Intervista illustrata: Alice Vacondio, in arte BITE

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Oggi il Curatore, per la rubrica delle Interviste Illustrate, vi presenta Alice Vacondio, in arte BITE.

L’arte è sempre stata presente nella vita di Alice: fotografia, illustrazione e scenografia hanno incorniciato il suo percorso artistico e lavorativo. Per anni è stata convinta di dover scegliere solo una disciplina, per poi capire che avrebbe potuto coniugare tutte queste forme d’arte in una sola. Alice si definisce una creativa fin da quando, nel 1996, è nata con un cesareo d’urgenza per una sua capriola dell’ultimo momento. Ha iniziato a scattare da autodidatta nel 2010, e tra il 2017 e il 2019 è entrata in sintonia con il mondo del teatro, collaborando come fotografa con alcuni teatri dell’Emilia-Romagna. Si è laureata nel 2020 in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Ha sempre cercato di essere un’artista poliedrica: è attratta da tutto quello che la circonda e da come ciò si riflette su di lei e sulla sua personalità. A ventiquattro anni ha davanti agli occhi ancora un mondo da scoprire.

Come ti immagini tra dieci anni?

Mi vedo circondata da tele gigantesche, piante, fotografie e molto amore.

Qual è il tuo animale totem?

È proprio un animale totemico. Sono sempre stata molto affascinata dalla cultura messicana, in particolare dagli alebrije, animali guida del folclore messicano.

In che città vorresti vivere?

Amo i luoghi pieni di gente ma che mi permettono anche di ricavarmi uno spazio completamente personale. Nella mia classifica ci sono due luoghi, Berlino e il Messico.

Quale strumento usi per realizzare le tue opere?

Sono fan delle tecniche miste, anche se la tecnica che ho nel cuore è sicuramente l’acquerello: d’altronde il primo amore non si scorda mai. Con il tempo sono passata dai pastelli alle chine, dai pantoni agli acrilici, fino a trovare un buon equilibrio tra tutto. Da qualche anno mi sono avvicinata anche al disegno digitale.

Qual è il primo ricordo legato alla tua infanzia?

«Perché sei così grande, nonna?».
«Perché ho mangiato una balena».
È il ricordo più vicino della mia infanzia, forse anche uno dei più intimi. Questa era la domanda che facevo sempre a mia nonna quando utilizzavo la sua pancia come cuscino sulla sua poltrona in salotto. E per anni ho creduto che lei mangiasse veramente delle balene.