diablerie: fotografia, arte e morte

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La Gallerista è sempre alla ricerca di realtà alternative e di progetti che possano dare nuova linfa vitale al fare arte e cultura in Italia. Se a novembre ci ha raccontato l’attività di Edicola 518 con la sua selezione di riviste rare, a dicembre si è invece dedicata alla scoperta di una rivista indipendente. diablerie – il cui nome è intenzionalmente scritto con l’iniziale minuscola – cerca di indagare e mostrare l’occulto nella sua forma estetica. Il primo numero ha visto la luce a maggio del 2020, ora è in progettazione il secondo. Il lancio è stato accompagnato da una piccola campagna su Instagram, canale che però verrà abbandonato per coerenza con la linea editoriale. Le sei menti dietro a diablerie hanno dato vita a una rivista che colpisce per l’impressionante cura estetica e la naturalezza con cui fotografia, arte e morte emergono, in tutta la loro espressività. Per questo alla Galleria Millon abbiamo deciso di parlarne nel mese dedicato a Vizi (e virtù).

Come e quando nasce l’idea di diablerie?

Il magazine è nato nel 2019 a seguito di uno dei picchi di censura causati dalle policy di Instagram. A farne le spese, anche i profili dei membri del collettivo che è diventato poi diablerie, già esistente come gruppo di amici che condividevano la passione per la fotografia [per l’algoritmo di Instagram una foto con un nudo è sempre da censurare, non è programmato per distinguere l’arte dalla pornografia, N.d.R.].

Dalla frustrazione e dall’impossibilità di limitare la rimozione delle immagini e il ban dei profili, è nata quindi l’idea di creare un magazine indipendente; uno strumento di condivisione alternativo in grado di privilegiare qualità e bellezza piuttosto che velocità di fruizione e quantità. diablerie punta non solo a diffondere contenuti di qualità, ma anche a ridefinire il senso stesso di fruizione, mettendo in discussione i più comuni preconcetti alla base della censura stessa: moralità, etica, estetica, volgarità…

Quali sono le anime che compongono il collettivo artistico?

I membri del collettivo sono sei, con background sia differenti che simili. Alberto Petrelli è un fotografo di nudo e ritrattistica, esperto nello scatto analogico e nella valorizzazione della torsione del corpo e della luce naturale. Presenta una fotografia intima che indaga sguardi ed emozioni dei soggetti ritratti.

Tommaso Costa sperimenta differenti generi ispirandosi a forme e composizioni classiche rivisitate in chiave contemporanea. Nel suo lavoro si evidenzia una particolare fascinazione per la sessualità nelle sue sfumature più torbide, associata a figure di particolare innocenza e femminilità.

Simone Furia è noto per l’inconfondibile postproduzione in cui fotografia e digital art si mescolano per creare ritratti che ricordano pitture rinascimentali. Gli elementi contemporanei creano una particolare dissonanza che ridefinisce il canone classico di bellezza in una costante reinterpretazione della presunta sacralità del corpo, esaltato in tutta la sua umana e contorta imperfezione.

La fotografia di Stefano Alloero indaga la natura e la caducità dell’essere umano in rappresentazioni spesso allegoriche e ricche di simboli classici e religiosi. Il risultato è potente e provocatorio.

Laura Grossi è invece fotografa e performer di burlesque. Nei suoi lavori, rigorosamente in analogico, intreccia i due talenti in una ricerca erotica decadente, macabra e grottesca che attinge da letteratura e filosofia, di cui si nutre costantemente.

Infine Marianna Moni, brand manager e copywriter di professione, è fin dal primo numero direttrice editoriale della rivista. Si assicura che ogni scelta sia coerente con il manifesto e l’identità di diablerie, affiancando il collettivo nella selezione dei contenuti e nell’impaginazione e revisionando personalmente ogni testo.

Sbirciando il vostro profilo Instagram mi ha colpito che definite diablerie come «l’urlo di una bellezza censurata». Cosa significa?

La rabbia e l’indignazione sono state le prime emozioni a guidare la nascita del magazine e, di conseguenza, la stesura del manifesto e la selezione della prima cover. La censura è uno dei temi centrali della rivista, ma a oggi rappresenta solo una parte di ciò che diablerie è davvero. Ogni numero si propone di esplorare uno dei temi che muovono la nostra produzione fotografica e l’esistenza stessa della rivista.

In questo momento state lavorando al numero due. Potete farci qualche piccola anticipazione? Dove potremo acquistarlo?

Come era prevedibile, il primo numero è stato una sperimentazione. Dovevamo ancora capire molte cose e definire l’indirizzo che diablerie avrebbe preso a lungo termine. Il secondo numero sarà molto più verticale e lascerà più spazio ai contenuti degli ospiti. Ci sarà moltissima fotografia ovviamente, ma ad alcuni ospiti abbiamo anche chiesto di aggiungere qualcosa di più personale in modo da evitare la consueta presentazione biografica: vorremmo limitarla, visto che oggigiorno tutti dispongono di internet.

diablerie II sarà disponibile probabilmente a febbraio: ospiterà fotografi internazionali, professionisti e scrittori emergenti che tratteranno satanismo, occulto e stregoneria. Come potrà immaginare chi ci conosce già, la scelta del tema non ha nulla a che fare con le nostre credenze religiose, anche perché non ne abbiamo. Lo abbiamo scelto per raccontare un’estetica e una filosofia spesso offuscate dall’ignoranza e da quella percezione di pericolosità e depravazione morale che condanna gran parte dei culti minori. Il satanismo ne è un ottimo esempio, poiché continua a essere associato solo ai suoi estremismi diabolisti, ma è ovviamente uno dei molti casi.

La rivista potrà essere acquistata attraverso Big Cartel o in alcune librerie selezionate. Stiamo ancora definendo quali, ma abbiamo già un accordo con la libreria Modo di Bologna. Ovviamente, comunicheremo a breve tutti i dettagli attraverso i nostri profili social. Chi sarà interessato potrà contattarci anche all’indirizzo e-mail info.diablerie@gmail.com.

diablerie.magazine
Copertina secondo numero di diablerie.

Mi sembra di capire che avete deciso di comunicare principalmente attraverso Instagram. Cosa significa fare arte su questo social? Quali sono i limiti e quali i vantaggi?

In realtà Instagram è stato il più banale e immediato dei mezzi per comunicare l’esistenza del magazine, ma ci rendiamo conto che è profondamente incoerente con l’identità e il messaggio che vogliamo portare avanti. Continueremo a condividere aggiornamenti attraverso i nostri profili privati, ma, dal secondo numero, diablerie esisterà solo in analogico.

Chi ha acquistato il primo numero ha ricevuto un biglietto con scritto «ora anche tu sei diablerie». L’idea è rendere i lettori partecipi lasciando a loro il compito di condividere, se lo ritengono meritevole, il nostro lavoro con altri. Questo ci permetterà di rivolgerci a un pubblico che si seleziona automaticamente tra coloro in grado di apprezzare con maggiore attenzione e lentezza un contenuto rispetto a quello che raccoglieremmo con una versione digitale.

A quali artisti e concept vi ispirate per realizzare diablerie?

Se riusciremo a farlo davvero bene, speriamo di non doverci ispirare a nessuna delle riviste in commercio, proprio perché il nostro intento è la divulgazione e non la crescita economica.

Illustrazione a cura di Noemi D’Atri.