Jin Ping Mei: il lato erotico della Cina imperiale

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Anche oggi la Critica d’arte è arrivata in Galleria con un malloppone sottobraccio, l’ennesima lettura leggera – almeno per lei – che le ha tenuto compagnia nelle ultime nottate. Si tratta del Jin Ping Mei, un classico della letteratura cinese

Il Jin Ping Mei, testo da sempre letto come un romanzo erotico, venne redatto alla fine del XVI secolo, ma dato alle stampe solo nel 1609, in piena epoca Ming (1368-1644). Composto in origine da cento capitoli, in fase di pubblicazione cinque – dal cinquantatreesimo al cinquantasettesimo – vennero perduti e, successivamente, sostituiti. Il Jin Ping Mei si presenta come un romanzo composito: le varie edizioni contengono un numero diverso di canzoni e poesie, spesso non pertinenti con la narrazione.
Opera dalla genesi incerta, la prima menzione del Jin Ping Mei si trova nelle Regole per i bevitori di vino, scritto da Yuan Hongdao tra il 1595 e il 1600, che fornisce un elenco di libri che dovrebbero essere studiati dal Perfetto Bevitore. Difatti, un bevitore che non li avesse letti sarebbe rimasto un semplice ubriacone.
Il romanzo è tratto da un episodio della Storia della palude – romanzo del XIV secolo – in cui compaiono due dei protagonisti, Ximen Qing e Loto d’Oro.

Il titolo, fortemente evocativo e che in italiano può essere tradotto come “Pruno nel vaso d’oro”, è un riferimento ai nomi di tre delle protagoniste femminili: Pan Jinlian (Loto d’Oro), Li Pinger (Madama Ping) e Pang Chunmei (Prugna Primaverile).

Pagine al veleno

La paternità del Jin Ping Mei è incerta; tuttavia, come per altri classici della letteratura cinese, una curiosa leggenda relativa alla sua stesura è tramandata da generazioni.

Attorno alla metà del XVI secolo, Wang Yu, umile impiegato, venne in possesso della Festa di Qingming lungo il fiume, celeberrimo dipinto di Zhang Zeduan risalente all’epoca dei Song Settentrionali (960-1127). L’importanza del quadro era dovuta al valore storico: l’opera raffigura Kaifeng, capitale della dinastia dei Song Settentrionali, prima della distruzione avvenuta per mano dei Tartari nel 1127.
Un mefistofelico funzionario di nome Yan Song, divenuto poi ministro, bramava il dipinto e, a suon di minacce, riuscì a farselo consegnare da Wang Yun. Non passò molto tempo, e il ministro scoprì che, in realtà, quella che l’impiegato gli aveva fatto recapitare era solo una copia priva di valore. Yan Song dovette aspettare il 1550 per avere la sua rivincita. In quell’anno, i Tartari valicarono i confini dell’impero nell’area in cui operava Wang Yu. Yan sfruttò l’evento a suo favore: incolpandolo dell’invasione, denunciò l’impiegato che, dopo un processo, fu condannato a morte.

La pace sotto il Cielo non si era ancora stabilita. L’erudito e risoluto figlio di Wang Yu, di nome Wang Shizheng, crebbe con un solo rammarico: non aver annientato l’uomo responsabile della morte del padre. Tuttavia, poiché nel processo a carico di Wang Yu era coinvolto anche Yan Shifan, il figlio del ministro – morto nel 1568 –, Wang Shizheng indirizzò contro di lui il proprio odio.

I due si trovarono a una cerimonia pubblica e, scambiati i convenevoli, Wang Shizheng disse al nemico, noto lettore di storie erotiche, che stava scrivendo un romanzo intitolato Jin Ping Mei. Nell’arco di poche settimane lo concluse e ne fece consegnare una copia a Yan Shifan.
Wang Shizheng non si limitò a raccontare in maniera spietata, attraverso la storia, la vita di Yan Shifan, ma cosparse gli angoli di ogni pagina con del veleno cosicché il nemico, inumidendosi le dita per voltare le pagine, lo potesse ingerire lentamente. Yan Shifan, giunto alla conclusione del romanzo, morì.

Zhang Zeduan, “Festa di Qingming lungo il fiume”, XII secolo, inchiostro e colore su seta (particolare). Fonte: Wikipedia.

Erotismo censurato

Il Jin Ping Mei, come detto, venne stampato per la prima volta nel 1609 a Suzhou, città del Jiangsu. All’epoca ancora non esisteva una censura contro quei romanzi che, meno di un secolo dopo, vennero definiti “licenziosi” o “scostumati”.

La situazione mutò con la distruzione dell’impero Ming da parte dei Manciù e la fondazione della dinastia Qing (1644-1911).
Secondo alcuni studiosi, il primo editto contro la letteratura licenziosa potrebbe risalire al 1652, anche se è più plausibile che, in realtà, risalga al 1687. In quell’anno, un tale Liu Kai chiese con un’istanza che i romanzi licenziosi fossero proibiti; la richiesta venne accolta e l’editto emanato per opera dell’imperatore Kangxi.

È certo che i romanzi licenziosi son atti ad esercitare una nefasta influenza sul mio popolo, depravando i costumi, ed avvelenando la sua anima. Deve ugualmente avvertirsi che l’insegnamento magico dei preti buddisti e taoisti ha anch’esso una malsana e perniciosa influenza… Entrambi [romanzi immorali e magia] debbono essere rigidamente soppressi.

Chin P’ing Mei. Romanzo erotico cinese del secolo XVI, a cura di P. Jahir, M. Rissler Stoneman, Milano, Feltrinelli, 1983, vol. I, p. XV. 

Tuttavia, un editore di Suzhou ristampò il Jin Ping Mei nel 1695 corredandolo di un nutrito commento in cui l’opera veniva rappresentata come un monumento alla pietà filiale – una delle virtù confuciane –, poiché la sua composizione era stata il mezzo attraverso il quale un figlio devoto aveva orchestrato la morte dell’uccisore del padre. Sembrerebbe quindi che la leggenda riguardante la stesura del romanzo risalga proprio al volgere del XVII secolo.

Nonostante l’editto, il Jin Ping Mei continuò a circolare e a essere letto: nel 1708 fu tradotto in manciuriano.
In risposta a ciò, nel 1725, il governo emanò una clausola riguardante le pene che sarebbero spettate a coloro che avessero scritto, pubblicato, venduto e letto opere oscene di fantasia; ad esempio, compratori e lettori avrebbero ricevuto cento frustate.

Sebbene l’editto del 1687 e la clausola successiva siano rimasti in vigore fino al 1911, anno della caduta della dinastia Qing, il Jin Ping Mei continuò a circolare entro i confini dell’impero vedendo la sua fama crescere esponenzialmente.

Il pruno nel vaso d’oro

Il nostro racconto riguarda cose accadute sotto la Dinastia Sung (960-1127), nell’era dell’Imperatore Hui Tsung: nell’epoca che ha nome Chêng Ho, “Regno Armonioso” (1115-1118).

ivi, vol. I, p. 3.

Sebbene composto in epoca Ming, le vicende narrate del Jin Ping Mei sono ambientate cinque secoli prima, al volgere della dinastia Song, nella città di Qinghe, situata nello Shandong.
Qui vive il protagonista dell’opera: Ximen Qing, un giovane e ricco commerciante di medicinali.

Il romanzo, popolato come molti altri classici della letteratura cinese da una miriade di personaggi – basti pensare che Il sogno della camera rossa ne conta circa quattrocento –, narra delle avventure e disavventure vissute da Ximen, dalle sue sei mogli, dalla servitù e da tutte quelle figure che ruotano attorno alla sua famiglia. Tra i personaggi femminili, i più importanti sono quelli che danno il titolo all’opera: Loto d’Oro, prima amante e poi quinta moglie di Ximen Qing; Madama Ping, colei che diverrà la sesta moglie; e Prugna Primaverile, una cameriera che presta servizio nella dimora del protagonista.

Se nella prima parte la vicenda ha perlopiù un andamento positivo – sebbene non manchino i suicidi d’amore, come quello della cameriera Occhio di Neve – e serve a introdurre i vari personaggi, a definirne i caratteri e i rapporti che li legano, nella seconda si assiste al decadimento della famiglia e di quei personaggi che potrebbero essere considerati i più licenziosi. Con la morte di Ximen Qing, la famiglia entra in una condizione di rovina, aggravata dalle prime incursioni delle tribù Jurchen, da cui solo una manciata di personaggi riuscirà a redimersi.
Le vicissitudini dei personaggi si incrociano e poi si allontanano in un continuo divenire per giungere, alla fine, alla loro degna conclusione. 

Scorri rapidamente tutta la nostra storia, chiedendo un significato:
vedi, ogni evento da altro evento è stranamente riecheggiato.
Un potente dissoluto a morte immatura è dannato,
uno sfrontato furfante insidioso nel proprio vischio rimane impigliato.
A Madama Ping, a Prugna Primaverile, un figlio ciascuna è concesso,
ma presto, anche se splende fortuna, il loro corso mortale finisce lo stesso.
Quello di Stelo di Giada [terza moglie. N.d.R.] e Madama Luna [prima moglie. N.d.R.] è pagina più brillante:
a loro il premio della virtù – pace e vecchiaia riposante
Loto d’Oro? Il suo fato lacrimevole che fa rabbrividire!
Ma la fragranza di questa storia durerà per mille anni a venire.

ivi, vol. II, p. 919.
I due volumi dell’edizione del 1983 del “Jin Ping Mei” pubblicata da Feltrinelli.

Un giardino fiorito

Opera impudica, scostumata, il Jin Ping Mei è il primo romanzo erotico cinese a noi pervenuto – seguito dal Tappeto da preghiera di carne di pochi anni più recente.
«[…] l’eros è componente primaria nelle lotte dentro la casa e l’occasione per definire i personaggi» (E. Masi, Cento capolavori della letteratura cinese, Macerata, Quodlibet, 2009, p. 327.) e, di fatto, la componente erotica è il tratto distintivo del romanzo che emerge fin dalle prime pagine. Se le scene erotiche, da un lato, sposano la pudicizia cinese e vengono narrate attraverso metafore imaginifiche come “la nube aveva scaricato tutto il suo contenuto” o “due anatre mandarine innamorate che si agitano felici nell’acqua”, dall’altro, non mancano allusioni più esplicite che non lasciano spazio alla fantasia:

La Sesta Wang un gioco amava al di sopra di tutti. Unita all’uomo in amorosi lacci, voleva che quello cogliesse il fiore delle sue natiche, mentre lei titillava il suo fiore più intimo. […] Inoltre, instancabile, stuzzicava con le labbra lo scettro erbureo e ne paileggiava i granelli tutta la notte, sempre bramosa di nuove voluttà […].

Chin P’ing Mei. Romanzo erotico cinese del secolo XVI, a cura di P. Jahir, M. Rissler Stoneman, Milano, Feltrinelli, 1983, vol. I, p. 391-392.

Il simbolismo pudico compare, inoltre, in tutti quei riferimenti floreali disseminati nel corso della lettura, a partire dai nomi di molti dei personaggi femminili. Il fiore è spesso associato alle donne e alle fanciulle giovani, belle, seducenti e sessualmente mature. E non è per l’appunto un caso che il quartiere di piacere in cui Ximen e i suoi fratelli giurati si recano si chiami quartiere dei Giardini Fioriti.

[…] qui carne umana a volontà si può ottenere.
[…] Fuori, un’insegna dietro l’altra a caratteri cubitali,
adescano a entrare il visitatore.
Dentro, la vecchia ruffiana
intasca il prezzo della libidine.
Merci simili, distinti signori,
non si concedono facilmente a chiodo.

ivi, vol. I, p. 157.
Illustrazione di un’edizione cinese del “Jin Ping Mei”. Fonte: Wikipedia.

Un romanzo fustigatore

Il Jin Ping Mei, strano a dirsi, non è un’opera scritta con intenzione pornografica, al contrario del già citato Tappeto da preghiera di carne, un romanzo fine a se stesso, redatto per il puro e semplice intrattenimento del fruitore.

Il Jin Ping Mei è «un romanzo fustigatore, tremendamente critico, che mette a nudo abitudini e costumi di un’età e di una società corrotte». (L. Lanciotti, Letteratura cinese, Roma, ISIAO, 2007, p. 164.)
Sebbene sia ambientato durante la dinastia Song, i costumi, le tradizioni e le abitudini descritte sono quelle dell’epoca Ming. Un’epoca ormai allo sfacelo: l’impero era in mano a politici corrotti e le ribellioni dilagavano nel Paese; mentre i Manciù davano inizio alle prime incursioni, nel 1644 Chongzen, l’ultimo imperatore della dinastia, si impiccava a un albero.

Ed è così che l’eros, il godimento e la gioia di vivere diventano il fulcro di ogni azione e comportamento, ma, allo stesso tempo, mezzo attraverso il quale l’autore muove le proprie critiche nei confronti di quel mondo cittadino di cui, forse, lui stesso faceva parte. Un mondo popolato da famiglie poligame, serve adultere, avide fanciulle e mogli fedeli, uomini insaziabili, mariti violenti e giovani innamorati. Un mondo – quello del Jin Ping Mei – in cui «tutti i personaggi del romanzo [sono N.d.R.] dannati a morte violenta dalle proprie passioni». (Chin P’ing Mei. Romanzo erotico cinese del secolo XVI, a cura di P. Jahir, M. Rissler Stoneman, Milano, Feltrinelli, 1983, vol. I, p. VII.)

Le lacrime cadono a due a due
a due a due cadono le lacrime.
Tre coppe di vino alla partenza,
alla partenza tre coppe di vino.
La fenice e il compagno non sono più insieme,
non sono più insieme la fenice e il compagno.
Oltre la cima del monte
il sole al tramonto sprofonda a poco a poco nel suo letto;
dietro il monte si corica il sole.
Oltre il cielo è scuro, la terra tenebrosa;
essi non si vogliono separare
no, non vogliono separarsi.

ivi, vol. II, p. 831.

Illustrazione a cura di Noemi D’Atri.