Madame Bovary: l’erotica noia borghese

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La sensualità, la ricerca del piacere e dell’eros sono spesso stati descritti in letteratura come figli della passione, della voglia di sperimentare insita nell’inconscio umano. Ciò ha probabilmente portato a credere, nella cultura di massa, che essi siano soltanto figli di impeti improvvisi. Tuttavia, l’erotismo può scaturire anche dalla noia e dall’insoddisfazione. La ricerca del piacere talvolta è anche una fuga da una routine opprimente, figlia a sua volta di una vita all’apparenza troppo perfetta. La Divulgatrice ci racconta in questo articolo questo lato della sensualità, esplorato da Emma Bovary nell’opera di Flaubert.

L’opera

Madame Bovary, di Gustave Flaubert, esce a puntate nel 1856 sulla Revue de Paris, per comparire poi in versione integrale un anno dopo, pubblicato dall’editore Lévy. La protagonista, Emma, si sposa a soli diciotto anni con il dottor Bovary, un uomo mediocre ma che le evoca sicurezza. La fase euforica iniziale però svanisce ben presto, ed Emma si ritrova intrappolata in una routine provinciale che non le appartiene, accanto a un uomo che non ama. Trova un diversivo in qualche amore extraconiugale, che finisce con il causarle ulteriore malessere, debiti, pianti e malinconia, che la conducono al gesto estremo dell’ingestione di arsenico, morendo pochi giorni dopo. È proprio questa tragica fine a permettere la pubblicazione, tormentata e molto contestata, del romanzo. Emma muore, e questa è la punizione esemplare per chi osa mettere in discussione i doveri coniugali.

La morbosa trappola della routine

Emma gli sedeva davanti, lo guardava; lei non divideva la sua umiliazione; ne pativa un’altra: come aveva fatto a immaginare che un simile ometto valesse qualcosa? Non ne aveva già più e più volte toccato con mano la mediocrità?

G. Flaubert, Madame Bovary, Milano, Garzanti, 1992, p. 150.

Emma rappresenta la tipica ragazza giovane e inesperta del mondo. Ha letto nei romanzi di vite vissute nel lusso e nella mondanità, ha conosciuto l’amore travolgente e passionale tramite le parole dei suoi libri e lo ricerca nella sua vita. Ma Emma è solo la figlia di un agricoltore, vive in provincia e conduce un’esistenza mediocre. Crede di poter svoltare la sua vita sposando l’affermato medico Charles Bovary, ma ben presto scopre che la vita vera e quella narrata nei suoi amati libri sono molto diverse, e finisce per cadere in un profondo oblio e bovarismo. Da Emma nasce proprio quest’ultimo termine, plausibilmente traducibile come una condizione in cui, dall’insoddisfazione e dalla noia, si cerca rifugio nell’immaginazione e nell’evasione dalla realtà. La protagonista non si rassegna, però, a reprimere in sé quelle esigenze che il marito non riesce a soddisfare: evade dalla prigione coniugale alla ricerca delle vie dell’eros. Intraprende relazioni extraconiugali, scopre un mondo proibito che finalmente riaccende in lei la voglia di vivere e di sperimentare. Non prova sensi di colpa e nessun riguardo nei confronti del marito: il piacere non è un diritto soltanto maschile, ed Emma pare averlo finalmente scoperto da sé. 

L’erotica noia borghese

La passione per l’amante cresceva di giorno in giorno con la ripugnanza per il marito. Più si abbandonava a uno, più detestava l’altro.

ivi, p. 152.

’espressione “erotica noia borghese” si ispira ai lavori di Edoardo Gallorini e non potrebbe rappresentare meglio il caso di Emma Bovary. Le sue sperimentazioni erotiche non nascono da un vero e proprio desiderio carnale, o meglio, lo fanno solo relativamente. La protagonista si annoia, è stanca e ha bisogno di distrazioni. È incuriosita dall’adrenalina del tradimento, dalla voglia di conoscere ed esplorare corpi nuovi e di riscoprire il proprio. Emma non ha un solo amante, ne ha due, ed entrambi finiscono per logorarla. Il primo, Léon, rappresenta il suo riflesso: sognatore, acculturato, annoiato. Un proto-bohémien che presto si stancherà della situazione e abbandonerà la protagonista, alla ricerca di altri piaceri. Emma si abbatte ma trova presto un nuovo diversivo: Rodolphe, un libertino, calcolatore e seduttore che la educherà alla sensualità. La seduce, le insegna l’arte del piacere, plasma i suoi capricci erotici e anche lui finisce per abbandonarla. Rientra qui in scena Léon, in una versione matura e rinnovata, ma sempre candida e fanciullesca. Questo ritorno non basterà, tuttavia, a salvare Emma, che si abbandona a quella che le pare l’unica forma di sicurezza della sua vita: il suicidio.

Eros e thanatos: quando il suicidio è l’unica via

«Non piangere!» disse lei. «Presto non ti tormenterò più!».
«Ma perché? Chi ti ha costretta?».
Lei replicò:
«Era necessario, caro».

ivi, p. 256.

Emma non è il primo personaggio letterario a suicidarsi in seguito a una vita tormentata. Non è nemmeno il primo caso in cui amore e morte si incontrano. Il binomio adulterio e morte è ben evidente infatti anche in Anna Karenina, nel Rosso e il nero, nel canto dantesco di Paolo e Francesca. Il suicidio assume per Emma il ruolo di una punizione per aver dato sfogo alla propria immaginazione, fino al punto di lasciarle modellare la realtà. La morte è un’autopunizione, una purga dai peccati e un modo per ripulire le coscienze di noi lettori. Abbiamo empatizzato con Emma, ci siamo sentiti vicini a lei, ma la sua vera natura va disprezzata. O almeno, secondo la morale dell’epoca. Emma è l’esempio da non seguire: per aver cercato di ampliare la propria conoscenza è finita per autosabotarsi. La sua figura è quindi quasi quella di un’Eva del Paradiso Terrestre. La colpa che le accomuna: il desiderio della scoperta.

Illustrazione a cura di Martina Nenna.