COYE, dove i riflettori non colpiscono

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COYE è una realtà nuova, innovativa. Insomma, qualcosa che serviva. Si tratta di una rivista letteraria nata dalle menti di giovani ragazzi che hanno deciso di mettersi in gioco e provarci. A COYE approdano gli outsiders, la gente che non viene colpita dai riflettori, che resta un po’ in disparte. In questo porto sicuro tutti possono espandere la propria voce e trovare finalmente una casa. Ho avuto il piacere di fare loro qualche domanda, qualcuna un po’ sciocca, dettata dalla mia ingenua curiosità. Mi hanno risposto Filippo Ferraresi, direttore editoriale, e Flavia Di Mauro, caporedattrice della rubrica Judith.

Com’è nato COYE? Chi siete, cosa fate, da dove venite?

Filippo: COYE è nato a dicembre alla Scuola Holden, dopo una lezione di Nicola Lagioia. Durante una delle sue digressioni ha iniziato a parlare delle riviste letterarie e di quanto potessero essere una fucina di talenti. Ma non solo, queste riescono anche ad essere un modo per far sentire gli scrittori meno isolati. Finita la lezione mi sono ritrovato da solo e ho pensato: «Cavolo, ma io questa rivista la voglio fare veramente!». Ho raccontato l’idea agli altri, che ora sono membri della redazione, ed è piaciuta subito: c’era chi era un po’ incredulo, ma alla fine siamo riusciti a crearla. A gennaio abbiamo iniziato con le prime riunioni, ancora in presenza, e poi abbiamo proseguito durante il lockdown. Noi siamo in sedici e veniamo da tutta Italia, ma abbiamo avuto anche collaborazioni esterne, di varia natura, e probabilmente ne avremo altre in futuro. Io sono di Verona, ma la nostra base è Torino, almeno per adesso.

Come noi di Galleria Millon siete nati in tempi di lockdown. Come avete organizzato la vostra redazione? È stato difficile gestirsi a distanza?

Filippo: L’organizzazione a livello gerarchico ha aiutato molto. All’inizio è stato un po’ difficile, c’era chi arrivava in ritardo alle videocall ed era molto diverso dalle riunioni in presenza, però, dopo un po’, siamo entrati nel meccanismo. Inoltre, l’essere organizzati bene internamente ha reso le cose decisamente più semplici. La redazione si gestiva più o meno autonomamente. Forse la parte più faticosa è stata tutta la fase di preparazione, soprattutto con il team grafica, che ho tormentato: non era facile capire esattamente cosa volessimo reciprocamente, capitava che magari dopo un’ora di messaggi o videocall ancora non ci fossimo capiti a pieno.

Flavia: Aggiungo che, secondo me, il lockdown in qualche modo ci ha aiutati. Certo, sarebbe stato molto bello poter continuare tutti insieme come avevamo cominciato, però, siccome siamo prima di tutto amici e solo poi siamo diventati una redazione, molto spesso nelle riunioni in presenza divagavamo, cominciavamo a perdere tempo… [ride, N.d.A.]. Invece, dovendo darci un’organizzazione molto stringente, e trovandoci a dover gestire al meglio questa situazione che ci costringeva a cercare delle soluzioni nuove, abbiamo reso l’organizzazione interna della rivista molto più funzionale ed efficiente. Quindi, ci ha aiutati a costruire un senso pratico che prima ci mancava.

Sul vostro sito vi definite “periferie letterarie”. Cosa significa? Cosa e quali sono le periferie letterarie a cui volete dar voce?

Flavia: È stato un processo molto interessante, perché la costruzione del concetto dietro alla rivista è stata graduale e ci siamo resi conto, un po’ alla volta, che c’era un’idea alla base che subito non avevamo individuato ma che ci aveva orientati sin dall’inizio: dare voce a tutto ciò che era fuori dai riflettori. Tutte le nostre rubriche hanno quest’impostazione: Judith, Inattuale, Spazio 18mm… sono queste le nostre periferie. In sostanza cerchiamo di stare fuori dal riflettore e guardare tutto ciò che c’è intorno e che normalmente non si vede o si vede poco.

Tra le vostre rubriche compare Judith, dedicata all’universo femminile. Mi ha molto colpita e incuriosita. Il fatto che ci sia bisogno di una rubrica come questa palesa una grave lacuna nella letteratura. Mi complimento con voi per gli articoli proposti e vi chiedo se vi va di approfondire questa vostra sezione.

Flavia: Sono veramente innamorata della nostra sezione e sono felicissima di poter dar voce a un progetto di questo tipo. Durante le prime riunioni, parlando delle varie proposte, mi venuta in mente una rubrica molto ben fatta del Paris Review che si dedica al canone della letteratura e racconta prevalentemente le storie di vita di alcune scrittrici. Abbiamo pensato che sarebbe stato interessante proporre un format simile anche in Italia, vista la sua assenza. Ci sono tanti podcast e tante rubriche che si occupano, a livello generale, di recuperare le grandi figure femminili della storia, come per esempio Morgana [di Michela Murgia, N.d.A.], però nessuna che si occupi specificatamente di letteratura. È un tema che da noi è ancora un po’ sotterraneo. Per molte persone parlarne può sembrare eccessivo o non necessario, in realtà è fondamentale: bisogna ricostruire l’identità che abbiamo perduto. È essenziale non solo per le donne ma per la letteratura a livello globale, perché è un patrimonio di tutti.

La periferia è quel luogo dove si cresce soli, a volte male, estranei. Il vostro spazio diventa quindi un ritrovo per singoli individui, dove non esiste il mainstream. Sentite di aver creato una sorta di comunità inclusiva? Era questo il vostro intento?

Filippo: Non è così facile, costruire una comunità richiede tempo. Abbiamo creato un luogo dove potersi esprimere e cerchiamo di dare uno spazio, dove prima non c’era, a chi viene tralasciato. Una cosa a cui punto molto è creare una rivista che possa far crescere chi ci lavora dentro o chi ci collabora. Mi piacerebbe riuscire a seguire gli autori più promettenti e farli crescere insieme a noi, dando loro uno spazio che non sia solo la soddisfazione di venire pubblicati un paio di volte su una rivista. Vogliamo creare una comunità che sia una vera e propria fucina culturale. E quindi, per periferia io intendo quelle cose che nascono e crescono, magari in maniera storta, ma che all’interno coltivano qualcosa di puro.

Avete a che fare con artisti emergenti, indipendenti ed esordienti. Com’è il clima in questo ambiente? Vi sono supporto e solidarietà o vi è capitato di incontrare competizione e astio? I nuovi artisti vogliono aiutarsi a vicenda?

Filippo: È una domanda difficile, ogni persona è un mondo a parte. C’è chi si aiuta e chi no. La mia idea è che nonostante si sia appena concluso un periodo di lockdown in cui le vite dei giovani hanno subito una frenata molto forte, sia presente una generazione di artisti davvero molto intraprendente e sveglia.

Flavia: Noi ci siamo accorti con grande piacere che da subito, quando la rivista era ancora davvero piccola, si sono creati contatti che mai ci saremmo aspettati di ottenere, per esempio quello con voi di Galleria Millon. E questo è già un primo sviluppo di comunità. Il fatto che realtà come la vostra e la nostra facciano rete e collaborino è un segnale dell’esigenza che abbiamo di cooperare e della stessa voglia di farlo.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Flavia: Tantissimi! Innanzitutto una festa, appena sarà possibile, per celebrare la nascita della rivista e l’uscita del primo numero, anche se in ritardo.

Filippo: Vorrei diventare un po’ più solido e stabile. Abbiamo tante cose da raccontare, quindi raccontiamole. Vorremmo ampliare le nostre rubriche, crearne di nuove, fare qualche presentazione in libreria. Mi viene difficile raccontare i nostri progetti, in quanto siamo una realtà che cambia costantemente e velocemente. Cerchiamo solo di crescere e prenderci il nostro spazio.

Come voi, anche noi siamo una giovane realtà. Avete qualche consiglio da darci?

Flavia: Se c’è una cosa che avremmo forse potuto fare meglio è definire i ruoli sin dal principio. Abbiamo dato un’organizzazione interna alla rivista solo quando era urgente, durante il lockdown. Il mio consiglio è quindi di avere dei sistemi e dei meccanismi decisionali che funzionino. Può sembrare stupido, ma quando si lavora tra amici è ancora più necessario.

Illustrazione a cura di Francesca Pisano.