(Porno)graphic design: intervista al grafico editoriale Marco Crivellaro(Porno)graphic design: intervista al grafico editoriale Marco Crivellaro

(Porno)graphic design: intervista al grafico editoriale Marco Crivellaro

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Questo mese il Curatore ha unito utile e dilettevole, e vi presenta una storia di formazione che annovera, tra le altre cose, una piccola chicca Erotika. Per questo ha intervistato Marco Crivellaro, grafico editoriale e web designer rodigino. 

Marco Crivellaro lavora per Promemoria Group, che si occupa della digitalizzazione degli archivi storici e dei progetti di comunicazione ideati per valorizzarne il patrimonio. Collabora inoltre alla realizzazione della rivista Archivio, sotto la sovraintendenza dello Studio Òbelo. Il Curatore, però, lo ha intervistato per parlare con lui del suo percorso di formazione all’ISIA di Urbino e di quello che serve per diventare un buon grafico editoriale. Ma soprattutto, lo ha incontrato per farsi raccontare di quella volta in cui, per un progetto universitario, ha dovuto passare un pomeriggio a guardare film porno.

Come è iniziato il tuo percorso nel mondo della grafica?

Da anni conosco una progettista grafica, Laura Bortoloni, che è a capo di Identity Atlas ed è vicepresidente AIAP [Associazione italiana design della comunicazione visiva, N.d.R.]. Quando ero ancora al liceo, ero curioso di capire come funziona questo mestiere e le ho chiesto di poter vedere cosa faceva, di darle una mano. Allora mi ha mandato in missione a Bologna. Dovevo andare in libreria e fare della ricerca bibliografica per un progetto a cui stava lavorando, e procurarle un certo libro di illustrazione. Da qui ho capito che l’ambiente mi piaceva. Sapevo che Laura aveva frequentato l’ISIA di Urbino, una scuola abbastanza prestigiosa, così mi sono iscritto al loro test di ingresso. Io ero già pronto a immatricolarmi ad Architettura, ma poi ho scoperto che ero stato preso. 

Cos’è l’ISIA?

È l’Istituto superiore per le industrie artistiche. Ce ne sono quattro: Faenza, Firenze, Roma e Urbino. Le prime tre si occupano di design del prodotto, ognuna con le proprie peculiarità. Invece Urbino, quella che ho frequentato, propone un triennio in Progettazione grafica e comunicazione visiva, e tre specialistiche: Fotografia, Illustrazione e Comunicazione e Design per l’editoria. Io volevo specializzarmi nel ramo editoriale e fare web design, e così mi sono iscritto a quest’ultimo.

La cosa bella dell’ISIA è che, essendo le classi di massimo venticinque studenti, si è seguiti molto bene da professionisti di un certo calibro. Inoltre, è una scuola molto centrata sul lavoro pratico. Anche i corsi teorici spesso prevedono una produzione di ricerca che sfocia in un libro, una presentazione o una performance artistica. Molto spesso si lavora in gruppo, e questo aiuta tanto, perché così quando si entra nel mondo del lavoro si ha già avuto occasione di lavorare in team.

Grazie all’ISIA, inoltre, ho capito che per me la grafica è un modo per dare enfasi alla ricerca. Mi è sempre piaciuta la ricerca sul campo e negli archivi, e non solo quella fatta da me, ma anche da professionisti che fanno ricerche migliori delle mie. L’editoria diventa lo strumento per mettere su pagina questi materiali, in una maniera che sia visivamente piacevole e che ne tenga presente il contenuto.
È importante anche come si vuole comunicare un contenuto e farlo nel modo più corretto. Un libro di narrativa non ha gli stessi principi di impaginazione di una rivista, di un articolo scientifico, di un libro d’artista. 

The New Graphic Languages
 Il progetto “The New Graphic Languages”, a cura di Marco Crivellaro, Matteo Palù, Valeria Pugliese e Caterina Cerni, è una ricerca che esplora il lavoro della pioniera del graphic design Muriel Cooper.

Cosa serve per diventare un buon grafico?

È necessaria una buona conoscenza di base della grafica in senso lato e dell’ambito della comunicazione di brand, che ho avuto modo di affinare al triennio. È bene anche avere qualche nozione riguardo a illustrazione e fotografia. Perché, progettando libri, si lavora a contatto con professionisti di altri settori, come illustratori e fotografi, ed è meglio avere una base comune di competenze. Poi, oltre a saper usare i programmi di impaginazione, è importante conoscere la storia della grafica e della stampa. Trovo che sia utile anche avere modo di approcciarsi alla progettazione di caratteri. Conoscere la struttura delle lettere, capire come vanno disegnate, è essenziale per essere consapevoli di quando un testo è leggibile e quando non lo è. È il presupposto per imparare a capire quando usare un testo illeggibile, con valore artistico, e quando invece quello leggibile, perché necessario alla comprensione.

Un buon grafico, poi, deve essere curioso. Anche se nel mondo del lavoro è difficile che un grafico faccia ricerca diretta, è utile conoscerne il valore. Bisogna avere curiosità, poi, per i progetti fatti da altri. Procurarsi riviste, libri artistici, di sport, di moda. Bisogna saper individuare i prodotti di livello e capire le esigenze editoriali diverse. I soldi spesi per un libro (o rivista) non sono mai buttati.

Il tema del mese di Galleria Millon è Erotika e sappiamo che hai un aneddoto interessante sull’argomento. Ce lo puoi raccontare?

Nel 2018, io e un collega della specialistica, Vito Battista, abbiamo preparato un libro per il corso di Progettazione editoriale del professor Leonardo Sonnoli. Dovevamo curare tutto il processo, dalla ricerca dei contenuti allo sviluppo, fino alla stampa. Il tema era libero, e abbiamo scelto di occuparci di erotismo e porno, ma non in modo convenzionale. Il porno, infatti, non è un tema raro nell’editoria di nicchia, perché è provocatorio e suscita interesse. Noi volevamo indagarne l’aspetto più privato. E così è nato AMA.

cover di AMA
La copertina di “AMA”. L’immagine, al contrario degli altri fotogrammi inseriti all’interno del libro, è leggermente sfocata in modo da risultare più delicata.

Cosa vuol dire AMA?

Ask me anything. È una formula usata su Reddit da persone che si mettono a disposizione degli utenti, dicendo: «Chiedetemi qualsiasi cosa». In questo caso, è relativo ai Reddit di tutti i parenti di pornoattori che si sono resi disponibili a descrivere il loro vissuto. Gli spezzoni di queste testimonianze, quelle dei children of pornstars, li abbiamo trascritti nel nostro libro, sia in italiano che in inglese, a seconda di quello che abbiamo trovato. Il nostro interesse non erano l’erotismo e il porno in sé, ma l’effetto che ha sui parenti dei pornoattori l’avere dei familiari che fanno porno per professione. Volevamo sdoganare il mito della professione tabù e, con intento provocatorio, mostrare come sia un lavoro normale. Mostrare che ci sono persone che non hanno problemi a dire: «Mia mamma fa la postina, mio papà fa il pornoattore». Anche se, ovviamente, non è così per tutti e ci sono anche esperienze non esclusivamente positive. 

Parlaci un po’ del progetto. Come è strutturato?

La prima parte del volume contiene i racconti di Reddit e un’intervista a un pornoattore rodigino, Felix. Avevamo anche preso contatti con Malena, ma dopo L’isola dei famosi ha smesso di risponderci. Avevamo provato a contattare anche Rocco Siffredi, ma non ci siamo riusciti. L’obiettivo, in ogni caso, era intervistare i pornoattori per poi poter arrivare a parlare con i loro familiari. Purtroppo, per mancanza di tempo, abbiamo dovuto rinunciare. Perciò abbiamo riconvertito la sezione delle interviste ai parenti, ed è diventata una semplice intervista a Felix. 

Abbiamo anche sottoposto un sondaggio a trecentotrenta persone, le cui risposte sono state poi inserite ai margini del libro, in corrispondenza dei racconti di Reddit. La domanda era: «Cosa faresti se scoprissi di avere genitori e/o figli coinvolti nell’industria del porno?». È stato bello coinvolgere conoscenti e sconosciuti e dare voce alle loro parole. Perché abbiamo avuto modo di portare gli intervistati a riflettere, anche se in modo semplice, su un tema non scontato.

E la seconda parte?

È una sezione fotografica. Abbiamo preso degli screenshot da un film porno in cui recitano Malena e Rocco Siffredi. Queste immagini sono state usate a tutta pagina, in bianco e nero, a rappresentare ciò che noi vediamo pubblicamente di queste persone. Ai fermo-immagine, però, sono intervallati alcuni scatti rubati dai profili social degli attori. Li abbiamo messi in una parte del libro progettata apposta perché non si aprisse. La parte superiore delle pagine non è rilegata, quindi, sfogliando il libro, subito si vede il porno. Mentre, per vedere le persone come tali, e non solo come pornoattori, si deve forzare la pagina, si deve scardinare il preconcetto. Andando oltre quello che sta sulla superficie, si potranno vedere tra le pagine, in dimensioni ridotte, foto d’infanzia, festeggiamenti, riti religiosi. Momenti distanti dal mondo del porno, che però sono parte della vita quotidiana di tutti. Dietro la professione, ci sono comunque delle persone.

Interno di AMA.
La progettazione di “AMA” comunica anche a livello tecnico e materiale la discrepanza che esiste tra la vita pubblica e quella privata dei pornoattori. Questo concetto viene ribadito graficamente anche attraverso la scelta di censurare nei testi tutte la parola “porno” e i suoi derivati, oltre che nella leggera sfocatura che nasconde i titoli dei paragrafi.

Quali sono le sensazioni che hai provato lavorando ad AMA?

La parte di ricerca su Reddit mi ha stupito. Non credevo che ci fossero così tante persone nella situazione di essere parenti di pornoattori. Vedere la loro disponibilità a rispondere a domande spesso molto private mi ha stranito. Ma allo stesso tempo ha confermato che la nostra idea di mostrare i pornoattori come persone qualsiasi era la prospettiva giusta per affrontare il tema. Inoltre, è stato molto strano selezionare le immagini dal porno, e poi impaginarle su doppia pagina senza censure. In un certo senso, è stato come guardare un materiale d’archivio, un manoscritto del Cinquecento. Perché sullo schermo, di fronte a noi, avevamo un materiale da studiare, che non era porno in quel momento. Quello che di solito guardi in privato, noi lo abbiamo visto all’aperto, con amici e altre persone accanto che studiavano. In quel momento non doveva far scaturire eccitazione, era solo un materiale visivo da studiare e analizzare. È stato strano.

Vuoi parlarci di altri progetti degli anni di formazione a cui sei particolarmente affezionato?

Sono particolarmente legato al progetto realizzato per il corso di Metodologia della progettazione del professor Marco Tortoioli Ricci. È stata anche la prima antologia che ho provato a curare, e indagava il rapporto tra luogo utopico e luogo distopico. Ho raccolto testi su personaggi, opere e artisti appartenenti agli ambiti più disparati, dall’illustrazione al cinema d’epoca, dall’architettura alla letteratura. Oltre all’indagine visiva, ho accompagnato i contributi con reinterpretazioni grafiche personali, in cui trasponevo a livello visivo quello che dicevano i testi. 

Poi c’è la rivista sul nomadismo, un lavoro di gruppo creato sempre per il corso del professor Tortoioli. Per la realizzazione, l’idea era quella del nomadismo grafico. Abbiamo stabilito alcuni elementi di continuità uguali per tutti – tipo il colore –, e poi ognuno di noi ha creato una struttura grafica diversa da quella degli altri. E, nonostante questa diversità, c’è comunque continuità all’interno del libro.

Infine, c’è un altro lavoro di gruppo, realizzato per il corso di Cultura della grafica e del design della professoressa Silvia Maria Sfligiotti. È una ricerca storica su Muriel Cooper, un personaggio pionieristico del design del libro che ha lavorato al MIT Press come ricercatrice grafica. A partire dai suoi lavori, abbiamo catalogato una serie di progetti grafici da tutto il mondo, sistemandoli dal più digitale al meno digitale. Analizzando l’approccio di designer impegnati in ambiti differenti, abbiamo capito che è comunque possibile produrre opere di un certo spessore sia affidandosi del tutto alle macchine sia rinunciando a esse. È stata una ricerca importante anche per noi stessi, per affinare il nostro gusto.

Ou-topia
“Ou-topia” è un progetto grafico di Marco Crivellaro che indaga il discrimine che separa il concetto di utopia da quello di distopia.

Un consiglio editoriale in linea con il nostro tema del mese?

Sto lavorando al sesto numero della rivista Archivio, intitolata The Eighties Issue, e mi sono imbattuto in un libro che non ho letto, ma vorrei leggere. Sono le Poesie erotiche di Costantino Kavafis, pubblicate in Italia da Crocetti. Io non sono pratico di poesia; sono incappato in questa raccolta per caso, ne ho letto la vicenda su Archivio e mi sono incuriosito. Se volete scoprirne anche voi il fascino, The Eighties Issue uscirà a maggio. Poi, posso consigliarvi Phile, una rivista di cui ho comprato il primo numero. L’ho trovata a una fiera di editoria, e mi ha incuriosito per l’impaginazione, tanto che l’ho comprata a occhi chiusi. Dietro la copertina viola – colore molto adatto all’erotica, per me – ci sono foto, articoli e interviste che riguardano i molti aspetti dell’erotismo. Anche quelli più strani, come i patiti dei rapporti sessuali in mezzo al fango.

Illustrazione a cura di Caterina Cornale.