Viaggio letterario in Russia: inseguire un ideale dalla poltrona di casa

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Lo confesso: in Russia non ci sono mai stata fisicamente. Ci viaggiavo un po’ con il pensiero, quando mio nonno ascoltava il Coro dell’Armata Rossa che cantava Katyuša o quando, come ballerina in erba, studiavo i passi delle danze tipiche. Continuo ancora a ritrovarmici catapultata qualche volta, quando la mia amica russa mi prepara i golubzy o i pel’meni e sua mamma se ne esce con l’immancabile «Vuoi vodka?». Non so se sono stati questi piccoli episodi a farmi amare la Russia fin da quando ero bambina, o se si tratta di una questione più ancestrale legata alle mie vite precedenti. Ma non è questo il luogo per approfondire. Probabilmente, in gran parte, è anche colpa (o merito) dei miei studi filosofici e di una certa passione per il marxismo.

Tutto ciò mi ha spinto a intraprendere un vero e proprio viaggio alla scoperta della storia più recente di questo Paese, del suo popolo e soprattutto del grande ideale che è stato portato avanti in esso e da esso: l’utopia comunista.

Non credo che ritroverete ciò che vi aspettate: niente Bulgakov né Solženicyn, quasi nessun autore russo. L’itinerario non è canonico e l’ho costruito io, scoprendo i titoli anche un po’ per caso. È un viaggio nel tempo, il cui motore principale è la storia di un’idea e che, al suo interno, contiene tanti altri viaggi – reali e metaforici – come una matrioska.

Viaggio interplanetario: Bogdanov su Marte

Il mio percorso inizia da una libreria del centro di Trieste. Un pomeriggio, per caso, il mio occhio cade su una copertina pazzesca e su un titolo che mi rapisce immediatamente: Proletkult. Scritto in rosso su uno sfondo nero tempestato di stelle, con subito sotto una specie di navicella spaziale a forma di falce e martello, mi sembra irresistibile. Per tutte le ragioni già dette, lo prendo. Leggendo la quarta di copertina, scopro che l’ultima fatica dei Wu Ming è ispirata a un libro risalente a più di un secolo prima: Stella rossa, del politico, medico, economista e filosofo russo Malinovskij, in arte Aleksandr Bogdanov. Lo cerco, c’è. Ha una copertina pazzesca anche lui, lo compro.

Inizio a leggere Stella rossa senza sapere bene cosa aspettarmi; al contrario di certi miei colleghi, non sono mai stata una grande appassionata di fantascienza. Mi accorgo ben presto che si tratta di un compendio di teoria marxista egregiamente travestita da romanzo spaziale. Un’ottima infarinatura per intraprendere il mio viaggio letterario!

Il protagonista, un politicante russo, viene prelevato da casa sua e fatto viaggiare nello spazio fino a Marte, dove il socialismo è effettivamente realizzato. Lassù, marziani avanzatissimi e gentilissimi gli mostrano come funzionano i vari aspetti della loro società: tutto è perfetto là, dove l’utopia si trasforma in realtà. Non vado oltre con la trama, ma vi basti sapere che l’opera è veramente all’avanguardia, se si considera che è stata scritta nel 1908. Seppur farcita di filosofia politica, è scorrevole e accattivante, e i colpi di scena sono degni delle serie TV più moderne.

Ritorno sulla Terra: i Wu Ming e le prime ombre sul sole socialista

Bogdanov era un russo ed «essere russi vuol dire essere pessimisti» (J. Barnes, Il rumore del tempo, Torino, Einaudi, 2016, pag. 80), o forse più semplicemente realisti. Per quanto fervida fosse la sua immaginazione ed entusiastica la visione dell’ideale realizzato su Marte, l’autore non riusciva a figurarsi un risultato simile sulla Terra. Ecco allora la proposta, messa in bocca a uno dei suoi marziani: «un tentativo di immediata rieducazione socialista dell’umanità terrestre» (A. Bogdanov, Stella Rossa, Milano, A.SE.FI. Editoriale, 2018, pag. 167); in una parola, il Proletkult.

Nella storia raccontata dai Wu Ming, Bogdanov diventa protagonista. A dieci anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, l’ex militante e fondatore del Proletkult svolge la sua attività di medico in una clinica privata di Mosca ed è sempre più tormentato dai dubbi già espressi sulla versione terrestre del socialismo. Il problema principale è il suo vecchio compagno di battaglie, Lenin, il quale, come predetto dai marziani, non ha saputo concretizzare l’ideale:

Quello di Lenin era un partito-padre, che si rivolgeva alla classe operaia per dirigerla ma non per educarla. E le poche volte che ci provava, era un vecchio maestro che trasmette agli scolari un sapere in forma di fede e non di conoscenza collettiva.

Wu Ming, Proletkult, Torino, Einaudi, 2018, pag. 170

In poche parole, Bogdanov non è più d’accordo con Lenin, che nel giro di breve tempo ha trasformato quello che doveva essere lo Stato proletario in uno strapotere del partito e dei suoi gerarchi. Chi non è d’accordo con Lenin è nemico del partito. Per facile sillogismo, Bogdanov è nemico del partito. Proprio lui, che per lo stato socialista aveva lottato in prima linea! 

Proletkult è la storia del profondo dispiacere di chi non è più stato in grado di riconoscere il mondo che aveva contribuito a costruire. Allo stesso tempo, però, è anche la storia di Denni, una ragazza che dice di provenire da un altro pianeta e di essere sulla Terra alla ricerca di suo padre. La giovane coinvolge Bogdanov, poiché l’uomo che sta cercando sembra proprio essere il protagonista di Stella Rossa e… Non svelo nient’altro.

Viaggio senza ritorno: Teffi in fuga dai bolscevichi

Giunta a questo punto, mi rendo conto di aver saltato un passaggio. La rivoluzione c’è stata, ma non mi sembra di aver approfondito l’argomento come si dovrebbe.

Mi trovo alla Tate Modern di Londra e ho appena visto una mostra di un’artista russa d’avanguardia. Nel bookshop trovo dei libri a tema e vengo incuriosita dal nome di un autore: Teffi. Faccio una breve ricerca e scopro che è lo pseudonimo di Nadežna Aleksandrovna Bučinskaja. Una donna! Ordino l’unico libro disponibile su Amazon in italiano: Da Mosca al Mar Nero, le memorie della fuga dell’autrice dall’avanzata bolscevica. Appena arriva, me ne innamoro. 

Innanzitutto, fornisce una visione che è un po’ il rovescio della medaglia, cioè l’impressione di chi la rivoluzione non l’ha fatta ma l’ha subìta, per quanto simpatizzasse con la causa. In secondo luogo, è la testimonianza in prima persona di quello scoramento con cui i Wu Ming, cent’anni dopo, hanno potuto soltanto vestire un personaggio:

Davvero, quasi si rimpiangeva che fosse passato quel primo momento, quella “primavera” della rivoluzione, quando con lieve tremito i denti sbattevano per la paura […]. Adesso era tutto abitudine, era una noia disgustosa. Era tutto rozzezza, sporcizia e ottusità.

Teffi, Da Mosca al Mar Nero, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2017, pag. 155

Inoltre, lo stile dell’autrice è unico. Teffi è ironica, pungente, spassosa, abile a far ridere nelle situazioni più tragiche, ma anche capace di riflessioni amare: è decisamente russa. 

Col pretesto di una tournée, ma ben consapevole della situazione politica, la scrittrice parte insieme a un impresario e a una compagnia di attori e viaggia in treno, su un carro, su un vagone merci, su una nave. Lungo il percorso non si risparmia aneddoti e scenette esilaranti, ma il senso profondo delle sue memorie è sempre molto serio. In fondo, a Mosca, non farà mai più ritorno.

“Il viaggio sarà in tutto di un mese. Qualche serata a incasso pieno e si ritroverà già a casa, e sarà di nuovo tranquilla.” Ed ecco che mi ritrovo a rotolare lungo la carta geografica, e il destino mi spinge dove gli garba, e sono arrivata fino al mare.

Ivi, pag. 153

Viaggio interiore: Šostakovič e gli abusi del regime

“Non farti ingannare dalle apparenze. Quello zoppica e ha un braccio leso, ma è scaltro come pochi […].”

Un buon consiglio.

Lenin, invece, se n’è accorto tardi, che il georgiano era uno da tenere d’occhio. Nel frattempo, Koba ha cambiato nome di battaglia. “Uomo d’acciaio”. Stalin.

Wu Ming, Proletkult, Torino, Einaudi, 2018, pag. 80

Sono sempre a Londra, stavolta in aeroporto. Sto aspettando che la fila al gate si muova e sono davanti a uno di quei negozietti pieni di bibite, caramelle e patatine. Entro a prendere qualcosa per ammazzare il tempo e vedo che ci sono anche dei libri. Uno mi colpisce per il titolo: The Noise Of Time. Ha anche una bella copertina ed è sottile, quindi è un ottimo libro da mettere nello zaino. Lo compro al volo. Seduta in aereo, comincio a leggere e non riesco più a smettere. In pratica, senza saperlo, ho trovato la biografia romanzata del musicista russo Dmitrij Šostakovič, scritta dall’inglese Julian Barnes. Scopro che Šostakovič è stato una vittima di quello che, ai suoi tempi, si è trasformato in un vero e proprio regime. Il sole del socialismo è ormai completamente oscurato: se Bogdanov viveva ancora relativamente tranquillo, pur considerandosi un «marxista marziano» (Wu Ming, Proletkult, Torino, Einaudi, 2018, pag. 300), il musicista passa nottate intere sul pianerottolo di casa con accanto una valigia – come un viaggiatore che però non si muove – perché Stalin non aveva gradito un suo componimento.

La valigia deposta ai suoi piedi era lì per rassicurarlo: una precauzione. Gli dava l’impressione di dominare gli eventi anziché esserne vittima. Coloro che uscivano di casa con una valigia di solito vi facevano ritorno. Chi invece veniva trascinato fuori dal letto in pigiama spesso non rientrava.

J. Barnes, Il rumore del tempo, Torino, Einaudi, 2016, pag. 58

Questo è il clima che si respira leggendo le pagine de Il rumore del tempo, anche quando le cose sembrano andare bene, anche quando Stalin rivaluta l’opera di Šostakovič e lo spedisce negli Stati Uniti come delegato di pace. Lui naturalmente ci va, un po’ come il protagonista di Bogdanov va su Marte, ma è decisamente meno convinto, ormai, di essere nel giusto. L’impasse del compositore è riassunta benissimo in quella che sarà l’ultima tappa del viaggio:

Uno degli aspetti più deleteri del sistema sovietico era che a meno di non diventare martiri non si poteva essere onesti. Non si poteva avere una buona opinione di se stessi. Gli intellettuali di regime, se non erano completamente abbruttiti o del tutto cinici, si vergognavano di quel che facevano, si vergognavano di quel che erano.

Emmanuel Carrère, Limonov, Milano, Adelphi, 2012, pag. 86

viaggio russia

Viaggio intorno al mondo: Limonov

Spesso un viaggio termina da dove è iniziato. E per concludere ritorno nella libreria del centro. È un altro pomeriggio e mi capita davanti un Adelphi, copertina rossa e un titolo che mi rimanda a qualcosa di russo, nonostante l’autore sia il francese Emmanuel Carrère: Limonov. Non so perché, invece di guardare la quarta di copertina, decido di aprirlo e di leggere le prime righe. Non so perché, mi bastano le prime parole – che non sono affatto poetiche – per decidere di comprarlo. La sera dopo, mi trovo al bar con degli amici e uno di loro mi dice: «Devi assolutamente leggere Limonov!». Scoppio a ridere, perché effettivamente l’avevo comprato il giorno prima, ma mi rendo conto che lui non mi sta dicendo perché dovrei leggerlo.

Poi ho capito. Limonov non si può spiegare, se non come la biografia dello scrittore, poeta e politicante russo Eduard Savenko, in arte Limonov. Ma descrivere l’opera di Carrère in questo modo è decisamente riduttivo. Limonov è un monumento all’uomo, alla vita, alla Russia, a tutto ciò che di contraddittorio c’è nell’esistenza e negli aspetti sociali in cui essa si concretizza.

Non è un caso che soltanto seguendo le vicende di un uomo russo, Carrère sia riuscito a scrivere di tutto questo. Nessun abitante di nessun altro paese o pianeta avrebbe potuto vivere il mondo come un russo: credendo in un’ideale, vedendolo cadere in rovina, ricostruendolo, cercando di mantenerlo vivo di nascosto. Da Stalin a Putin; a casa propria, in viaggio, in fuga, in esilio…

Limonov è la matrioska più grande, quella che contiene tutte le altre e dà senso e compiutezza all’intero percorso che vi invito a intraprendere. La fatica la fanno tutta loro, voi potete restare comodamente sdraiati e godervi la storia.

Illustrazioni e rielaborazioni grafiche a cura di Francesca Pisano.