porta a fare connessioni logiche che nessuno si immaginerebbe. Per lei è normale interrompere una lite tra due compagni di classe colpendo uno dei litiganti in testa con una pala; così come proporre a sua madre di cuocere per cena un passerotto morto trovato al parco. Eppure, quei comportamenti che a lei sembrano normali non sono altro che fonte di preoccupazione per i genitori e di continui rimproveri da parte degli insegnanti.

E così, per evitare di creare problemi ai propri familiari, il mutismo e la fuga da sé, intesa come annullamento della propria persona, sembrano essere per la piccola Keiko l’unica soluzione possibile.

Perciò decisi che da quel momento in poi avrei aperto bocca il meno possibile quando ero lontana da casa. Avrei evitato di prendere iniziative personali, a costo di adeguarmi agli altri in tutto e per tutto e di piegarmi alle loro regole.

Murata Sayaka, La ragazza del convenience store, Roma, Edizioni e/o, 2018, p. 20.

Omologata alla società e rispettosa delle sue regole, Keiko si iscrive all’università e, come molti studenti giapponesi, trova un lavoro part time in un konbini, un minimarket aperto ventiquattro ore su ventiquattro: «Ero al primo anno di università quando aprì lo SmileMart vicino alla stazione di Nisshokuchō, il primo maggio 1998». (ivi, p. 22.)

È al convenience store che la protagonista dedica tutta la sua esistenza, il piccolo supermercato diventa la sua ragione di vita, un microcosmo in cui lei deve solo seguire delle regole – quelle del manuale che ogni commesso deve imparare a menadito – e non esprimere la sua personalità. Tuttavia, questa sua condizione è malvista dalle amiche del liceo e motivo di preoccupazione per i famigliari, in particolare per la sorella Asami.”.

Questa situazione per lei idilliaca cambia quando allo SmileMart viene assunto Shiraha, un trentacinquenne in cerca di moglie convinto che la società non si sia più evoluta dal periodo Jōmon (1000-300 a.C.), con cui Keiko decide di convivere.

Irasshaimase!

Irasshaimase, il saluto con cui Keiko accoglie i clienti, è il trait d’union tra il mondo del konbini e la realtà esterna.
Il konbini è l’universo in cui la protagonista ha trovato la sua dimensione: se segue scrupolosamente le regole che le vengono imposte, nessuno la può considerare “anormale”. Ma è anche la sua unica ragione di vita, le sue giornate sono sincronizzate con ritmi del minimarket e ogni sua azione è fatta in funzione del lavoro. Ogni mattina controlla le previsioni del meteo per decidere con quali cibi e bevande rifornire gli scaffali; le sue passeggiate nei dintorni del konbini hanno il solo scopo di capire i cambiamenti che avvengono nel quartiere e poter prevedere la merce da ordinare; si nutre solo per avere le forze necessarie per svolgere le mansioni che le sono affidate.

In un konbini bisogna impegnarsi e conservare il proprio posto di commesso il più a lungo possibile. Non c’è niente di più semplice: è sufficiente indossare la divisa e attenersi alle regole del manuale. […] Basta assumere le sembianze di una personale “normale” […].

ivi, p. 97.

Il bisogno di Keiko, infatti, è di essere un ingranaggio indispensabile al corretto funzionamento del konbini, di incarnare la commessa ideale, una sorta di essere mitologico considerato solo alla luce del suo lavoro e non del suo essere donna. Per questa ragione annulla la sua personalità assorbendo ogni input proveniente dal cosmo del convenience store: copia il look della collega Izumi e mima le espressioni facciali e il modo di parlare della collega Sugawara.

E come afferma Asami: «Da quando lavori in quel konbini sei diventata ancora più strana. Persino il tuo modo di parlare è cambiato… Hai un’espressione innaturale, […] comportati come una persona normale!». (ivi p. 135.)

Tuttavia, il mondo del konbini in cui Keiko ha trovato rifugio si sgretola sotto i suoi piedi quando il capo e i colleghi vengono a conoscenza della sua convivenza con Shiraha. In quel momento non è più vista come una commessa ma, semplicemente, come una donna, e tutti iniziano a trattarla come tale. L’attenzione degli altri commessi si incanala verso la sua vita privata.
Keiko capisce di non essere più indispensabile allo SmileMart.

“Anormali”

Keiko e Shiraha condividono un destino comune: entrambi sono persone “anormali”. Keiko, fin da bambina, è sempre stata considerata diversa e, una volta diventata adulta, la percezione che gli altri, i “normali”, hanno di lei non è mutata. A trentasei anni, Keiko non è come le altre donne della sua età: è single, non ha stimoli sessuali, non è interessata a trovare un marito o un fidanzato e a cercare un vero impiego a tempo pieno. E in questo suo essere non conforme ricorda Yeong-hye, protagonista della Vegetariana di Han Kang.

[…] perché tu sei strana, sei diversa. Una zitella di trentasei anni, molto probabilmente ancora vergine, che lavora come una schiava in un konbini, senza la minima ambizione di sistemarsi. Sei un’intrusa, un corpo estraneo, e nessuno osa dirti le cose in faccia perché fai ribrezzo.

ivi, p. 125.

Shiraha, dal canto suo, non è in fuga da se stesso ma dalla società, una società che ritiene fossilizzata nella Preistoria. L’uomo è convinto che dal periodo Jōmon tutti coloro che, come lui, sono considerati inutili vengono eliminati, scartati, neutralizzati. La stessa Keiko è ormai un fardello per la società.
Consapevole di questo e della sua inettitudine, decide di vivere come un parassita. Si fa assumere allo SmileMart solo per trovare una moglie, possibilmente bella e ricca, che gli permetta di avviare un proprio business su internet. E per raggiungere questo suo obiettivo non rinuncia a pedinare le clienti e molestare le colleghe.

Ho sempre voluto farla pagare a tutte quelle donne che si sentono autorizzate a vivere come parassiti schifosi solo in virtù del loro sesso. Come? È semplice: diventando io stesso un parassita, uno di quelli della peggior specie.

ibidem.

Quindi, per essere considerati “normali”, Keiko propone a Shiraha di trasferirsi nel suo monolocale. Entrambi possono trarre vantaggio da questa convivenza. Shiraha può vivere nascosto dal mondo e sopravvivere grazie a Keiko; Keiko, a trentasei anni, può finalmente far credere di aver trovato un uomo e di essere uguale alle sue coetanee.

In questo piccolo mondo che si regge sulla normalità gli elementi estranei devono essere eliminati, uno dopo l’altro, in silenzio. Le presenze anomale vanno scartate. Ecco perché devo guarire. Altrimenti sarò allontanata dalla grande tribù delle persone normali.

ivi, p. 86.

Tuttavia, la ricerca di questa normalità, la continua fuga dalla propria persona e la necessità di Keiko di mantenere se stessa e Shiraha portano la protagonista a una scelta drastica. Ma c’è una certezza: Keiko non è un essere umano, ma la commessa di un konbini.

Rielaborazione grafica a cura di Francesca Pisano.