Asterisco Edizioni: il collettivo che unisce

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Asterisco Edizioni è una casa editrice freschissima nata a Milano che si occupa di inclusività e che ha adottato un modus operandi ben preciso. Vuole infatti coinvolgere equamente tutte le figure del processo creativo della nascita di un libro e ha scelto di non affidarsi al gigante dell’e-commerce Amazon in favore delle piccole librerie indipendenti. Conosco il collettivo da un po’, li seguo sui social e una delle librerie del mio cuore e della mia adolescenza è una delle tane dei loro preziosi libri. Per la settimana del Digital Pride ho avuto il piacere di intervistarli e avvicinarmi a questa realtà. 

Grazie per aver accettato di partecipare alla nostra intervista. Partiamo subito con il botto: cosa significa aprire una casa editrice dedita ai diritti civili in questa Italia?

Asterisco Edizioni è una casa editrice indipendente che nasce per indagare, approfondire e divulgare temi specifici di attualità sotto un punto di vista storico, sociale e politico. Un progetto che vuole costruire la propria identità sull’infedeltà alla norma sessuale e di genere, traendo dalle zone d’ombra della realtà la propria forza. Una casa editrice che rivendica la necessità di un’editoria di qualità, che vuole riconoscere il valore collettivo della sua produzione e del lavoro delle figure operanti in questo settore.

Com’è nata Asterisco Edizioni?

Il progetto di Asterisco Edizioni nasce dall’idea di quattro amici e amiche, compagn* di percorsi politici e umani, legat* oggi dall’esperienza della Libreria LGBT*IQ Antigone di Milano. Abbiamo scelto di dedicarci a questo progetto poiché pensiamo che sia importante produrre una cultura differente. Inoltre, abbiamo scelto di seguire e darci la struttura del collettivo editoriale. Attraverso questo tipo di organizzazione, cerchiamo di assorbire gli input e le proposte esterne, recuperare testi ormai fuori catalogo e ricercare all’estero ciò che ancora in Italia non è stato tradotto.

Vi definite un “collettivo editoriale”. Cosa significa a livello pratico? Come organizzate il vostro lavoro? Si discosta da una redazione classica?

Abbiamo scelto il percorso dell’editoria come sfida collettiva, in opposizione alle formule gerarchiche e verticali che caratterizzano, a tutto tondo, la nostra società. Abbiamo optato per una struttura in cui ognun@ di noi ha pari potere decisionale. Infine, abbiamo scelto di costituire un collettivo editoriale come scelta politica, in opposizione alle modalità che di solito si riscontrano nei grandi siti e-commerce, all’interno delle grandi aziende o dei grandi brand editoriali. Si tratta di una sfida. Inoltre, non crediamo alle forme dell’editoria a pagamento o alla produzione tramite tipografie che sfruttano la manodopera dei lavoratori e delle lavoratrici. Di conseguenza, cerchiamo di far sì che produzione, distribuzione e vendita agiscano secondo scelte etiche sostenibili e alla portata di tutt*.

Al collettivo si affiancano figure professionali, esperte di grafica, design, editing, traduzione e disegno artistico. Prendiamo le decisioni collettivamente e quindi ci basiamo sul metodo del consenso, modalità di lavoro nata dai collettivi femministi che mettono in discussione, come già detto, le modalità decisionali verticistiche che costellano la politica – anche quella militante. Ogni settimana ci riuniamo come collettivo editoriale e discutiamo di tutti i livelli che sono presenti nell’avere una casa editrice. Quello che mettiamo in campo è frutto di un accordo condiviso: quando non siamo tutt* d’accordo, semplicemente continuiamo a discutere. La decisione viene presa, quindi, solo quando abbiamo raggiunto il consenso di tutt*. Può sembrare una modalità lunga e dispendiosa ma, garantiamo, è anche una modalità capace di dare i suoi frutti. Ci permette un’orizzontalità che altrimenti non sarebbe affatto garantita.

Inoltre, prevediamo due riunioni l’anno faccia a faccia poiché non tutt* i membri del collettivo hanno la fortuna di vivere nella stessa città. Quindi cerchiamo, quando è possibile, di prenderci del tempo per parlare di noi in relazione alla casa editrice e di prenderci spazio per parlare dei nostri sentimenti e di come ci siamo sentit* nell’ultimo periodo nel lavorare collettivamente. Questo permette una cura collettiva ma ci permette anche di porre continuamente in discussione le modalità che attuiamo senza accorgercene.

Si tratta di un momento importante sia politicamente che personalmente, perché ci consente di renderci conto delle dinamiche che agiamo sulle altre persone attorno a noi – e, casomai, di correggerci. Insomma, non vogliamo creare una casa editrice che pubblica solo testi femministi e queer. Vogliamo noi per prim* mettere in pratica modalità di lavoro differenti. 

Trovate difficoltà nella ricerca dei titoli? Vi sono tematiche ancora poco affrontate nel mondo della letteratura LGBT*IQ?

Siamo una casa editrice che ha aperto da circa un anno e quindi, nel nostro catalogo, sono presenti ad oggi solo sette titoli. Naturalmente la grandezza del nostro catalogo non dipende dalla mancanza di idee o dalla scarsità di testi interessanti che vorremmo pubblicare o ripubblicare, ma da altri fattori. Il lavoro delle persone che gravitano attorno alla pubblicazione di un testo va sempre pagato. Di conseguenza, preferiamo lavorare “con lentezza”, rispettando il lavoro di tutte le persone che collaborano con noi, anziché pubblicare tantissimi testi sfruttando diverse lavoratrici e lavoratori.

Inoltre, pensiamo che ogni libro che pubblichiamo debba poter vivere ed essere presentato in maniera giusta e approfondita, dandogli il rilievo che merita. L’Italia sconta un ritardo su molti temi e quello LGBT*IQ non è da meno. Molti temi che nei Paesi anglosassoni vengono dibattuti già da anni, in Italia non sono arrivati e non sono stati tradotti. Tanto per farvi un esempio, nei Paesi anglosassoni, da tempo, si parla di Criptheory – cioè di tutte quelle teorie che mettono in intersezione le questioni queer e quelle legate alla disabilità – mentre da noi, ancora, non si sa neanche di che si tratti.   

Il linguaggio inclusivo in Italia è ancora poco adottato, in particolar modo nel giornalismo. Qual è secondo voi il motivo di tale lacuna?

Il linguaggio è uno dei temi a cui abbiamo prestato molta attenzione – abbiamo dedicato, infatti, un intero testo alla questione [Il corpo del testo. Elementi di traduzione transfemminista queer, N.d.R.]. Il linguaggio è lo strumento con cui designiamo, descriviamo, rappresentiamo la realtà e la società. Più la realtà diventa complessa e lascia emergere nuove categorie, identità, differenze, più il linguaggio dovrebbe anch’esso arricchirsi.

Non è così. In Italia la resistenza che si fa dinanzi a diversi termini – che non casualmente riguardano le donne, le soggettività LGBT*IQ e quelle migranti – non ha a che fare con il purismo linguistico, cioè con l’idea che debba esistere una lingua italiana immutata nel tempo e, appunto, “pura”. La resistenza che vediamo scagliarsi contro l’introduzione di nuovi termini come ministra, non-binary, o gender è una resistenza semplicemente discriminatoria. Il problema non è la parola in sé ma quello che rappresenta; è quello che rappresenta quel termine che non può essere accettato.

Il linguaggio giornalistico, dal momento che è uno degli strumenti della società etero-cis-patriarcale – con un retaggio cattolico molto forte e stabile – non è da meno, anzi. Il giornalismo mainstream è proprio uno degli strumenti favoriti che il patriarcato utilizza per veicolare contenuti, concetti, termini atti a riprodursi nel tempo. Per colmare questa lacuna, bisognerebbe educare alle differenze, educare a un linguaggio più consapevole e, di conseguenza, a una realtà in perpetua trasformazione e transizione.  

La redazione di Asterisco Edizioni.

Nella vostra bio di Instagram vi definite “casa editrice indipendente femminista, lgbitq, nerd”. In che modo siete riusciti a conciliare il femminismo e la cultura nerd, sebbene siano due temi apparentemente distanti tra loro?

In realtà, dal nostro punto di vista, non c’è nulla da conciliare. L’ottica femminista intersezionale di cui ci avvaliamo è un modo attraverso cui leggiamo la realtà. Attraverso questo sguardo, questo posizionamento, leggiamo il mondo circostante; questo ci permette di pubblicare testi che trattano varie questioni perché, in qualche modo, il punto di partenza è sempre il medesimo. Ogni questione può essere letta attraverso uno sguardo politico e di genere. Potenzialmente potremmo pubblicare libri che trattano delle tematiche più varie. Potremmo anche pubblicare testi riguardo questioni apparentemente lontane da quelle che ci interessano direttamente ma, in realtà, questo modo di analizzare ciò che ci circonda si presta a tutto.

Tutto è politico, tutto può essere letto, visto attraverso questo filtro specifico. Pubblicare un libro come Fuori dal Dungeon. Genere, razza e classe nel gioco di ruolo occidentale centra il punto. Le donne e le soggettività LGBT*IQ non si occupano solo di ciò che le riguarda direttamente, come violenza e diritti civili, anzi. Siamo persone che vivono in questo mondo e tutto quello che riguarda questo mondo, quindi, ci appartiene. Attraverso le nostre lenti, di conseguenza, possiamo leggere anche la questione nerd: potenzialmente qualsiasi altro tema ci riguarda. Non conciliamo, solo guardiamo la realtà da un altro punto di vista. 

Sempre parlando dei vostri progetti, il vostro catalogo comprende sia saggistica che graphic novel, e ora anche una sezione dedicata ai giochi da tavolo. Quali sono le sfide, a livello tecnico, di una produzione così eterogenea?

Pensiamo che lo sguardo femminista intersezionale di cui parlavamo poco fa debba essere accessibile a tutt*. Poter diffondere una cultura alternativa fa sì che per raggiungere diverse persone si prendano in considerazione diversi prodotti editoriali.

La collana Eresia, collana di ristampe di veri e propri must del passato – capaci ancora di influenzare il presente – per esempio, parla a un tipo di pubblico. La collana Incidenti, dedicata alla saggistica contemporanea, parla a un altro tipo di pubblico. Lo stesso vale per la collana Illustrissime, la quale, potenzialmente, potrebbe rivolgersi ad altre persone ancora. Ulteriormente il gioco di ruolo che abbiamo lanciato attraverso la piattaforma Produzioni dal Basso e che è già in pre-ordine sul nostro sito, Dura-Lande, è altro ancora e apre ulteriormente la rosa delle persone che ci seguono e sostengono.

Con questa varietà di forme testuali cerchiamo di portare la cultura di genere, politica, intersezionale a tutt*, di allargare lo spettro delle persone che ci leggono. Tuttavia, quello che pensiamo ci caratterizzi davvero non sta tanto nelle scelte libresche che compiamo ma, ancor di più, nelle scelte etiche di fondo che abbiamo fatto e che si possono riassumere nella scelta di affidarci solo a chi lavora in maniera etica; a chi cerca di fare la cosa giusta pur stando nelle inevitabili contraddizioni che questo sistema ci costringe a vivere.

Non stampiamo all’estero perché non potremmo controllare, da remoto, i processi produttivi di quel luogo, né potremmo accertarci della retribuzione delle persone lì impiegate. Per ragioni analoghe, non vendiamo su Amazon: crediamo sia esemplificativo delle forme di sfruttamento del lavoro oggi. Desideriamo che tutta la filiera di produzione del libro sia controllata ed etica: questa è la sfida più grande. Il lavoro si paga. Se un libro o qualsiasi altra cosa costa poco o si trova in commercio ad un prezzo scontatissimo, probabilmente, è perché dietro quel basso prezzo, quello sconto così invitante, c’è qualcun@ che sta venendo sfruttat@. 

In alcuni Stati europei si parla di tematiche queer e femministe già nei libri per l’infanzia. In Italia qual è la situazione?

Anche in Italia esistono case editrici indipendenti che si occupano di editoria per bambin*, case editrici che, da qualche anno a questa parte, pubblicano testi atti a decostruire gli stereotipi di genere, ad abbracciare le differenze, che trattano – con toni e parole accurate rispetto l’età dei piccoli lettori e lettrici – di sessualità, di altri modi di essere famiglia, di tematiche LGBT*IQ.

Il problema sta nella diffusione e nell’ostracismo che viene agito nei loro confronti. Tutte le proposte normative nelle scuole portate avanti negli ultimi anni dai cosiddetti “no gender”, branche iper-conservatrici che hanno volutamente travisato il messaggio d’apertura che alcuni testi hanno, vanno proprio a limitare la costruzione di un sapere e un’educazione alle differenze che sarebbe, invece, fondamentale. Le case editrici, però, non sono sole. Esiste, per fortuna, una fetta di associazionismo consistente, sia femminista che LGBT*IQ, che quotidianamente lavora su questi temi, che entra nelle scuole e che diffonde una cultura differente.

Avete un consiglio per chi si vuole approcciare al mondo dell’editoria queer in Italia?

Approcciarsi all’editoria queer in Italia non è facile per diverse ragioni: uno degli aspetti che, crediamo, complichi le cose sta proprio nella parola con la quale ci si definisce: dirsi queer, LGBT*IQ*, femminist* ha un certo peso, uno specifico valore. A queste parole, secondo noi, dovrebbero corrispondere azioni, decisioni, posizionamenti precisi. Difficile, per esempio, dirsi casa editrice femminista se poi, alle riunioni editoriali, prendono parola solo gli uomini. Se si decide di vivere quell’identità editoriale, bisognerebbe portarla a compimento sempre, in modo trasversale, in tutto quello che si fa: e questo, è vero, talvolta è difficile perché tutt* noi, anche le persone più politicizzate, sono state socializzate a un mondo gerarchico, classista, abilista, sessista, omofobo. Il consiglio quindi è questo: di essere costanti e coerenti con la propria identità. Inevitabilmente si commetteranno errori: è però importante prendere quegli errori, guardarli, riconoscerli e farne tesoro. 

Illustrazione a cura di Caterina Cornale.