libreria due punti

Libreria due punti: perché vale (ancora) la pena essere una libreria di quartiere

Reading Time: 7 minutes

A Trento, vicino all’imponente Castello del Buonconsiglio, c’è un quartiere che da qualche anno a questa parte sembra essere rinato: San Martino. È uno dei quartieri più antichi della città, piuttosto caratteristico grazie anche alla famosa Torre Verde che lo sovrasta e la stretta via che lo percorre.

La sua storia è segnata dal cambiamento. Uno dei più grandi è stato nel 1864 quando l’Adige venne deviato per allontanarlo dal centro cittadino. Oggi San Martino si affaccia su via Manzoni e non più sul fiume.

Fino a due anni fa, il quartiere, sito in una zona periferica, era abbandonato a se stesso e si trovava al centro di un fervente dibattito pubblico sulla sua riqualificazione. Trento è piccola, bastano pochi metri per creare un confine tra centro e periferia: per arrivare a San Martino, dal centro città si attraversa un passaggio pedonale e subito ci si trova davanti alla torre dalle tegole verdi e la via principale del quartiere. E ci si ritrova, quasi per magia, in periferia.

Per capire come è cambiato il quartiere e come è vissuto dai suoi abitanti, noi della Galleria siamo andati a trovare gli amici di due punti, l’unica (o quasi) libreria indipendente di Trento. Abbiamo intervistato Elisa Vettori, fotografa, che un paio di anni fa, con Federico Zappini, esperto di progettazione sociale, si è imbarcata in questa avventura. Con loro abbiamo scoperto che sono le azioni che fanno la differenza nei luoghi e non le definizioni. È la possibilità di costruire relazioni, di sentirsi parte di una famiglia, di poter dire la propria ed essere ascoltati, a costruire l’anima di uno spazio e dare forma a un luogo in cui stare bene e sentirsi a casa.

Elisa, tu sei una fotografa mentre Federico è un esperto di progettazione sociale. Come è nata l’idea di aprire due punti, libreria-laboratorio?

Ci siamo conosciuti all’Impact Hub di Trento, unico spazio di coworking in città. Federico è una persona molto metodica, aveva preparato un questionario che ha distribuito a tutti noi, all’Hub. Chiedeva come avrebbe dovuto essere una nuova libreria indipendente in una città in cui, rispetto al numero di abitanti, ci sono già tante librerie. Questa idea mi ha subito colpita e un giorno, grazie agli spazi condivisi di Hub, abbiamo avuto modo di approfondirla.

Anche io avevo sempre desiderato aprire una libreria, anche se lo vedevo come un sogno da realizzare nella mia vecchiaia. Però, poi ho pensato che forse, quando trovi qualcuno con cui condividere qualcosa, vale la pena provarci. E così abbiamo iniziato a parlarne sempre più seriamente. Per sei mesi ci siamo trovati, abbiamo realizzato un business plan, siamo andati in giro per Trento in cerca del posto adatto dove dare vita al nostro sogno. Abbiamo scelto il quartiere di San Martino perché ci piaceva molto ed era anche la soluzione più economica. 

Come è cambiato il quartiere da quando siete arrivati? Io sono arrivata a Trento ormai dieci anni fa e mi sento di dire che il quartiere di San Martino è diventato sempre più vivo e vissuto, grazie anche ai commercianti della via.

Quando siamo arrivati noi, due anni fa, il quartiere era praticamente vuoto. E proprio per questo per me era pronto a cambiare. Sai, gli spazi vuoti si prestano a essere riempiti e non viceversa. Se c’è troppa saturazione, come puoi metterci del tuo? Dei pochi esercizi aperti, alcuni hanno chiuso poco dopo il nostro arrivo. Era già presente La Seggiolina Blu, unica altra libreria indipendente di Trento, gestita da due donne. È stato bello e stimolante essere vicini di porta e poter scambiare idee e opinioni sul nostro lavoro. C’era già anche Rileggo, bellissima libreria che vende anche cd e vinili usati.

Poco dopo il nostro arrivo sono iniziati i lavori per trasformare una via in cui le persone passavano in auto solo per cercare parcheggio, in una sorta di piazza orizzontale, ad accesso pedonale. Questo aspetto è stato fondamentale per permettere al quartiere di crescere. È stato possibile iniziare a immaginare come riempire questo nuovo spazio e, grazie anche al nostro entusiasmo, la narrazione del quartiere si è allargata velocemente. Hanno iniziato a nascere altre cose. Quando hanno aperto il bar [El Barrio, N.d.R.] io e Federico abbiamo cantato vittoria, perché sapevamo che avrebbe portato molto movimento. Ancora prima che aprisse, i ragazzi proprietari sono venuti da noi della due punti e dalle ragazze della Seggiolina Blu per capire il quartiere e scambiare idee e visioni sul futuro della via. È stato quindi un processo partecipato. Adesso gli spazi sfitti sono molti meno.

Grazie a voi e agli altri commercianti della via, la zona è praticamente rinata. È bello che vi siano spazi partecipati che funzionino. In Italia non è sempre scontato.

Sono convinta che la sinergia tra le persone funzioni sempre. Certo, se racconti e comunichi quello che stai realizzando, è più facile che altre persone affini si avvicinino. Però questo non può bastare. Penso sempre di più che la parte urbanistica abbia una grande importanza. Perché anche un gesto semplice come prendere un caffè e chiacchierare non è possibile se hai una strada davanti. Lo spazio che si è trasformato ha incentivato notevolmente i processi di legami tra noi. Forse si dovrebbe ragionare di più in questo senso. 

E qui dovrebbero intervenire le istituzioni.

Esattamente. Una città che dialoga poco forse non è progettata bene per chi la vive. Se tu hai lo spazio per fermarti è probabile che instauri un dialogo, se hai una strada davanti alla porta è sicuro che non lo fai. Perché, dove ti fermi?

Tornando alla vostra attività principale, quella della libreria, qual è il ruolo della libraia di quartiere? È stato come ti aspettavi?

Non avevo nessuna aspettativa in particolare, non sono riuscita a costruirmene. Ho fatto il praticantato in un’altra libreria, la Marco Polo di Venezia. È completamente diversa dalla nostra, anche se il catalogo è molto simile. È in una zona dove passano tantissima gente e tantissimi turisti, cosa che qua non succede. Il bello di fare il libraio qui è il microcosmo in cui puoi inserirti e le relazioni che conseguentemente si costruiscono. Allo stesso tempo è importante però non chiudersi troppo. Con molta umiltà bisogna portare avanti le idee che credi facciano bene al quartiere ed essere pronto a lavorarci su.

Per esempio, al nostro arrivo siamo subito entrati nel comitato di quartiere che organizza la festa annuale di San Martino: Il fiume che non c’è. È una festa molto frequentata dai cittadini. Forse perché a Trento ci sono poche feste, quindi le persone fanno di tutto per riuscire a partecipare alle poche che ci sono [ride, N.d.R.]. Comunque, in questa giornata è possibile performare quello che si vuole all’interno degli spazi sfitti. E questo dimostra che la via non era poi così vuota nemmeno quando era vuota. Sono le azioni che formano fisicamente quello che succede negli spazi. La festa è organizzata dal basso, da abitanti e commercianti: e questo è fondamentale per avere il polso del quartiere.

Da qui a cinque anni di sicuro le esigenze saranno molto diverse e quindi continuare a partire dal basso, “rompersi le scatole” alle riunioni, confrontarsi sempre, è fondamentale per continuare a dare ciò di cui c’è bisogno.

Senza poi dimenticare il cuore della nostra attività: i libri e la lettura. Come libraio devi saperli proporre e saperne discutere. Qualche giorno fa abbiamo festeggiato i due anni di apertura e ora posso dire che abbiamo un bel giro di persone. Ormai li conosciamo per nome, sappiamo i loro gusti e loro vengono anche per farsi consigliare. E credo che questo tipo di rapporto con i clienti sia bellissimo, per qualsiasi commerciante, non solo per i librai.

Mi sembra di capire che ci sia un rapporto molto sereno tra i commercianti e gli abitanti della via.

Sì, ed è una cosa che non avevo considerato e di cui sono davvero felice. Gli abitanti della nostra parte di via sono molto contenti della nostra presenza, me ne sono accorta dai piccoli gesti, come i saluti alla mattina. La signora che abita sopra una volta ci ha portato la marmellata fatta da lei. Un’altra coppia, amici di Federico che abitano qui, hanno due bambine e sono spesso da noi. E tutto ciò ti fa capire che ti sei inserito nel tessuto della vita quotidiana, non solo in quello commerciale. D’altra parte, per noi lavorare qui è viverci, visto che ci passiamo almeno dieci ore al giorno, pur abitando in altre zone di Trento.

Domanda di routine in questo periodo. Come avete vissuto il lockdown

Io e Federico siamo un po’ iperattivi, quindi anche durante il lockdown, a parte la prima settimana di disorientamento, non siamo riusciti a stare fermi. Abbiamo subito dato ai nostri clienti la possibilità di ordinare online a domicilio. Federico consegnava i libri in bicicletta, in completa sicurezza. Pensavamo che qualcuno avrebbe potuto rimanere orfano di letture, in un momento in cui forse si aveva più tempo di leggere.

E forse anche il bisogno?

Sì, assolutamente. Ovviamente non siamo arrivati nemmeno lontanamente in pari, però intanto ci siamo mossi, per quel che si poteva, senza rimanere congelati dall’eccezionalità della situazione creata dalla pandemia. Quando a metà aprile le librerie hanno potuto riaprire è stato anche più straniante: eravamo praticamente gli unici aperti in una via vuota

Adesso le fruizioni sono tornate quasi normali, anche se abbiamo un problema non da poco da risolvere. Come libreria organizziamo molti eventi e questa attività ci caratterizza. Con l’autunno la domanda è: dove potremo organizzarli? Adesso li stiamo facendo all’aperto. Come soluzione funziona molto bene, infatti era nostra abitudine usare la via anche prima del lockdown. Ora però dovremo inventare qualcosa per gli eventi al chiuso.

Speriamo che la situazione migliori. Se siete due iperattivi magari vi verrà l’idea geniale e tutti vi copieranno.

[Ride, N.d.R.] Magari! O forse l’idea viene a qualcun altro e saremo noi a copiarlo.

Avete qualche progetto futuro da anticipare ai nostri lettori?

Per l’autunno ci piacerebbe concentrarci ancora di più sul nostro gruppo di lettura. È numeroso, attivo e soprattutto variegato. Abbiamo delle idee in merito che discuteremo anche con il gruppo stesso. 

Riprenderemo anche con i laboratori del sabato pomeriggio. Io gestisco quelli di fotografia per i bambini. Ci concentreremo maggiormente sul paesaggio urbano e l’utilizzo dello spazio pubblico: mai come in questi mesi ci siamo accorti di quanto sia fondamentale avere anche uno spazio esterno.

Un altro progetto a cui tengo molto è legato al mondo dei podcast e degli audiolibri. Recentemente, all’interno del festival Sputnik organizzato da noi, abbiamo collaborato con l’associazione di lettori ad alta voce Umanofono. Durante l’estate abbiamo organizzato delle presentazioni con autori ed editori indipendenti che teniamo in libreria. Siamo andati in cinque zone della città sconosciute anche a noi. Durante i vari eventi, nel rispetto delle norme anti-covid, i lettori di Umanofono hanno letto stralci di libri al pubblico. È stato molto bello. Per alcuni autori è stata la prima volta in cui qualcun altro leggeva la loro opera. Vogliamo cercare in qualche modo di portare avanti questa idea, per rendere i libri e la lettura ancora più accessibili e fruibili, a tutti.

Rielaborazione grafica a cura di Noemi D’Atri.