Quando la narrazione si fa sogno: un’escursione tra titoli onirici

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La letteratura, del resto, non è che un sogno guidato.

J.L. Borges, Il manoscritto di Brodie, Milano, Adelphi, 1999, p. 7.

Si può dire che l’arte in generale – e la letteratura in particolare – sia lo strumento che l’uomo utilizza per rendere comprensibili i propri sogni e razionalizzarli? Insieme alle proprie farneticazioni? Alle proprie visioni?

Un’intensa attività onirica, intricata e piuttosto fantasy, ha portato la Divulgatrice a porsi questo quesito, e poi a renderlo una tesi da dimostrare attraverso l’attività da lei favorita in assoluto: lo sproloquio letterario.

È stato detto che l’uomo è fatto della stessa sostanza dei sogni e di certo troviamo un bel po’ di questa sostanza anche tra le pagine dei libri, capaci di dilatare in qualche modo lo spazio e il tempo della nostra breve vita verso l’infinito (e oltre). Allora forse non si tratta solo di retorica impalpabile, forse esiste anche un rapporto di pratica meccanica che lega il sogno alla narrazione. Cominciamo dal principio.

Sognare

L’enciclopedia più famosa e globale del mondo ci insegna che il sogno è un fenomeno psichico, composto da suoni e immagini percepite come reali, legato al sonno. Esso, a sua volta, è una necessità fisiologica apparentemente inattiva, durante la quale il soggetto dormiente recupera energia. 
Questo vale per la vita oltre la pagina; in letteratura, invece, il sogno può essere sfruttato come un espediente narrativo, spesso con effettivi creativi rivoluzionari.

I racconti in cui alla fine si scopre che tutte le vicende lette fino a quel momento erano “tutte nella testa del protagonista” possono generare un tipo di frustrazione che è possibile sfogare soltanto attraverso gesti violenti contro il libro in questione. Ma è altrettanto vero che questo non è l’unico modo in cui il sogno può essere utilizzato all’interno di una storia. Si tratta soltanto del più banale. 

Il sogno può essere oggetto di un racconto o di una poesia, può ricoprire la funzione di motore narrativo, o venire usato come un trucco da prestigiatore per creare un’atmosfera particolarmente suggestiva. A volte costituisce la struttura stessa di un intero genere. Sognare, spesso, è la chiave del successo.

Un sogno rivoluzionario: Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll

Quando Lewis Carroll, o meglio il reverendo Charles L. Dogson, scrisse Alice nel paese delle meraviglie intendeva creare una favola divertente, a base di giochi linguistici e nonsense, per una bambina che conosceva.
L’onirismo dell’opera è palesato fin dall’inizio, benché il sogno sia più di una scappatoia per Alice. È la strada verso un mondo interiore, da considerarsi intangibile, più che meramente immaginario.

Carroll era dotato di una spiccata abilità logico-matematica oltre che di una profonda cultura filosofica: si può supporre che questi aspetti della sua educazione e della sua psicologia lo aiutarono ad anticipare l’analisi freudiana del sogno, sebbene in maniera bizzarra.

Alice nel paese delle meraviglie, così come il suo seguito Alice attraverso lo specchio, è stato relegato per decenni nel reparto di storie per bambini, ignorando a bella posta il violento scempio delle ostrichette ad opera del tricheco e gli istinti omicidi della Regina di Cuori. Eppure l’elemento più affascinante e inquietante di tutti è proprio il canale che Alice attraversa per cominciare a vivere le sue avventure: la discesa nella tana del Bianconiglio e la conseguente caduta nei profondi recessi della sua stessa mente. Una bambina vittoriana si rifugia nell’antro interiore delle proprie stranezze per fuggire dalla realtà di un contesto di repressione sociale degli istinti e sfogare i propri impulsi, anche quelli violenti che secondo l’abituale concezione non si addicono all’infanzia. La visione di Carroll, attraverso il sogno, ha aperto un minuscolo spiraglio nel mondo della psicanalisi prima che quella stessa porta venisse spalancata da Sigmund Freud qualche decennio più tardi, attraverso studi dall’aspetto più rispettabile e degni dell’attenzione degli adulti.

La dimensione onirica di questa “favola per bambini” è stata reinterpretata in tempi più moderni sotto forma di videogiochi horror come American McGee’s Alice e il sequel Alice: Madness Returns; i suoi concetti sono stati rielaborati nel film Matrix, un’opera notoriamente focalizzata su una realtà fittizia imposta ai protagonisti per occultare l’orrore di un mondo reale governato da intelligenze artificiali. Proprio come la nostra psiche, Alice nel paese delle meraviglie riveste idee conturbanti di sogni affabulatori e meravigliosi.

Quando il sogno racconta la realtà: l’insetto di Kafka

Uno dei racconti più discussi e analizzati del Novecento è probabilmente La metamorfosi di Franz Kafka
Lo scrittore boemo è riuscito a descrivere, in queste pagine di surrealismo profondo, emozioni vivamente umane, ambientandole in un contesto raffigurato con precisione e metodo. Per questo spesso la sua opera è descritta come appartenente a un realismo surreale, dal retrogusto metafisico.

In quest’opera, e in altre di Kafka, assistiamo a un’inversione di ruoli: il sogno è il soggetto del racconto, la realtà si presenta in veste di tocco di stile, cosa che precipita il lettore in una dimensione di assurda veridicità.

Niente nella Metamorfosi è lasciato al caso: ogni aggettivo, ogni avverbio serve a creare le sensazioni di un uomo risvegliatosi insetto. L’insetto è reale perché l’uomo lo era; Gregor Samsa continua a esistere, solo che il suo aspetto è differente. Non si va per il sottile: l’insetto non è un simbolo ma una realtà difficile da accettare; è l’impossibilità del comunicare, è l’alienazione dal proprio contesto familiare nel momento in cui non si rispettano le tappe decise dalla classe sociale di appartenenza.

Gregor Samsa è infatti un commesso viaggiatore, un uomo adulto e provvisto di un lavoro che si ostina a vivere con i genitori e la sorella nubile: la sua presenza è disgustosa, va evitata, occultata e infine eliminata.
È un uomo che non ha voluto occupare il posto per lui designato in una famiglia sua, all’interno di una classe sociale rigidamente borghese, contenuta in una società che non ammette infantilismi. Il suo handicap fatale lo emargina totalmente dall’ambiente che dovrebbe essere la sua casa. La tragedia di Samsa comincia quando si risveglia una mattina a causa di sogni agitati, che soppiantano bruscamente la dimensione realistica del racconto. Essi si sovrappongono alla vita reale di un lettore che magari è un trentenne, magari è borghese, magari si sente pure intrappolato da una società pretenziosa ma senza sbocchi nella casa dei propri genitori insofferenti.

Questa è la terribile realtà veicolata dal corpo insettiforme del protagonista della Metamorfosi. Una realtà onirica che, a distanza di molti anni dalla prima pubblicazione, racconta ancora benissimo la condizione della gioventù italiana contemporanea, soprattutto soffermandosi su un dettaglio: il disprezzato insetto lavorava per ripagare il debito dei propri genitori. 

Il sogno come motore narrativo: La storia infinita di Michael Ende

Precedentemente è stato constatato quanto siano odiose le storie che si rivelano un sogno del protagonista. Avviso al pubblico: stiamo per contraddirci. La storia infinita di Michael Ende è un esempio stucchevole, eppure amatissimo, di cosa significa scrivere un racconto per bambini pieno zeppo di irrinunciabili moralismi e di viaggi fantastici partoriti dalla mente del protagonista, che semplicemente non riesce a dispiacere. Ne abbiamo troppo bisogno.

Nella maniera più classica che si possa immaginare, Bastiano trova un libro incantato che gli permette di vivere un’avventura all’interno di un mondo fantastico, con lo scopo di salvare i suoi bizzarri abitanti e l’Infanta Imperatrice dallo spaventoso Nulla divoratore.
Cos’ha di speciale? Niente. Eppure tanto. La storia infinita ha catturato generazioni di lettori con un’idea molto semplice: non bisogna rinunciare ai propri sogni, pena la cancellazione di noi stessi. Sembra un manuale di autoaiuto, eppure risponde a un bisogno infantile e incancellabile dell’essere umano: quello di sentirsi dire che i propri desideri e le proprie aspirazioni sono importanti e di non rinunciarci. L’effetto risulta irresistibile.

Il romanzo ha però almeno una connotazione interessante che lo salva dalla banalità su un piano letterario. Prima di tutto Bastiano non si percepisce fisicamente in viaggio con i suoi amici fantastici, però scoprirà di poter influenzare – desiderandolo – le azioni di chi vive nel libro. L’esperienza è reale e angosciante nei momenti peggiori ed esaltante in quelli migliori, perché Bastiano si identifica a un livello profondo con Atreyu, l’effettivo eroe del libro. I due bambini sono facce della stessa persona e ne coinvolgono una terza: il lettore della Storia infinita – chiunque esso sia – che legge di un bambino che sta leggendo un antico libro intitolato La storia infinita.

Questa triade è la vera protagonista: Atreyu l’eroe, oggetto di identificazione e attore sulla scena, Bastiano il protagonista, soggetto della storia che si identifica in Atreyu come spettatore, e il lettore effettivo del libro, che si identifica in entrambi come spettatore e attore della storia in contemporanea.

Il sogno è utilizzato da Ende come espediente tridimensionale che trascende il piano narrativo, giocando con l’identità del lettore nel piano reale, fuori dal libro, oltre che con quello della storia fantastica raccontata nella dimensione fittiziamente reale di Bastiano. Per questo, l’esperienza di lettura di questo libro trascende la letteratura per l’infanzia ed è consigliato a qualsiasi età.

Il legame ineluttabile tra sogno e libro: Il mare senza stelle di Erin Morgenstern

I sogni non costituiscono i protagonisti del Mare senza stelle, né fungono da benzina per particolari motori narrativi: questo libro di Erin Morgenstern è semplicemente tenuto insieme dall’atmosfera onirica che lo permea e lo intride come un collante.  Uscito nel 2020 e presentato da recensioni favorevolissime, Il mare senza stelle si fonda su una narrazione fumosa, densa di simboli e inframmezzata da racconti fiabeschi che hanno tutto e niente a che fare con la narrazione principale.
Un libro che non ha molto di solido al suo interno ma che ha stregato un numero impressionante di lettori, classificandosi tra i casi letterari della sua annata. Ciò è potuto accadere principalmente per un motivo: la capacità dell’autrice di sprofondare il suo pubblico in un sogno a occhi aperti. Le pagine del libro copiano la meccanica onirica della mente di un amante dei libri, guidandolo in un’immensa biblioteca che contemporaneamente è anche un mare di miele, un guazzabuglio di storie, un hotel infestato da servizievoli fantasmi e un cantastorie capace di tessere meraviglie. Il senso estetico dell’autrice supera platealmente quello da narratrice, ma funziona lo stesso. In questo caso è il lettore di questa tipologia di libro a venire smascherato dal trucco usato dall’affabulatrice scribacchina: quello che chiede il lettore del 2020 è un pacchetto di pagine sapientemente rilegate per avere un bell’aspetto, che sappia percorrere con maestria la bellezza dei libri senza esserne davvero uno. Un libro oggetto, un libro gioco, un sogno impaginato: chissà se Erin Morgenstern si è resa conto di aver catturato il nocciolo più essenziale della narrazione, pur senza raccontare nulla di nuovo?

Privati del sonno moriremmo, ma cosa succederebbe se smettessimo semplicemente di sognare? Probabilmente la stessa cosa. La letteratura mostra, secolo dopo secolo, quanto l’umanità abbia bisogno di fare ordine tra i propri sogni, creandone di coscienti, mettendoli su pagina e organizzandoli con strutture complesse, fantasiose, meravigliose e profonde. Dall’Ottocento all’anno scorso, non si è mai smesso di sognare attraverso i libri, così come non si evitava di farlo prima di allora e come non si smetterà in seguito. Sognare – come fare letteratura – risponde all’eterno bisogno di raccontarsi a sé stessi.

Illustrazione a cura di Francesca Pisano.