Al di là di ogni definizione: Marc Chagall colora Rovigo

Al di là di ogni definizione: Marc Chagall colora Rovigo

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A Rovigo, nelle sedi espositive del quattrocentesco Palazzo Roverella, si volteggia in cieli sgargianti mantenendo i piedi ben saldi per terra. Questo perché la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo ha portato nel piccolo capoluogo polesano i dipinti di Marc Chagall, un pittore-poeta sperduto nella dimensione del sogno.

La mostra, che si intitola Marc Chagall. Anche la mia Russia mi amerà, è stata inaugurata il 18 settembre e rimarrà aperta fino al 17 gennaio 2021. Attualmente, la mostra non è visitabile, nel rispetto del Dpcm del 3 novembre 2020. Ma l’Organizzatore di eventi di Galleria Millon è riuscito a visitare Palazzo Roverella prima della chiusura straordinaria, e ha voluto proporci un assaggio di quella che potrebbe essere la nostra futura visita: un’incantata esplorazione dei luoghi dell’anima di questo artista.

Al suo fianco, volteggiamo nelle sale come gli amanti leggiadri di Chagall, tra i pinnacoli delle cattedrali parigine e i comignoli innevati dei villaggi russi. E mentre ci perdiamo nell’aria impalpabile ed elettrica, schivando galli, capre e cavalli dagli occhi a mandorla, sentiamo una forza leggiadra che ci attira verso il basso. Sono le radici di questa storia, quelle che ci porteranno all’origine del suo mondo.

Cieli e radici

Durante l’inaugurazione, la curatrice della mostra Claudia Zevi esorta i visitatori a dimenticare tutto quello che credono di sapere su Chagall. Lo dice presentando alla stampa alcune delle settanta opere in esposizione. Tra le tele, spiccano prestiti eccezionali provenienti da quelli che sono i più prestigiosi musei europei, come il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, il Pompidou di Parigi, la Thyssen-Bornemisza di Madrid e la Galleria Tret’jakov di Mosca. Ma non solo: un numero consistente di quadri appartiene alla collezione privata di madame Meret Meyer, nipote di Chagall. Settanta opere attraverso cui ritorniamo alle origini della pittura chagalliana, catapultati in una terra distante nello spazio e nel tempo.

La chiave di interpretazione del nostro viaggio sta tutta nel nome della mostra, Anche la mia Russia mi amerà, che riprende le parole conclusive dell’autobiografia dell’artista russo, Ma Vie: anche la sua patria, che tanto gli ha dato, non potrà che riconoscere il suo valore.

Ma cosa ha dato la Madre Russia all’esule Chagall? La mostra tenta di rispondere a questa domanda in diversi modi, dissotterrando le radici che ancorano a terra le figure leggiadre dell’artista. Da una parte, la presenza di alcuni lubki – le litografie riprodotte in serie e colorate a mano per le masse – rivela l’influenza che hanno avuto la cultura popolare russa e il folklore favoloso delle campagne sui personaggi che popolano i suoi quadri. Dall’altra, una strana miscela simbolica, fatta di riferimenti incrociati alla tradizione dell’ebraismo chassidico e a quella delle icone cristiano-ortodosse, infonde nelle opere di Chagall una spiritualità pacata, pura e sincretica.

Anche se è un artista a cui piace stare con la testa per aria, il suo sguardo è sempre rivolto all’indietro: verso il suo Paese natale, verso la cultura che l’ha preceduto, verso il ricordo di un passato perduto. Al di là della realtà, in tutti i sensi.

Marc Chagall, Il matrimonio, 1918, Galleria Tret’jakov (Mosca).

Un russo naturalizzato francese

Marc Chagall nasce nel 1887 nella russa Vitebsk da una famiglia di ebrei chassidici. Finanziato da un mecenate locale, nel 1911 ha la possibilità di trasferirsi a Parigi, dove vive di stenti per qualche anno nell’atelier-alveare della Ruche. Nella capitale francese, rinfresca la sua tavolozza e si lascia inebriare dai i colori vividi degli impressionisti, dei postimpressionisti e dei fauves. Inoltre, comincia a elaborare il suo stile personale e inconfondibile, guadagnandosi la partecipazione ad alcuni Salon des Indépendants e Salon d’Automne.

Alla vigilia della Prima guerra mondiale, Chagall ritorna in Russia per quella che avrebbe dovuto essere una breve visita, ma che in realtà si prolungherà fino al 1922. Nel 1915 sposa la sua prima e indimenticata consorte, Bella Rosenfeld, dalla quale avrà una figlia, l’indomita Ida. Negli anni a venire, collabora con il nascente stato sovietico accettando l’incarico di commissario delle belle arti a Vitebsk e, in seguito, un incarico ufficiale per il teatro ebraico di Mosca. Tuttavia, si sente fuori posto. Incompreso dal partito, dopo essere stato estromesso dalla sua stessa Accademia, Chagall abbandona la patria e, dopo una sosta a Berlino, ritorna a Parigi.

Marc Chagall, L’ebreo in rosso, 1915, Museo di Stato Russo (San Pietroburgo).

L’ebreo errante Marc Chagall

Seguono anni concitati e dolorosi. Negli anni Quaranta le sue tele si riempiono di cieli neri, immagini di esodo e animali rosso sangue. L’Europa collassa sotto l’orda nazista, che distrugge tutto e tutti. Le sue opere sono bandite dai musei, bollate come arte degenerata. Inizia una peregrinazione che lo vede in costante movimento, dalla Francia al Portogallo. Sulle coste lusitane, lo attende una nave: l’unica speranza per la salvezza è un visto provvidenziale per gli Stati Uniti. Nel 1944 l’amatissima moglie muore e trasmigra dentro le sue tele, in una dimensione sospesa ricolma di dolore personale e universale.

Dopo la guerra, ritornano i cieli limpidi, e un accenno di felicità. Rincasa in Francia, e si stabilisce con la nuova moglie a Saint-Paul-de-Vence, dove rimarrà fino alla sua morte, nel 1985. Arrivano le grandi commissioni – una serie di opere monumentali per il Metropolitan di New York, l’Opéra Garnier di Parigi e il parlamento di Gerusalemme –, mentre musei prestigiosi come il Louvre e il Pompidou gli dedicano delle retrospettive. Il successo, infine, sopraggiunge, ma Chagall dentro è sempre lo stesso. È l’involucro di un ricordo struggente, fatto di lontane terre innevate, di mazzi di fiori stretti da mani amate e di voli incantati tra le sbarre della Tour Eiffel.

A sinistra: Marc Chagall, Autoritratto con pendola, 1947, collezione privata.
A destra: Marc Chagall, La pendola dall’ala blu, 1949, collezione privata.

Marc Chagall senza confini

Marc Chagall è un artista a cui i limiti netti imposti dalle etichette che applichiamo alla realtà stanno stretti. La sua arte è un continuo scavalcamento, un movimento colorato di pennello che si insinua oltre ogni linea di demarcazione tracciata. Perché c’è sempre un al-di-là da prendere in considerazione.

Inevitabile, quando si parla di un pittore estraneo a qualsiasi corrente artistica. Non che non le abbia conosciute, anzi. Chagall ha lavorato a stretto contatto con le avanguardie, eppure non si è mai lasciato fagocitare da un movimento. La sua è una visione senza confini: ariosa, libera, ineffabile. Rinuncia alla gravità per capovolgere le città e sollevare in aria gli amanti. Rifiuta le tradizionali regole compositive della pittura occidentale per giocare con le proporzioni. Affianca le figure bibliche ebraiche ai simboli del cristianesimo, fondendole in un sincretismo innocente, che pone al sicuro al di là di ogni dogma. Sceglie colori talmente brillanti e potenti che potremmo incontrare soltanto in un sogno. Un sogno sgorgato dalla memoria: al di là del momento presente – scandito dalle lancette di una pendola alata – ritorna la moglie defunta, di nuovo viva, ancora splendente nel suo vestito da sposa. E a fianco a lei, Chagall, l’ebreo errante in esilio perenne, in cammino in una selva di ricordi e di simboli favolosi.

Noi ci affacciamo, attraverso i suoi quadri, su finestre che danno sull’anima. Cerchiamo di riconoscere i caratteri che compongono l’alfabeto di questa poetica, per decifrare i segreti manifesti della sua vita. E allora anche noi rimaniamo invischiati in una selva di riferimenti, tracce di racconti intimi e sconosciuti. Di Chagall, vanno osservati i piccoli dettagli, ciò che compare con tratti lievi, in trasparenza sullo sfondo: l’interno di una casa oltre una finestra minuscola, un angolo di cielo nero rinfrescato da un blu elettrico, una firma sottosopra. Una cattedrale rovesciata, un violinista sul tetto, una coppia di amanti lillipuziani. Perché per capire Chagall bisogna andare oltre la visione di insieme, al di là di ogni spiegazione possibile.

Pianifica la tua (futura) visita!

Marc Chagall. Anche la mia Russia mi amerà è stata inaugurata il 18 settembre 2020 nella storica sede espositiva di Palazzo Roverella, e chiuderà il 17 gennaio 2021. Attualmente, la mostra non è visitabile, nel rispetto del Dpcm del 3 novembre 2020, che sancisce la chiusura dei musei fino al 3 dicembre 2020. Alla riapertura, Palazzo Roverella sarà aperto sette giorni su sette: dal lunedì al giovedì dalle 9:00 alle 19:00, mentre il venerdì, il sabato e la domenica dalle 9:00 alle 22:00. Con lo stesso biglietto della mostra Marc Chagall. Anche la mia Russia mi amerà, sarà possibile visitare anche la collezione permanente del museo, la Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi e del Seminario Vescovile.

L’accesso sarà consentito solo tramite prenotazione. Il biglietto può essere acquistato sul circuito di Vivaticket, oppure prenotato chiamando il Contact Center al numero 0425 460093 o scrivendo a info@palazzoroverella.com.
Il biglietto intero costa 12 euro, mentre il ridotto 8 euro. Il sabato e la domenica, sempre tramite prenotazione, sarà possibile partecipare alle visite guidate, al costo di tredici euro.

A causa dell’attuale emergenza sanitaria, per rimanere aggiornati su eventuali variazioni, vi rimandiamo alla pagina ufficiale di Palazzo Roverella.

Rielaborazione grafica a cura di Martina Nenna.
Foto di Marta Gulinelli.