Edicola 518: dove la carta è più di un libro

Edicola 518: dove la carta è più di un libro

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La Gallerista, dopo aver approfondito il tema della periferia dialogando con Giada Peterle, ricercatrice e docente dell’Università di Padova, la libreria due punti di Trento e la redazione di COYE, è andata a Perugia a intervistare Alberto Brizioli , una delle menti dietro a Edicola 518. Ha così scoperto che nel cuore del medievale centro storico, c’è questo piccolo gioiello di quattro metri quadrati dove, giorno dopo giorno e pagina dopo pagina, viene proposta un’accurata selezione di riviste e saggi, proveniente da tutto il mondo. Tanta carta di qualità, al di là dell’oggetto libro. Da Perugia a Venezia e Roma, anche il Financial Times ha parlato di loro: il successo del concetto di Edicola 518 non è dovuto a un miracolo di marketing, ma al duro lavoro e alla perseveranza, accompagnati da tanta passione.

Cosa è Edicola 518? Che ruolo ha avuto Emergenze nella nascita del progetto?

Il progetto nasce nel 2015 da un gruppo di persone diverso da quello che ora opera in Edicola 518 come conseguenza di Emergenze, rivista indipendente e collettivo composto, oltre che da me, da mio fratello, Antonio Brizioli, Kristina Borg, un’artista maltese, e due giornalisti, Alberto Cipriani e Valentina Montisci.
Questo primo progetto approcciava l’emergere di realtà nascoste, principalmente artistiche, ma anche culturali in senso ampio. Nell’arco di circa un anno, abbiamo pubblicato quattro numeri della rivista, più un numero zero. Siamo partiti dal territorio umbro, allargandoci poi a tutta Italia. Ciò che ci premeva portare avanti era un approccio fluido; le storie venivano raccontate da parole e illustrazioni e, come progetto appena nato, procedevamo senza “dogmi” o linee editoriali stringenti: proponevamo contenuti in base a ciò che sentivamo “giusto”. 

Edicola 518 nasce quindi da questo progetto che, fin dall’inizio, non fu solo una rivista: l’attività di Emergenze fu affiancata da eventi, mostre, concerti. E prese il via anche grazie a un’installazione ideata da Kristina: un filo rosso che, idealmente e fisicamente, ha unito il centro di Perugia. Dopo questo primo anno di Emergenze abbiamo maturato l’idea di trovare anche uno spazio fisico dove poter ampliare la nostra attività. Abbiamo infine optato per una vecchia edicola, ormai storica, in un punto strategico di Perugia. Con un piccolo investimento siamo riusciti a rilevarla, sull’onda della crisi che le edicole vivevano (e stanno vivendo). Con l’edicola abbiamo deciso di specializzarci nell’editoria indipendente e in riviste rare provenienti da tutto il mondo.

Edicola 518

Avete infatti un catalogo curatissimo, con una selezione molto varia e di qualità. Spaziate dall’arte, alla fotografia, ma vi concentrate anche sulla politica e, perfino, sul cibo. Avete un approccio alla cultura a trecentosessanta gradi.

Per arrivare alla selezione attuale abbiamo svolto un grande lavoro di ricerca e di affinamento. I primi due, tre anni sono stati molto intensi da questo punto di vista, e l’opera di ricerca continua ancora. L’edicola, progressivamente, è diventata uno spazio dove trovare “un certo tipo di carta”. Ma si è affacciata su Perugia anche come un catalizzatore di situazioni e di incontri. 

Fin da subito, come per Emergenze, Edicola 518 è stata affiancata da eventi a cui sono intervenuti intellettuali, artisti e autori per dialogare con la cittadinanza sui temi più vari. Gli incontri sono stati sempre più partecipati e anche quest’anno, nonostante le condizioni particolari, siamo riusciti ad arrivare a una programmazione consistente. Sono un punto cardine della nostra attività ed è uno degli aspetti a cui teniamo di più; sono un modo per coltivare un certo tipo di pensiero, fare politica nel senso più ampio del termine. L’edicola non è solo un luogo di vendita, ma anche di dialogo.

Qual è la differenza tra edicolante e libraio? C’è un ruolo sociale diverso?

L’edicola rappresenta quasi una finestra aperta sul quartiere. Storicamente, l’edicolante è sempre stato un po’ una sorta di sportello di supporto, e anche un confessore. Mi sento di dire che anche noi abbiamo rivissuto questa idea dell’edicolante come figura con la quale le persone si fermano a chiacchierare, partecipe delle questioni del quartiere.
C’è da sottolineare come sia diverso il modo di lavorare per edicolante e librario: è più complicato nel primo caso, all’atto pratico si è esposti alle intemperie e si deve stare in uno spazio piccolo. Adesso che abbiamo anche uno spazio al chiuso, Paradiso 518, sempre vicino all’edicola e più simile a una libreria, ci rendiamo conto delle differenze. In edicola hai molto meno spazio per esporre, quindi la selezione deve essere ponderata e ferrea. Anche la gente si approccia in modo diverso: alcuni prediligono la libreria come concetto e quindi lo stare al chiuso. Si sentono forse più protetti e meno esposti al passaggio di altre persone. Altri invece preferiscono l’edicola, anche se in entrambi gli spazi proponiamo più o meno le stesse cose.

Purtroppo, con la crisi che il settore dell’edicole sta vivendo (in media chiudono due edicole al giorno in Italia), sta andando un po’ a scemare il valore della figura dell’edicolante. Credo che sia un lavoro che la gente non vuole fare e, in più, è schiavo di un meccanismo di distribuzione vessatorio. Ritengo che l’edicola sia destinata a morire, almeno come la conosciamo oggi. Ci potranno volere dieci anni, come sessanta. E devo dire che il ruolo dell’edicole sembra notarsi solo nella loro assenza, quando chiudono e vengono rimosse: rimangono dei quadranti bianchi in mezzo ai quartieri in punti di solito nevralgici. 

Edicola 518

Nonostante siate aperti da soli cinque anni, siete riusciti piano piano a portare Edicola 518 anche fuori da Perugia. Avete un corner a Venezia e uno a Roma, aperto recentemente. Quando aprite un nuovo spazio, come vi approcciate? E come è nato Magwall, la “parete di riviste” in collaborazione con Declare, negozio di artigianato in pelle a Venezia?

Cerchiamo di mantenere l’attenzione per il territorio, intento che ci ha caratterizzati come edicola e rivista. Quando abbiamo aperto a Roma, per esempio, abbiamo fatto una sorta di meeting con le riviste romane per entrare in contatto con il tessuto sociale della nuova realtà, nel modo più sano e reale possibile. Cerchiamo quindi di capire quali tematiche interessino, facendo selezione sulle proposte prodotte dal territorio. Per esempio, a Venezia, abbiamo selezionato delle pubblicazioni realizzate da uno studio di architettura, studio saòr – Architettura illustrata, che vendiamo principalmente a Venezia per la sua specificità. 

Magwall è la nostra “parete di riviste” all’interno di Declare, negozio di artigianato a Venezia che vende prodotti di design e di moda in pelle. Sebbene non sia intuitivo portare della carta in un negozio del genere, la collaborazione sta andando bene. Edicola 518 e Declare hanno in comune il lavoro di cura e di fine selezione dei prodotti proposti. In due anni le riviste del Magwall si sono amalgamate bene con la loro produzione. Diciamo però che non è stata una scelta ponderata: non abbiamo fatto una ricerca selettiva per trovare su Venezia una realtà a noi congeniale. Declare ci ha cercati per primi: erano stati più volte a Perugia e all’edicola, e poi la collaborazione si è sviluppata. Ed effettivamente sta funzionando. A Roma, siamo ospitati da Contemporary Cluster e l’accostamento è più intuitivo: è infatti una galleria che si occupa di arte e design. A Venezia abbiamo pensato di buttarci su qualcosa relativo alla moda perché è un ambito a cui è riservata una certa attenzione, insieme all’architettura e al design.

Edicola 518

In generale com’è entrare nel mondo dell’editoria indipendente e dell’imprenditoria da giovani? È così difficile portare avanti un progetto valido, in Italia?

Edicola 518 esiste da cinque anni ormai. A me sembrano tanti, soprattutto se penso a come siamo nati. Ma oggettivamente sono pochi per un’attività commerciale. È stato, e ancora lo è, un percorso impegnativo. Siamo partiti da zero e un tassello alla volta abbiamo costruito e allargato il progetto, finanziandolo esclusivamente con proventi autogenerati. Inizialmente vendevamo le copie del giornale e con l’incasso organizzavamo un piccolo evento, magari ricavando qualcosa anche lì. Da questi piccoli passi iniziali abbiamo piano piano costruito qualcosa. La crescita è poi diventata quasi esponenziale. Non siamo quindi partiti con un capitale iniziale o un classico business plan. Abbiamo ovviamente pianificato, cercando però di strutturarci in modo progressivo, così da riuscire a dialogare con le persone e capire. È un progetto che ha richiesto, e ancora richiede, un certo grado di sacrificio. Questo è ancora più vero per mio fratello, Antonio: i primi anni lo ha portato avanti principalmente lui. E prima che il progetto diventasse in qualche modo remunerativo la nostra attività era equiparabile al volontariato.

Quindi sì, secondo me, è assolutamente possibile fare cose interessanti. Il problema, in base alla mia esperienza – anche se io ho solo ventotto anni e sicuramente ci sono pareri più autorevoli sulla questione – la chiave per fare qualcosa di autentico, con un riscontro del pubblico in termini di passione per il progetto, e anche per arrivare a un riscontro economico, è non seguire necessariamente i classici dettami un po’ accademici della contemporaneità. Purtroppo, ormai, tutte le strade sembrano già battute. Per ogni carriera ci sono accademie, corsi o master. Io e mio fratello siamo laureati, ma la formazione accademica ha avuto un ruolo davvero marginale nel concepimento di un progetto del genere. Per portarlo avanti è necessario immaginarlo al di fuori di tutti gli schemi. Sono state fondamentali la persistenza e la tenacia, soprattutto da parte di mio fratello e del gruppo originario. Quando mio fratello è tornato a Perugia da Milano, dove ha studiato, l’idea che andasse a fare l’edicolante sembrava un fallimento agli occhi di coetanei e amici d’infanzia. Ormai di Edicola 518 se n’è parlato tanto, è finita anche sul Financial Times, ed è giunta voce a tutti che dietro c’è molto di più dei semplici giornali.

La forza è rimanere fedeli alla propria visione, e andare avanti, nonostante, per esempio, gli sguardi degli amici d’infanzia imbarazzati perché lavori in edicola.

Edicola 518

Insomma, avete dato vita a un progetto che funziona.

Il discorso del “funzionare” secondo me non è semplice. Alcuni hanno anche provato a riproporre progetti simili al nostro con esiti mediocri, se non fallimentari. Noi non abbiamo trovato una ricetta commerciale vincente: proponiamo qualcosa che prima in Italia quasi non c’era, ma è anche vero che a livello pratico è un qualcosa difficile da vendere e veicolare, con dei margini di guadagno bassi. C’è stato tanto lavoro anche di sostanza, fatto personalmente da noi, un libro alla volta, spiegando il progetto alle singole persone. E la componente commerciale, nel nostro progetto, serve ad alimentare altri aspetti. Abbiamo tante anime: riviste, libri e saggi, e anche un’attività editoriale. Abbiamo pubblicato alcune guide su Perugia e l’Umbria. E anche Lezioni di anarchia, cronaca di incontri avvenuti a Perugia, in collaborazione con Eleuthera. Recentemente è uscito anche Senza cattiveria, libriccino nato durante il periodo del lockdown. Ci piacerebbe in futuro ampliare sempre più anche questa nostra indole. 

Alla Galleria Millon l’esposizione del mese è sul concetto di Al-di-là, inteso come sapere andare oltre. Consigli ai nostri lettori alcuni titoli a tema, dal vostro catalogo?

I titoli che mi vengono in mente sono Il nostro bisogno di consolazione di Stig Dagerman e i diari di Susan Sontag: Rinata e La coscienza imbrigliata al corpo.

Rielaborazione grafica a cura di Sabrina Poderi.