Apuleio, avvocato in bilico tra filosofia e magia

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Capolavoro senza tempo dell’arte retorica, Della magia rappresenta il culmine della carriera da retore di Apuleio. Figura eclettica che visse nel II secolo d.C., Apuleio è noto principalmente per aver scritto Le metamorfosi o L’asino d’oro. Si dilettò come scrittore, filosofo, avvocato, retore e, a quanto pare, anche come mago e mistico. Della magia raccoglie proprio l’arguta difesa che Apuleio costruì per dimostrare di non aver ricorso a nessuna arte magica nel corso della sua vita, men che meno per sposare la facoltosa vedova Pudentilla.

Una vita di viaggi e misticismo

La figura di Apuleio sembra essere avvolta dal mistero. Quel poco che sappiamo ci è stato tramandato da due sue opere parzialmente autobiografiche: Della magia (o Apologia) e i Florida. Nacque intorno al 125 d. C. a Madaura, nella provincia romana della Numidia, regione tra i territori dell’allora Mauritania e i domini di Cartagine, all’incirca nella parte nord-orientale dell’attuale Algeria. Figlio di un ricco duumviro, compì i primi studi di grammatica e retorica a Cartagine. Si trasferì poi ad Atene, dove, grazie all’ellenismo, si stava riaffermando l’antico splendore della cultura greca. Apuleio entrò così in contatto con la filosofia, avvicinandosi in particolare alla visione di Platone che proprio in quegli anni andava riscoprendosi.

Si dice che durante il suo soggiorno nella città venne iniziato ai misteri di Eleusi e che divenne devoto ad Asclepio, dio della medicina, delle guarigioni e dei serpenti. I suoi interessi confermano una tendenza all’eclettismo: Apuleio spaziò dalla scrittura alla retorica, dalla filosofia alla medicina, rivelando anche un peculiare gusto per il misticismo.

Dopo i suoi studi ateniesi, intraprese numerosi viaggi per seguire quel sentimento di curiositas che lo pervadeva. Particolarmente attratto dai culti orientali, si recò a Samo, ad Alessandria d’Egitto e a Ierapoli, città ellenistico-romana della Frigia (regione nell’attuale Turchia). Per qualche tempo abitò anche a Roma dove, come avvocato, si impratichì ancora di più nell’ars oratoria. Intorno ai trent’anni si stabilì definitivamente a Cartagine, anche se continuò a viaggiare per tutto il Nord Africa – e proprio in uno di questi spostamenti si svolsero i fatti che lo portarono a scrivere Della magia. Morì a Cartagine, intorno al 180 d.C.

Teatro romano di Sabratha, città dell’antica Roma in Libia. Foto di duimdog.

Focus sull’epoca

Prima di approfondire l’accusa di magia che venne mossa ad Apuleio e dal quale scaturì Della magia, è bene capire il contesto storico dell’epoca in cui visse. Durante il II secolo iniziarono a manifestarsi i primi sintomi di un’epoca in crisi, che culmineranno con la caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 472 d.C. Dal 117 al 180 si alternarono alla guida dell’impero Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo (se ve lo state chiedendo, è proprio il Commodo interpretato da Joaquin Phoenix nel Gladiatore di Ridley Scott). Tra il 98 e il 117, durante la guida di Traiano, l’Impero Romano aveva conosciuto la sua massima espansione territoriale.

I successivi imperatori si concentrarono quindi sul rafforzamento dei confini. In particolare, Antonino Pio e Marco Aurelio, suo figlio adottivo, vengono riconosciuti come dei sovrani illuminati. Furono grandi difensori della pace, della giustizia, e cultori delle discipline filosofiche. Marco Aurelio trasformò la sua inclinazione allo stoicismo quasi in un culto religioso. Tuttavia, Roma come centro della cultura andava vacillando, cedendo il posto ad Atene: con il progressivo affievolirsi del valore della cittadinanza romana e con il lento affermarsi della religione cristiana, l’Impero romano d’Occidente già dal II secolo restituiva un’immagine di crisi.

Questo generale sentimento di incertezza si manifestò in atti di fede verso la conoscenza e la filosofia. Questa crisi sotterranea andò a influenzare l’approccio alla conoscenza che divenne enciclopedico, dimenticando il concetto di ignoranza socratica. Il motto «so di non sapere» non guidava più la strutturazione della conoscenza. La tendenza generale fu quella opposta: gli studiosi presumevano di poter apprendere tutto. I filosofi del passato divennero quasi oggetto di culto e le dottrine filosofiche un atto di fede. Nel III secolo questo sentimento andò poi a convergere nel neoplatonismo.

Della magia: l’accusa di magia

Apuleio è un mago e m’ha stregata e sono presa d’amore. Vieni dunque da me finché conservo ancora la ragione.

Estratto di una lettera di Pudentillia in Apuleio, Della magia, traduzione di C. Marchesi, Milano, Garzanti, 1998, p. 113.

Della magia è la trascrizione della difesa costruita da Apuleio alle accuse mossegli da Sicinio Emiliano per conto del giovane Sicinio Pudente. Ma quale fu l’antefatto che lo portò a questo? 

Dopo essersi già trasferito definitivamente a Cartagine, durante uno dei suoi viaggi, Apuleio fece tappa a Oea, odierna Tripoli. Lì fu ospite dell’amico Ponziano che, conoscendo le grandi capacità di Apuleio, lo convinse a sposare la madre Pudentilla, donna da lungo vedova e dalle grandi finanze. Tuttavia, Sicinio Emiliano, fratello del primo marito di Pudentilla e zio di Ponziano e Sicinio Pudente, non vedeva di buon occhio il matrimonio. Agognava da sempre le ricchezze di Pudentilla e il matrimonio andava a bloccare ogni sua pretesa sull’eredità. Agendo su Ponziano, che nel frattempo diventò suo genero, lo convinse a intentare causa ad Apuleio, sostenendo che costui avesse stregato la donna. Ponziano però morì e quindi Sicinio Emiliano portò avanti la causa per conto dell’altro nipote minorenne, Sicinio Pudente.

Della magia è quindi l’orazione giudiziaria sostenuta da Apuleio per smontare punto per punto, dinanzi al proconsole romano Claudio Massimo, le improbabili accuse di aver stregato Pudentilla con qualche strana magia e di essere lui stesso un potente e malvagio mago. Il processo si svolse a Sabratha nel 158 d.C.

Non solo retorica: l’Apuleio letterato

Io ero certo e ritenevo per vero, o Massimo Claudio e voi Signori del Consiglio, che Sicinio Emiliano, vecchio di famigerata audacia, a sostenere l’accusa contro di me, prima dinanzi a te intentata che dentro di sé meditata, si sarebbe valso, in mancanza di positive imputazioni, di un cumulo di ingiuriose calunnie. Qualsiasi innocente può essere diffamato, ma convinto di reità non può essere che un colpevole.

Apuleio, Della magia, traduzione di C. Marchesi, Milano, Garzanti, 1998, p. 3.

Della magia è un’opera essenziale nel panorama letterario latino: è infatti l’unica orazione giudiziaria pervenutaci successivamente a quelle più note di Cicerone. Sebbene di Apuleio sia più famoso il romanzo in undici libri Le metamorfosi, o L’asino d’oro (da cui è tratta la ancor più nota favola di Amore e Psiche), anche Della magia racchiude in sé un grande pregio letterario. Infatti, i più ritengono che quanto riportato nello scritto pervenuto sia stato ampiamente rimaneggiato in data successiva allo svolgersi del processo. Apuleio avrebbe avuto solo tre o quattro giorni per preparare la propria difesa, tempo insufficiente per produrre un testo così articolato e ben strutturato.

L’ipotesi principale è che Apuleio stesso abbia voluto fare della sua orazione un testo scritto da divulgare al grande pubblico, per fugare ogni ulteriore dubbio sulla sua presunta conoscenza magica. Ne risulta un testo piacevole, arguto nel presentare le accuse e sagace nello smontarle una a una, grazie alla retorica e alla logica. In un alternarsi di tesi e antitesi, con uno stile che propone forme arcaiche e neologismi mutuati dal dialetto africano, Apuleio sintetizza in chiave letteraria l’eloquenza della Seconda sofistica.

Ritratto di Apuleio.

Della magia: accuse e difesa

Il testo è organizzato in centotré capitoli. Apuleio si concentra inizialmente nello smontare le numerose accuse minori – alcune talmente sciocche che fanno sorridere il lettore contemporaneo; successivamente, approfondisce e racconta le vicende personali che lo legarono a Pudentilla, dimostrando la sua innocenza e le sue più nobili intenzioni. Il contesto normativo che legittima l’accusa è quello della lex Cornelia Sullæ de sicariis et veneficis. Proposta dal dittatore Silla nell’81 a.C., questa legge istituiva un tribunale per esaminare anche le accuse di veneficio, ovvero l’utilizzo di determinate sostanze o presunti incantesimi al fine di commettere omicidio o altri atti illegittimi.

Fin dall’inizio dell’orazione, Apuleio si dimostra impietoso nei confronti dei suoi accusatori, definendoli rozzi, volgari e ignoranti. Tra i vari capi d’accusa vi è, per esempio, quello di aver preparato un dentifricio per un amico usando esotici aromi arabi. Per difendersi, Apuleio sostiene che un filosofo debba sempre tenere pulita la bocca, organo di primaria importanza per la sua professione. Poi, sempre appellandosi alla sua natura di filosofo, si difende anche dall’accusa di possedere uno specchio, affermando che il possesso di qualcosa non sfocia necessariamente nel suo utilizzo.

Se il possesso non è una prova dell’uso e la mancanza di possesso non esclude l’uso, giacché non tanto il possesso dello specchio si incolpa, quanto il fatto di specchiarsi, questo è necessario che tu mi provi: quanto e in presenza di chi io mi sia guardato allo specchio. Dico questo perché in realtà tu decreti che per un filosofo la vista di uno specchio è un sacrilegio peggiore che per un profano vedere gli oggetti sacri dei misteri di Cerere.

Apuleio, Della magia, traduzione di C. Marchesi, Milano, Garzanti, 1998, p. 19.

Filosofia come magia

Il punto cardine della difesa apuleiana è la contestualizzazione dei capi d’accusa non come magia, ma come compartimenti tipici e necessari a chi è filosofo. Come precedentemente accennato, durante l’epoca storica in cui Apuleio visse, la filosofia andava ad arginare una crisi di valori proponendosi quasi come un alternativo atto di fede. Il filosofo diventava pertanto un intermediario tra la concezione divina e la realtà quotidiana e doveva quindi conoscere il mondo demoniaco, le erbe, la medicina, l’astronomia. Doveva ricercare e osare, perché il filosofo-mago del II secolo, precursore della visione neoplatonica del secolo successivo, conosce tutto, come i sacerdoti-maghi dei culti orientali fautori di una magia bianca. Riconducendo pertanto qualsiasi superficiale accusa di magia alla pratica filosofica, Apuleio fuga ogni dubbio, consacrando le sue attività come necessari atti di fede filosofica. E proprio questo gli regalò quella fama di filosofo-mago (bianco) che, molto probabilmente, lo portò a scrivere Le metamorfosi.

Al di là dell’aura di misticismo che questa orazione conferì ad Apuleio, il suo grande valore sta nell’aver tramandato un capolavoro di retorica che, ancora adesso, sorprende per l’efficace eloquenza. Nonostante la natura faziosa della logica sofista presente, Della magia è un testo fondamentale e unico nel suo genere. In un misto di satira, commedia e retorica, e con uno stile tanto personale quanto efficace, Apuleio conferma la sua fama che, dopo duemila anni, ancora gli sopravvive.

Illustrazione a cura di Noemi D’Atri.