Parliamo di libri: intervista a Giorgia Sallusti della libreria Bookish

Parliamo di libri: intervista a Giorgia Sallusti della libreria Bookish

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Vi dice nulla il termine bookish? Si dice di persona – o stile di vita – ossessionata dai libri e dalla lettura. Forse avete già in mente qualcuno che possa corrispondere perfettamente a questo identikit. Eppure, dovete fidarvi della Gallerista quando vi dice che non potrete capire appieno questo termine finché non avrete conosciuto Giorgia Sallusti.

Giorgia è la vulcanica titolare di Bookish, libreria indipendente nel cuore di Roma, ed è l’incarnazione di questa definizione. Giorgia ha capito che i libri non sono monadi che vanno preservate intonse in qualche angolo nascosto, ma spore che devono necessariamente germinare per dare vita. Le parole che compongono un libro devono richiamarne altre attorno a sé. La discussione che un buon libro è capace di accendere deve per forza di cose diffondersi nello spazio, affinché le sue pagine possano rivelarsi fruttuose.

Così Giorgia, fedele alla sua missione di libraia, prende possesso dello spazio – virtuale e reale – che circonda lei e la sua splendida libreria, creando dialogo. Fate un salto sui suoi canali social dove, con uno stile sempre riconoscibile, questa autentica bookish person vi farà conoscere piccole chicche dell’editoria indipendente. E non dimenticatevi di andare a trovarla a Roma, se passate, dove la libreria è ormai diventata un punto di riferimento culturale per il territorio di cui fa parte. 

Nel frattempo, potete conoscerla meglio grazie a questa intervista.

Giorgia Sallusti e la libreria.

Come è nata l’idea di Bookish? Cosa ti ha spinto a diventare una libraia? 

Sono sempre stata una lettrice appassionata, al limite del fanatismo fin da bambina. Mi è sembrato naturale, in un certo momento, assecondare questa tensione verso i libri con un lavoro in cui ne fossi immersa. Nel marzo del 2015 quindi ero in una libreria tutta mia, e finalmente ecco Bookish. C’è stato, e c’è ancora, molto lavoro dietro le quinte, ma la spinta rimane e mi porta avanti su questa strada. Il mio obiettivo è la promozione e la diffusione dei libri belli. Il libro va tolto dalle teche polverose dove è stato rinchiuso negli ultimi decenni, e deve tornare a essere invece anche l’intrattenimento per eccellenza: make books great again, per citare qualcuno più arancione di me. Ecco, come libraia mi piace che il luogo che ho costruito sia un punto di incontro e discussione, sulla letteratura e alla fine anche sulla vita: Umberto Eco diceva che la lettura è un’immortalità all’indietro.

Sei molto attiva sui social e Bookish ha il suo shop online, all’interno del quale hai costruito una community. Cosa significa essere una libraia social per te?

I social sono una parte significativa del mio lavoro: per vendere e proporre i libri di qualità bisogna farne comunicazione, parlare ai lettori e alle lettrici su canali diversi. Il mio social preferito è Twitter, per divertimento personale, sul quale ogni tanto cerco di essere seria e parlare di libri – e di ciò che vi ruota attorno – a modo mio. Su Twitter sono anche più libera di approfondire questioni fondamentali, come la distribuzione e la logistica legate all’editoria, per esempio. Facebook e Instagram sono d’aiuto per le foto e brevi recensioni, per tenere i contatti con il gruppo di lettura (Bookish ne ha uno da anni, Lettorǝ anonimǝ). La community che si è formata attorno a tutto questo rumore è vivace e accogliente, un fermento culturale che mantiene viva la libreria.

Con che criterio scegli i libri di cui parlare sul tuo blog e sui social?

Scelgo i libri che propongo in base a gusto e competenze personali. La libreria ha una particolare attenzione verso le letterature del Medio e dell’Estremo Oriente, e in generale verso l’editoria indipendente. Ho i miei editori preferiti, ovviamente, legati a questo mio modo di intendere il lavoro. Le recensioni che scelgo di scrivere, a volte sul mio blog, molto più spesso su Altri Animali [rivista culturale nata in seno alla casa editrice Racconti Edizioni, N.d.R.], riflettono questa inclinazione: il Giappone e la sua lingua hanno sempre un posto privilegiato, così come tutta la letteratura del Nord Africa e del Medio Oriente.

Tra le iniziative proposte sul tuo shop, spiccano i pacchetti a sorpresa. Cosa sono e come li assembli?

I “pacchetti indipendenti” sono un modo per sorprendere le persone e aprire la strada a letture nuove o al di fuori della comfort zone. «Le cose migliori sono quelle di cui non conoscevi l’esistenza fino al momento in cui non le hai avute», scrive Mark Forsyth in un pamphlet che è anche un’ode alla libreria indipendente, L’ignoto ignoto. Le librerie e il piacere di non trovare quello che cercavi. La libraia è l’antidoto all’algoritmo: se le tue ricerche online ti profilano come potenziale cliente, i risultati che otterrai saranno di continuo più simili a questa tendenza, e così la bolla che abiti culturalmente ti si stringerà sempre più attorno. Il mio lavoro, se lo faccio bene, è rompere i confini di questa bolla e allargare il tuo orizzonte. Ogni pacchetto ha un tema – femminismi, cultura giapponese, streghe, viaggi, sport, per dirne alcuni – e io cerco di creare un percorso di lettura che, seppur parziale, sia una fotografia del tema scelto.

Nonostante la presenza social, Bookish è e rimane in primis uno spazio fisico. Cos’è oggi una libreria indipendente, dopo più di un anno di pandemia e di distanziamento sociale? 

Ho chiuso la libreria per il lockdown dal 13 marzo al 21 aprile del 2020. In quarantena ho letto, dato consigli librari spesso non richiesti, e ho consegnato libri a un numero sorprendente di lettori forti. Con la riapertura, ho modificato l’orario a causa delle ordinanze dell’amministrazione capitolina sulle fasce orarie di apertura dei negozi di vicinato, che sono state – come dire – creative. Dalla fine di maggio ho trovato però una sicurezza nell’aprire Bookish dalle 11.30 alle 19. Se prima gli orari di punta in libreria erano sempre a fine giornata, cioè quando le persone che lavorano passano a prendere qualche libro prima di rientrare, quando molti sono in smart working la libreria si riempie all’ora di pranzo e nel pomeriggio. La libraia non può lavorare da casa: è un lavoro che ha senso fare proprio qui da Bookish, parlando con la gente, lavorando tra gli scaffali, mostrando i libri. Ma lo smart working degli altri ha cambiato anche il mio lavoro. Io arrivo in libreria più tardi, lavoro senza pause magari buttando un occhio a Neon Genesis Evangelion mentre studio, e torno a casa a un orario decente. Il territorio lo vivo da sempre e lo conosco molto bene. La pandemia ha accelerato il cambiamento, non necessariamente in senso negativo: c’è la possibilità di fare rete, di creare una comunità. Mi piace adattarmi a queste trasformazioni, perché il quartiere diventa eterogeneo e per me è l’opportunità di mettermi alla prova. La libreria esiste e resiste, si adatta, non solo sopravvive, ma diventa uno spazio importante del territorio fisico e pure di quello virtuale. Forse le librerie indipendenti sono i nuovi fringuelli di Darwin.

Secondo te, dopo un anno che ci ha abituato agli acquisti a distanza, continueremo a frequentare le librerie? E se sì, che cosa ci attirerà?

Dopo un anno di acquisti a distanza forse c’è voglia di tornare a toccare i libri, a scegliere o a farsi scegliere dalla copertina sullo scaffale. Per lo stesso discorso di algoritmi e brave libraie, una libreria fisica ha molto da offrire a un lettore affamato, senza più trascurare la community virtuale che legge e compra libri online – anche su piattaforme indipendenti, come il sito della stessa libreria o Bookdealer. Un trasformismo, quello di Bookish, che le consente di vivere in due ecosistemi che sembrano diversi – quello fisico e quello virtuale – ma che parlano una lingua simile e in qualche caso coincidono.

Un’altra questione spinosa, discussa recentemente, è il diritto del libraio di scegliere consapevolmente il proprio assortimento, diritto che è stato erroneamente scambiato per censura. Cosa ne pensi?

La libraia indipendente sceglie la linea editoriale della propria libreria. Nella fattispecie, sceglie gli editori che vuole far conoscere. Decidere di non esporre editoria di estrema destra, per esempio, non significa censurare un prodotto, ma significa non lasciare nessuno spazio al fascismo, in ogni sua forma. Non è censura, è scelta: uno dei libri finito nelle ultime polemiche, che nemmeno io voglio avere in libreria, è pubblicato da un editore grosso e ben distribuito. Come libraia sono io a decidere in autonomia cosa mettere sugli scaffali e vendere, visto che la libreria è cucita addosso a me. Il libro che non trovi da Bookish si può acquistare da altre parti, ma la selezione della libraia definisce l’identità di quella stessa libreria.

La libreria.

Secondo te, che cosa non dovrebbe mancare mai nella libreria perfetta?

Potrei dirti che la libreria perfetta è la mia – è perfetta per me. Non sarebbe del tutto vero, però: ogni libreria è sempre troppo piccola per contenere davvero tutti i libri che vorrei tenerci. In ogni caso, nella libreria che aspira alla perfezione non deve mancare l’identità e la riconoscibilità della proposta.

Ogni mese Galleria Millon sceglie un tema, e luglio è il mese dell’immaginazione. Ci puoi dare un consiglio libresco?

Il mio consiglio libresco a tema immaginazione è Come cambiare la tua mente di Michael Pollan.

Illustrazione a cura di Caterina Cornale.