Giulia Licciardello, Un cielo pieno di stelle: racconto su tela

Giulia Licciardello, Un cielo pieno di stelle: racconto su tela

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Il terzo racconto proposto dalla Guida di Galleria Millon è Un cielo pieno di stelle, di Giulia Licciardello

Questa volta esponiamo un racconto su tela, dai colori pastello e tante, moltissime stelle; un racconto che parla di una figlia che desidera rendere fiero un padre che non c’è più, mentre si divide tra un fratello poco sognatore e una madre tornata bambina.
È uno spaccato di vita in cui molti si riconosceranno, anche grazie allo stile lineare e familiare dell’autrice. L’ispirazione per questo racconto viene da un piccolo cinema del paese dell’autrice, che Giulia ha sempre immaginato di comprare in un futuro alternativo. 

Esattamente come in Rughe di Paco Roca, una graphic novel di Tunuè, il tema dell’anzianità e delle sue problematiche è trattato con cura, quasi tenerezza. 

Introduzione di Amalia D’Anna.

Un cielo pieno di stelle

Non ho voglia di vedere mio fratello; so già quello che mi dirà, ma è giusto informarlo. Arrivo al bar e lui è già lì.
«Ciao» dico, mentre mi siedo. Lui sta bevendo una gassosa, io chiedo un tè caldo e aspetto l’ordinazione in silenzio. Lui mi fissa, aspetta una mia mossa e non dice nulla.
Qualche minuto dopo la cameriera mi porta l’Earl Grey e quasi mi brucio col solo vapore. «E così l’hai comprato» esordisce, cogliendomi alla sprovvista. «Non credo sia stata una buona idea.»
Sapevo che non mi avrebbe appoggiato, non è mai stato il fratello migliore del mondo.
«Be’, non ho chiesto il tuo parere» stringo la tazza di tè, è ancora troppo caldo.
«E allora cosa ci faccio qui?»
«Volevo aggiornarti. Il cinema appartiene a entrambi.»
«Non formalmente» ricorda lui. 
Sono tentata di sacrificare il tè e lanciarglielo addosso, ma mi trattengo.
«Mi sembra una decisione affrettata, data la tua condizione economica» continua. «La prossima volta che mi chiederai soldi, dovrò rifiutare» aggiunge poi, come se fossi ancora intenzionata a chiedergli prestiti.
«Dubito che si verificherà questa possibilità, tranquillo. Starò bene anche senza i tuoi soldi.»
«E come farai con l’affitto?»
«Per il momento sto da Laura, che mi aiuta in biglietteria. Ci metterà un po’ a carburare, ma con l’arrivo dell’estate sono sicura che inizierà a fruttare» recupero dalla borsa una busta e gliela porgo.
La apre, trova l’invito all’inaugurazione e sogghigna. «Sabato, eh? Potevi aspettare ancora un po’ prima di dirmelo.»
«Sapevo che mi avresti criticato, ma ormai è tutto sistemato: il bar è operativo, i bagni ristrutturati, le poltrone sono nuove e la prima pellicola è in attesa delle prove tecniche» sono mesi che ci lavoro, dopotutto. «Mi piacerebbe che venissi, terrò anche un discorso prima del film.»
«Un discorso, tu? Hai smesso di vomitare davanti al microfono?»
«Più o meno da quando ho iniziato con la radio, direi. Sei davvero poco aggiornato» questa volta sono io a ridacchiare e finalmente riesco a sorseggiare il mio Earl Grey, che ormai si è intiepidito.
«Come fai a bere quella roba con questo caldo?» mi prende in giro, come ha sempre fatto, mentre assapora la sua gassosa.
«Dovresti vedere come ho decorato l’ingresso e il ristorante: ho rivestito il soffitto di un velo nero, punteggiato di led a luce soffusa.»
«Sarebbero stelle?»
«Sì… gli piaceva tanto lo spazio, ricordi? Ho pensato di omaggiarlo così» sorrido e riesco a strapparne uno anche a lui. Dopotutto, anche mio fratello ha un cuore.
Poi oscilla la testa su e giù, come a soppesare la frase. «Ti sei fatta grande» prende la gassosa e si alza.
«Allora vieni?» nonostante non ne abbia bisogno, mi piacerebbe avere il suo sostegno. Lui mi sorride e mi fa un cenno con la testa, criptico. Non ce la fa a dire chiaramente “sì” o “no”, e così va via.

Quello stesso pomeriggio vado alla clinica Tremonti. L’infermiera mi accoglie con un sorriso, come ogni mercoledì. Mi registro, mi lavo con cura le mani e vengo accompagnata alla camera 102, al primo piano. Lei è seduta sul letto con lo sguardo rivolto verso la finestra, ma nel momento in cui apro la porta si gira di scatto e ci sorride.
«Diana, mi hai portato compagnia?» chiede, rivolta all’infermiera alle mie spalle.
«Non vorrai startene tutta sola, vero, Michi?»
Mi consegna un vassoio con un budino al cioccolato e un cucchiaino. «Vi lascio sole» dice, e si chiude la porta alle spalle.
Mi avvicino al letto e appoggio il vassoio sul comodino. I fiori che le ho portato la settimana prima sono appassiti; un bicchiere di plastica contiene residui di liquido verde e ci sono ovunque pezzetti di carta appallottolati.
«Non fare caso al disordine, la donna delle pulizie passerà domani mattina» si scusa Michela, come se ne avesse bisogno. È in una clinica, nessuno le chiede di tenere la camera in ordine.
Le sorrido. «Vuoi il budino?»
«Non ora, no. Come mai sei qui?»
«Vengo ogni settimana, non ricordi?»
«Come se non lo sapessi già» se ne avesse la forza mi darebbe un pugno sul braccio, ma si limita a ridere, rassegnata «Non riesco mai a ricordare il tuo nome… Valentina?»
«No» dopo due anni ci ho fatto l’abitudine «ma vedo che il nome di tua nuora te lo ricordi. Sono Susanna.»
«Susanna tutta Panna!» esulta lei, sembra tornata bambina.
«Esatto, come i formaggini che mangiavi da piccola. Li mangiavo anch’io, erano buoni.» Michela non risponde, la sua attenzione si è spostata sul tablet che tengo in mano «Cos’è quello?» indica.
Io mi accomodo accanto a lei e le lascio il tablet, che al suo tocco si accende. In quel momento sembra piccolissima, alle prese con la tecnologia.
«Volevo farti vedere come ho rinnovato il cinema Stella. Te ne avevo parlato, ricordi?» lei scuote la testa dispiaciuta. Le poggio una mano sulla schiena e sorrido. «Non fa niente, te ne parlo di nuovo con piacere.»
Man mano che scorro le foto, le racconto della mia visione per il cinema che un tempo era appartenuto a mio padre. Le parlo del cielo stellato nella hall, del nuovo bar e dei primi film che abbiamo in programmazione. Le faccio vedere le foto incorniciate che verranno esposte lungo i corridoi, immagini in bianco e nero di quando il cinema Stella era l’unico del paese, e foto di mio padre. L’unica cosa che non le mostro è la nuova insegna; farebbe troppo male da spiegare, così passo oltre velocemente. Lei è così presa da quei colori che nemmeno se ne rende conto.
«Mi piacerebbe vederlo dal vivo» dice, ma so che già tra qualche ora avrà dimenticato della sua esistenza.
«Tu prova a sgattaiolare fuori da qui, io ti aspetto all’entrata» le sorrido. Mi fa quasi ridere pensare a quanto sia facile parlarle, adesso. Nessuno che urla, nessuno che giudica, solo due estranee che si raccontano.
Poco dopo rientra l’infermiera Diana, è ora di andare via.
«A mercoledì, Michi» le dico.
«In bocca al lupo per l’inaugurazione!» mi saluta con gioia.

Sabato arriva e mi sento impreparata. Tutto è sistemato, ma forse quella sbagliata sono io. Mi sento fuori posto, ho paura di non rendere giustizia a questo splendido luogo. Di deludere papà.
La gente comincia ad arrivare. Parenti, amici, curiosi. Ci sono anche la stampa e il sindaco che ha avuto la premura di farci visita, i camerieri che girano tra le poltrone per offrire assaggi a tutti, e Laura che si prende sempre cura di me.
È quasi ora, mi reco dietro le quinte. Ho voluto mantenere la struttura dell’ex cine-teatro, riportando il palco allo splendore originale, con il suo magnifico tendaggio blu, dietro il quale mi sto nascondendo.
«C’è tuo fratello!» mi annuncia Laura, in agitazione «E con lui anche Valentina e i bambini!»
«Oh, grandioso» sono felice che sia venuto, anche se, qualora qualcosa dovesse andare storto, verrò presa in giro a vita, e questo mi fa agitare.
Le luci lampeggiano: è il richiamo al palco. Il pubblico ammutolisce, la mia emozione sale; sotto uno scroscio di applausi, vengo annunciata e mi faccio avanti.
La platea è colma di gente, e in tanti sono rimasti in piedi. I posti a sedere non sono molti, ma gli affezionati sì. Non riesco a nascondere un sorriso prima di dare inizio al mio discorso.
«Buonasera a tutti, grazie di essere qui. Riconosco qualche faccia tra voi, volti che da bambina vedevo spesso e che sono parte della storia del cinema Stella. Grazie. Grazie anche al sindaco Giovannini, che ha insistito per presenziare e ci ha onorati col taglio del nastro. È davvero un privilegio averla con noi e mio padre ne sarebbe felice» mi fermo, prendo fiato. Nominare mio padre davanti a tutta quella gente che lo conosceva mi fa tremare la voce, e il peggio deve ancora arrivare.
«Il cinema Stella nasce dalla passione di mio padre Valerio per il cinema e per lo spazio. Ammirava gli antichi cinematografi e quando vide l’annuncio del terreno in vendita non riuscì a trattenersi. Costruì un luogo di conforto, di ritrovo e di comunità per il nostro paese, ma soprattutto per me e mio fratello. Ho molti ricordi legati a questa sala, e il peggiore è quello del fallimento, nell’estate del 2002. E ora eccomi qui, a diciotto anni di distanza, proprietaria di questo cinema. Spero di avergli reso giustizia e soprattutto di rendere questo cinema, ancora una volta, un luogo di incontro per tutti voi.»
Mi fermo ancora, arriva la parte più difficile. Sento lo sguardo di tutti addosso, sto quasi per vomitare e intravedo mio fratello che, dalla prima fila, mi fa un cenno di approvazione con la testa. Il primo dopo tanti anni.
«La proiezione che segue è il primo film che ricordo di aver visto qui, insieme ai miei genitori. Si tratta dei Flintstones. La scelta era tra questo e Forrest Gump, ma sentivo che avrei pianto abbastanza e non volevo peggiorare le cose con un film drammatico» la gente scoppia a ridere e riesco a farlo anch’io.
«Non mancate al taglio della torta e al buffet, mi raccomando. Vi auguro buona visione e un benvenuto ufficiale al nuovo cinema Stella, da oggi con una nuova insegna!» dopo le mie parole, viene finalmente scoperta la scritta alle mie spalle, prima nascosta da un telo. La indico con commozione e non trattengo più le lacrime, mentre la platea applaude.

«Il Cinema Valerio e Michela Stella.»

Illustrazione a cura di Caterina Cornale.