Bo Burnham: Inside e la mente che crea, nonostante tutto

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Settembre si è concluso con una fuga dalla morsa della mente, ottobre inizia con una mente che cerca di evadere. Sì, perché oggi la Divulgatrice ci parlerà di Bo Burnham: Inside, lo speciale comedy di circa novanta minuti targato Netflix, disponibile da questa estate.

Creatore, interprete, regista, cameraman e montatore è Bo Burnham, un ragazzo del Massachusetts salito alla ribalta nel 2006 grazie a una canzone-parodia postata su YouTube. Fino a ieri era noto soprattutto per i suoi spettacoli teatrali e la recente apparizione in Promising Young Woman. Oggi ha raggiunto la celebrità indiscussa per l’appunto grazie a Inside.

Inside è uno speciale fatto di sketch comici e di canzoni originali, interamente girato da Burnham nel suo minuscolo monolocale durante il lockdown dello scorso anno. Da fuori, potrebbe sembrare l’ennesima e anacronistica raccolta di gag. Guardando il trailer, invece, l’impressione è quella di trovarsi di fronte a uno speciale musicale che potrebbe benissimo tradursi in una compilation di YouTube. In realtà, Inside è molto di più di un collage di atti separati. È il tentativo di una mente sovraccaricata dalla solitudine e dal confinamento di evadere attraverso un atto creativo. Ma vediamo nello specifico di cosa si tratta.

Poioumenon

Oltre all’immediatezza, il pregio di Inside, come dicevamo, è la struttura che dà all’intero progetto un senso di coesione e sviluppo interno. A fare da cornice e dare stabilità all’impianto è il suo aspetto metanarrativo. Si tratta, infatti, di un poioumenon, ossia ciò che il critico letterario Alastair Fowler definisce un’opera d’arte che parla del suo processo di realizzazione.

Fin dall’inizio, infatti, vediamo Burnham impegnato nella pre e post-produzione del suo materiale. Eccolo che testa la videocamera, sistema le luci, rivede il girato. L’atto creativo si svolge in piena vista, e la processualità e l’auto-analisi del proprio operato diventano via via sempre più rilevanti. Ma andiamo con ordine.

Parte 1: overthinking

Il primo macro-segmento di Inside si apre con il brano Content. Questa prima parte si focalizza su una serie di tematiche a sfondo sociale, limitandosi a tratteggiare situazioni di carattere puramente generico. Ad esempio, in Comedy Burnham si interroga sul ruolo della comicità in un momento storico in cui le ragioni per sentirsi tristi e frustrati sono molteplici. Con White Woman’s Instagram e la parodia del social guru che sproloquia di brand awareness, invece, introduce il tema dello strapotere dei social media. Si tratta, in generale, di questioni non estranee alla comicità di Burnham, ma ancora distanti dal vero cuore di questo speciale.

Tuttavia, sta per avvenire una transizione, e possiamo intuirlo già nella reaction video a scatola cinese a Unpaid Intern e in Sexting. È qui che inizia a emergere tutta la vulnerabilità di Burnham e la sua tendenza all’overthinking. Scavando sotto i vari livelli di significato, cominciamo finalmente a intravedere il punto molle che Inside si propone masochisticamente di esporre al giudizio altrui.

Parte 2: auto-analisi

A introdurci nel secondo macro-segmento è quello che sembra il classico video di uno youtuber che ringrazia il suo pubblico. La situazione, però, diventa immediatamente sinistra quando Burnham inizia ad agitare allegramente un coltello di fronte alla telecamera. Le incrinature, prima quasi invisibili, cominciano a diventare evidenti. Parallelamente, la satira sulle tematiche sociali e politiche lascia spazio ai momenti di auto-analisi per cui Burnham è tanto famoso.

Uno degli aspetti caratteristici del poioumenon è la sua capacità di evidenziare quanto sia labile il confine che separa realtà e finzione. Nel brano Look Who’s Inside Again, Burnham ritorna ai tempi in cui da adolescente si chiudeva nella sua cameretta, accompagnato dall’ansia. All’inizio di questa canzone, per la prima volta lo vediamo sbagliare e decidere di ricominciare daccapo.

Nella decisione di includere un blooper all’interno del prodotto finale, si scontrano la spontaneità che siamo soliti attribuire alla comicità e la sua reale natura di artefatto. E non basta, perché la funzionalità e la presenza stessa di un blooper mette in dubbio a sua volta la sua natura di accidente casuale. Una riflessione che, come spesso accade, scaturisce dalla decisione di Burnham di esporsi attraverso una confessione senza attenuanti, colta nel mezzo di un fallimento.

La vergogna e il senso di colpa sono al centro anche di Problematic, un’autoflagellazione sulla pubblica piazza che parodizza visivamente le popstar come Maddalene penitenti. Oltre a mettere in luce il cortocircuito che spesso si innesca tra la confessione mediatica e la reazione a volte incomprensibilmente magnanima del pubblico, l’esibizione diventa per lui l’ennesima occasione di offrire il costato a facili critiche.

Traguardi

All’altezza dei quarantadue minuti di visione, arriviamo al giro di boa. Sono passati sei mesi dall’inizio della quarantena – sei mesi di tentativi di dare una forma a Inside – e Burnham sta per compiere trent’anni. L’idea di essere di fronte a un traguardo importante e non aver ancora realizzato niente, come ci dice in 30, evoca ancora una volta ansia e insoddisfazione.

A questo punto, spazio e tempo cominciano a mostrare tutta la loro rilevanza. Il piccolo e claustrofobico monolocale – che è insieme guaina protettiva e incubatrice di idee, come lo era stata nell’adolescenza – si rivela per quello che è. Nella stanza non esiste modo di nascondersi a se stessi. L’occhio silenzioso della videocamera, unica presenza che esiste a priori di Burnham, non ha ostacoli: vede tutto, e coglie anche l’inutile scorrere del tempo. Giorno e notte sono concetti laschi, slegati dalle condizioni di luce e ombra. Il tempo, pur continuando a passare, rimane identico a se stesso: un’interminabile sequela di momenti uguali tra loro.

A chiarire questo aspetto ci pensa lo sketch che chiude il macro-segmento, una sorta di gameplay in onda su Twitch di un videogioco fittizio. Lo scopo finale, infatti, è accompagnare il protagonista rinchiuso nella sua stanza fino a fine giornata senza farlo cadere in preda alla disperazione totale. Insomma, il traguardo diventa sopravvivere allo spazio e al tempo del lockdown.

Parte 3: incubo notturno

A questo punto Burnham si addormenta, e ha inizio un macro-segmento in cui assistiamo alla frattura definitiva: l’equilibrio già precario viene meno e Burnham crolla.

Non è un mistero: la pandemia ha avuto pesanti ripercussioni sulla salute mentale collettiva. Tutti abbiamo, in diversa misura, provato le stesse emozioni negative difficili da processare. La situazione psicologica di Burnham, che era già borderline, con il confinamento è semplicemente arrivata al punto di rottura.

Tutti gli sketch di questa sezione concorrono a mostrare cosa significhi vivere un episodio depressivo. Non si tratta solo di sentirsi male, di smettere di lavarsi e di vegetare apaticamente, come dice in Shit e All Time Low. Si tratta di qualcosa che condiziona la persona in maniera più pervasiva, sul piano del suo rapporto con la realtà. È That Funny Feeling a chiarire le cose. La canzone, infatti, più che per il suo testo sinistramente apocalittico, è interessante perché descrive lo stato alterato attraverso il quale l’individuo depresso arriva a processare la realtà. Burnham sta palesemente attraversando una fase di dissociazione, ossia una condizione di:

[…] accentuazione dell’insicurezza ontologica comune a tutti gli uomini, per cui […] un individuo può sentirsi più irreale che reale, letteralmente più morto che vivo, differenziato in modo incerto e precario dal resto del mondo.

R.D. Laing, L’Io diviso, Torino, Einaudi, 1969, p. 50.

La percezione falsata di sé si riverbera sui rapporti – anche quelli mancati – che l’Io intrattiene con gli altri. Le relazioni umane, che durante l’emergenza sono state drasticamente interrotte o spostate online, diventano un ulteriore elemento che acuisce lo stato dissociato. I social, d’altra parte, al posto di accorciare le distanze, trasformano ogni interazione in un atto mediato: una performance. Ma non c’è alternativa: nonostante la sua natura apertamente artefatta, questa rimane la più reale delle esperienze possibili.

Creazione e autodistruzione

Ancora una volta finzione e realtà si sovrappongono, confondendosi, esattamente come la mente, paradossalmente, si mantiene creativa e distruttiva insieme. La depressione, infatti, non può non avere conseguenze sul processo artistico. Già nella prima metà dello speciale avevamo intravisto qualche falsa partenza. Ora in più occasioni Burnham appare incapace di portare a termine certi sketch senza sbagliare e dover ripartire da capo, o peggio, rinunciare ad attuarli.

Il monolocale si fa sempre più disordinato, saturo di attrezzatura piazzata in modo caotico. Anche la telecamera, presenza vicaria di un pubblico assente, si fa agente del caos in All Eyes On Me, un rant in musica à la Kanye West. Nel turbinio dell’auto-confessione suprema, Burnham – con voce contraffatta – parla degli attacchi di panico che gli avevano impedito per ben cinque anni di esibirsi dal vivo. Mentre le risate registrate di un pubblico fantasma fanno da contraltare alle sue parole, Burnham confessa che poco prima della quarantena aveva deciso di riprovare a calcare il palco. Un altro scroscio di risate accoglie la rivelazione, mentre Burnham, in preda al parossismo, prende la telecamera e la fa ondeggiare con sé in una danza ormai senza controllo. Siamo all’acme della parabola discendente: creando, la mente ha processato e accettato il suo stesso disfacimento.

Parte 4: risveglio

Il quarto e ultimo macro-segmento è quello del risveglio. Burnham si alza, si lava i denti e si rimette al lavoro: tutti segnali che dimostrano che l’episodio depressivo è superato. Torniamo per un attimo indietro nel tempo: ecco Burnham sbarbato e coi capelli corti che sta incidendo una possibile canzone finale, Goodbye. Lentamente si sovrappone al primo video una performance più recente della stessa canzone. Burnham, coi capelli e la barba lunga, si accomiata con un pezzo che sta tra il riassunto dei precedenti novanta minuti e la resa dei conti finale. Dopo un anno di lavoro, la grande paura è sempre quella: l’idea di doversi esporre, di svelare ciò che sta all’interno e sottoporlo al giudizio altrui.

Si avvicina il momento della verità: il monolocale ora è sgombro, la porta finalmente si apre. Burnham esce all’aperto, si scherma gli occhi dalla luce del sole. Eppure, qualcosa non funziona. Sull’uscio di casa, in un angolo di giardino talmente artificiale da sembrare un palcoscenico, si lascia prendere dal panico. Allora cerca disperatamente di ritornare all’interno, al sicuro; risate registrate accompagnano i suoi goffi tentativi di fuga.

Le immagini sfumano per un’ultima volta. Capiamo che quelli appena visti sono gli ultimi fotogrammi di Inside, che Burnham sta riguardando proiettati sulla solita parete della sua stanza. È ancora dentro. La telecamera chiude sul suo viso, che accenna un sorriso. Forse non è ancora il momento di uscire, ma è pronto, stavolta sul serio. L’atto di creazione finisce qui, a ridosso di una nuova forma di consapevolezza. Inizia ora la parte più difficile, quella che in minima parte dipende da noi: lasciarsi vedere, e giudicare, senza possibilità di contraddittorio.

Cortocircuiti

Nelle forzature imposte da un luogo senza vie d’uscita e da un tempo sempre identico, la processualità dell’atto creativo e dell’episodio depressivo si infrangono l’uno nell’altro.

And recently, I’ve been feeling like, “Oh, man, maybe I am getting close to done with this.” […] And that has made me completely freak out because if I finish this special, that means that I have to, um, not work on it anymore.

Bo Burnham: Inside, Bo Burnham, 2021.

La creazione diventa obiettivo e diversivo, atto dotato di una sua dignità e insieme strumento di evasione. Per questo, Inside continua nel tentativo di finire, spostando sempre più in là l’epilogo. Burnham tergiversa esasperando i suoi ossimori, congiungendo gli estremi delle coppie di opposti che stanno al centro del suo speciale. Oppressi e oppressori, realtà e finzione, prima e dopo, esterno e interno, creazione e autodistruzione: tutto conflagra in un’esplosione in divenire. È questo che consente all’intera performance di conservare la sua unità, pur sfilacciandosi nel finale. Per questo Inside non può essere definito una raccolta di momenti sconnessi. Piuttosto, si rivela un complesso e caotico sistema fatto di cortocircuiti neuronali.

Illustrazioni a cura di Francesca Pisano.