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ISIDE: intervista alla tua boyband preferita

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La Divulgatrice è in fissa da qualche mese con la sua boyband preferita, gli ISIDE, e dopo mille peripezie è riuscita a intervistare due dei suoi componenti, Dario Pasqualini e Daniele Capoferri.

Gli ISIDE sono una band bergamasca composta da quattro amici d’infanzia che si conoscono fin dalle scuole elementari: oltre a Dario e Daniele, gli altri membri sono Giorgio Pesenti e Dario Riboli. Come molti altri gruppi, si sono avvicinati al mondo della musica suonando cover metal e rock, ma la svolta è arrivata nel 2019, quando Dario ha scoperto di saper cantare.
E così, con l’intento di creare un progetto in italiano, sono nati gli ISIDE.

Per via della loro estrema malleabilità, più che una band, i ragazzi preferiscono definirsi un team di produzione: nessuno ha un ruolo fisso e ognuno contribuisce in maniera diversa ed eterogenea all’organicità degli ISIDE.

Iside è la dea egizia della maternità e della fertilità, a cosa è dovuta la scelta di questo nome?

Dario: a essere sinceri, nella scelta del nome non c’è una grande relazione con la divinità, anche se c’è un aneddoto legato a essa. A Napoli, nei Quartieri Spagnoli, c’è un imponente murales della dea Iside, realizzato da Bosoletti, sarà di venticinque metri. Ci piaceva l’idea di essere giganti, e il fatto che ci esponiamo facendo musica è un po’ come dire “io ho il coraggio di metterci la faccia”, anche se per natura non siamo persone egocentriche e preferiamo stare sempre un passo indietro.

Daniele: sì, raccontiamo sempre di essere stati a Napoli e che ci è venuta l’idea del nome vedendo questo murales, ma in realtà non siamo mai stati nella città campana. È una leggenda. Però abbiamo visto il murales in foto.

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Da sinistra: Dario Riboli, Dario Pasqualini, Daniele Capoferri, Giorgio Pesenti.
Foto di Claudia Ferri.

Qual è stato il motivo che vi ha spinto a dar vita agli ISIDE, a voler fare musica, nonostante le difficoltà che una band emergente può incontrare?

Dario: se noi stiamo riuscendo a fare delle cose, anche solo minimamente carine, è proprio perché ce ne freghiamo del mercato. Facciamo i nostri pezzi perché ci diverte, di conseguenza ci siamo resi conto di sapere suonare e che a qualcuno le nostre canzoni piacciono. Io penso che se si parte con l’idea di dover arrivare, non si va da nessuna parte. Tant’è che le cose che ci siamo costruiti, dall’etichetta all’editore, non sapevamo nemmeno cosa fossero, prima di averle. E anche se questo dovesse diventare un lavoro, rimarrebbe la cosa che più mi piace fare.

Daniele: in realtà abbiamo iniziato a suonare fin da piccoli, per divertimento, perché non avevamo molto altro da fare. Inizialmente facevamo cover, ma senza nessuna aspirazione. Però ora c’è il pensiero di costruire una cosa più seria. Non abbiamo più dodici anni, e se si può fare di questo un lavoro, ben venga.

Le vostre sonorità ricordano quelle indietroniche di matrice scandinava. Penso, ad esempio, ai Little Dragon, ai When Saints Go Machine e agli WhoMadeWho. Come definireste il vostro genere? Vista anche l’eterogeneità che caratterizza il vostro primo EP, Indico, e alcuni dei singoli che avete rilasciato, come Draghi, Nessuno e MARGHERITA v11.

Dario: io sono affascinato dalla Scandinavia, anche se forse questo fascino è più dovuto alla cultura che alla musica. Quelli che hai citato, con un sacco di chitarre e piccoli interventi elettronici, sono gruppi che abbiamo ascoltato soprattutto negli anni del liceo, quando eravamo più indie rock. Tutto quello che ascoltiamo ora è americano e inglese: l’urban e il rap fatto da ragazzi afroamericani, penso a Frank Ocean, Tyler e Travis Scott. Della scena scandinava ci piacciono un sacco Yung Lean e Bladee, artisti svedesi che vivono negli Stati Uniti.

Daniele: diciamo che in modo inconscio escono sempre le influenze del passato. È solo da un paio di anni che ascoltiamo R&B e rap, prima ascoltavano vari gruppi con sonorità più scure, tetre. Se dovessimo definire il nostro genere, lo definiremmo pop, un pop parallelo perché dentro ci sono tante sonorità.

Dopo la collaborazione con Meli in Delta e con Sethu in BREAKOUT v10, con quali altri artisti, sia nazionali sia internazionali, vi piacerebbe collaborare?

Dario: Sethu, con cui abbiamo inciso un feat nel nostro album ANATOMIA CRISTALLO, oltre a essere un super amico è l’artista italiano che mi piace di più in assoluto. Mi piacerebbe, sempre per quanto riguarda gli artisti italiani, collaborare con Venerus, Andrea Laszlo De Simone, Generic Animal e con big del calibro di Mahmood e Madame; mentre tra i cantanti internazionali ci sono Frank Ocean, YENDRY e quelli che ho nominato prima. In fin dei conti, gli artisti con cui vorremo collaborare sono le nostre reference.
Al di fuori della musica, avendo studiato storia dell’arte [Daniele applaude, N.d.R.], mi piacerebbe girare dei video in musei come il MoMA, il Guggenheim o il Tate, oppure fare un live nella Sala Fontana del Museo del Novecento. Ci piace anche il mondo della moda e, banalmente, quando scattiamo delle foto, indossiamo capi ragionati realizzati da brand italiani emergenti. Ma se poi dovesse arrivare il Prada di turno, meglio! Non tanto per il nome, ma per far comprendere un’ulteriore parte di noi.

Per voi cosa significa sperimentare? Qual è il limite che vi ponete nella sperimentazione, oltre il quale preferite rifuggire nella vostra comfort zone?

Dario: in ambito creativo penso che il limite dettato dalla sperimentazione sia ciò che è piacevole. Quindi credo che la sperimentazione sia fattibile quando dietro c’è la consapevolezza di quello che si sta facendo. Nel nostro disco la sperimentazione consiste in me che urlo o nel non avere strutture, ma alla base c’è sempre un certo criterio. Avere, ad esempio, venti minuti di mie urla non è sperimentazione ma una cosa senza senso.
Sperimentare, per me, significa anche vedere in che modo gli altri artisti lo hanno fatto, ascoltarli, acquisire ciò che hanno prodotto e dire: «Ok, quello si può fare, quello ha senso, ha una storia».

Daniele: per me si può sperimentare quando si è già dimostrato un qualcosa. Perché la sperimentazione, nel momento in cui viene presa come un qualcosa di isolato, spesso non è capita; se, invece, dietro c’è un contesto, assume un valore diverso.

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Foto di Claudia Ferri.

Il 7 maggio è uscito ANATOMIA CRISTALLO, il vostro primo album. Cosa significa, per voi, aver raggiunto questo traguardo? Ci parlate di questo progetto? Cosa indica, in ogni traccia, la lettera v seguita da alcuni numeri?

Dario: abbiamo iniziato a lavorare all’album durante la prima quarantena, quindi più di un anno fa, mandandoci delle idee, e poi ci siamo detti: «Ora partiamo a fare il disco». Non è una raccolta di pezzi o una collezione, ma un percorso di trentasette minuti in cui, dal primo all’ultimo secondo, tutto è coerente. Fino ad ora abbiamo pubblicato solo singoli, anche di generi diversi, mentre nell’album ci sono degli elementi costanti che narrano una storia. Questo è il concetto di ANATOMIA CRISTALLO.
Per avere questo titolo abbiamo fatto una guerra, ma ne siamo felici; e il titolo ci rappresenta. Noi quattro ci conosciamo molto bene e, per quanto all’esterno possiamo sembrare narcisisti – un po’ come tutti quelli che fanno musica –, dentro siamo super fragili, quindi attraverso il titolo abbiamo voluto mettere in luce questa nostra contrapposizione.

Daniele: l’ideale sarebbe ascoltare i brani dell’album in ordine e non in shuffle. La tracklist è ragionata, ha i suoi momenti e i suoi su e giù. Con questo album abbiamo voluto cercare la coerenza e, secondo noi, l’abbiamo trovata.
La lettera v, invece, indica il numero delle versioni. Ogni volta che modifichiamo un pezzo e lo salviamo aggiungiamo una v e un numero. In realtà, alcuni brani hanno dei numeri a caso: infarto v666, perché parla dell’Inferno, e incantesimi v96, perché il 1996 è il nostro anno di nascita. L’ascoltatore, ovviamente, può sentire solo il brano definitivo, ma il voler indicare il numero della versione è un modo per far capire il lavoro di mesi che c’è stato.

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Foto di Claudia Ferri.

Poiché Galleria Millon è nato da un gruppo di studenti del master di Editoria dell’Università di Verona, chiediamo sempre ai nostri intervistati alcuni consigli letterari. Quali libri consigliate ai nostri lettori?

Dario: ho un problema con i romanzi: leggere mi annoia. Ma sono un appassionato di riviste e, secondo me, l’editoria è fatta anche di riviste. Consiglierei Rivista Studio che è tanta roba e poi la mia preferita, 032c, una rivista from Berlino, che parla di moda e musica.

Illustrazione di Sabrina Poderi.