Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij: racconto di una letteratura immortale

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Dopo aver seguito le orme della letteratura russa nel Novecento e aver approfondito Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov la Divulgatrice, seguendo la linea temporale a ritroso, si concentra ora su uno degli autori cardine della Russia ottocentesca: Fëdor Dostoevskij. Scrittore, intellettuale e filosofo russo, acquisì già in vita una notorietà internazionale che ancora adesso gli sopravvive. Quasi tutti conoscono almeno un suo romanzo. Il più noto al grande pubblico è senz’altro Delitto e castigo, che spesso viene citato con riverenza anche da chi non l’ha letto. Nell’immaginario collettivo, Dostoevskij è percepito come un autore “pesante” (per non dire noioso) ma anche portatore di grandi verità, quasi universali. In Memorie dal sottosuolo per la prima volta Dostoevskij approfondisce in modo strutturato, a metà tra un trattato di filosofia e un romanzo psicologico, le tematiche che poi riprenderà nelle opere successive. Ma la sua eredità non si ferma solo alla sua produzione: va al di là del tempo e arriva anche ai nostri giorni, passando per i grandi autori del Novecento. Per capire le qualità che hanno reso immortale Dostoevskij, è fondamentale immergersi nella sua biografia, tentando di comprenderlo come uomo e, in Memorie dal sottosuolo, per scoprire la sua raffinatezza e genialità di pensiero.

Dostoevskij: una vita al di là del padre

Dostoevskij nacque a Mosca l’11 novembre del 1821. Il padre, nobile lituano, fu una figura autoritaria e rigida. La madre, che morì quando Fëdor aveva solo sedici anni, fu una donna dal carattere mite e allegro; trasmise al figlio l’amore per le arti e un sentimento di devozione religiosa. Nel 1834, per volontà del padre, Dostoevskij si iscrisse, assieme al fratello maggiore Michail, alla Scuola Superiore del genio militare di San Pietroburgo, per studiare ingegneria militare. Nel 1839 il padre morì: questo evento si riversò pesantemente sul giovane che, quasi diciottenne, soffrì di un primo attacco epilettico, patologia che lo accompagnò poi per tutta la vita.

Nel 1843 si diplomò, ma già nel 1844 abbandonò la carriera militare per dedicarsi al suo primo romanzo, Povera gente (1846). Nel 1849, a causa della sua vicinanza a movimenti comunisti, venne arrestato e condannato a morte. Fu però graziato e deportato in Siberia, dove fu costretto ai lavori forzati e poi a servire come soldato semplice. Nel 1859 finalmente fu di nuovo libero, ma la pena scontata l’aveva ormai segnato profondamente, nello spirito e nel corpo.

Ripresi i contatti con l’ambiente intellettuale di San Pietroburgo, fondò alcune riviste letterarie assieme al fratello. Nel 1864 uscì Memorie dal sottosuolo, opera spartiacque della sua produzione. In quello stesso anno morirono la sua prima moglie e il fratello Michail, il quale gli lasciò enormi debiti da ripagare. Nel 1866 sposò la giovane stenografa che l’aveva aiutato con la stesura di Delitto e castigo, Anna Grigor’evna Snitkina. Continuò la sua vita nell’indigenza, combattendo con i problemi di salute e un’inclinazione per il gioco d’azzardo. Morì il 9 febbraio del 1881, a San Pietroburgo, a causa di complicazioni legate a un enfisema.

Veduta sul canale Gibaedova e sulla Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato, San Pietroburgo, foto
di Maria Shvedova, fonte: Pixabay.

Il sottosuolo

E d’altra parte la sapete una cosa? Io sono convinto che il nostro fratello che vive nel sottosuolo lo si debba tenere alla cavezza. Sì, perché per quanto egli sia capace di starsene lì zitto nel suo sottosuolo foss’anche per quarant’anni, il giorno che poi viene fuori non ce la fa proprio a trattenersi, e si mette a parlare, parlare, parlare…

F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Milano, Mondadori, 2016, p.55.

Memorie dal sottosuolo si distingue già dalla struttura narrativa. Il romanzo breve, di circa duecento pagine, è infatti diviso in due parti differenti per stile e intento. La prima, Il sottosuolo, è un soliloquio in cui il protagonista, giovane laureato e impiegato pubblico di basso livello, racconta le motivazioni che l’hanno spinto a scrivere le sue memorie, le quali sfociano nella riflessione filosofica e nella critica sociale. Vive a San Pietroburgo, in un piccolo e lugubre appartamento, condiviso con un domestico che odia, Apollion. Si ritiene un uomo di pensiero che indaga le cause del suo agire. Come tale, è sempre immerso nella riflessione, fino all’accidia. E per questo si considera più intelligente degli uomini di azione, che si limitano appunto ad agire, senza nemmeno chiedersi il perché. Con un ritmo sostenuto, Dostoevskij accompagna il lettore nell’esplorazione del suo tempo. Ciò che sorprende è l’estrema attualità dei sentimenti raccontati. Senza mezzi termini, critica la concezione positivista della società: il progresso costante è un’illusione, l’uomo non è necessariamente fatto per essere buono e non è detto che sia necessariamente sbagliato non aspirare al bello e al sublime in senso romantico. L’uomo del sottosuolo dà perciò libero sfogo al suo pensare e sentire, fiero di quello che è: «Ho il mio sottosuolo, io». (F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Milano, Mondadori, 2016, p. 54.)

A proposito della neve bagnata

La seconda parte, A proposito della neve bagnata, narra come l’uomo del sottosuolo trascorre alcune giornate, a San Pietroburgo, sullo sfondo di una lugubre nevicata gialla e umidiccia. In costante tensione tra ciò che è (o pensa di essere) e ciò che vorrebbe, l’uomo del sottosuolo cerca di dare un senso alle sue contraddizioni più profonde e di elevare la sua miseria e il suo costante sentimento di umiliazione. Rispondendo a un patetico bisogno di affetto, si autoinvita a una cena con alcuni colleghi dei tempi universitari. Questo incontro, carico di ansia, non fa che nutrire le sue nevrosi, alimentate dal fatto di non essere gradito da nessuno dei presenti. La cena simboleggia la miseria della sua condizione: si presenta trasandato, con una macchia gialla sui pantaloni bianchi e senza denaro sufficiente per pagare il conto. Quando finalmente riesce a liberarsi di questa situazione umiliante, in un bordello incontra una giovane prostituta, Lisa. Prima si dimostra comprensivo e umano con lei, e sembra quasi parlare a se stesso. Nei giorni successivi, alternando momenti di ingenue fantasticherie a crudeltà gratuite, manderà all’aria la possibilità di concedersi a lei, per dimostrare che è lui la parte forte della loro relazione. Se inizialmente l’uomo del sottosuolo si era immaginato come il salvatore dell’anima perduta di Lisa, nel momento in cui la rivede questa idea crolla. Dallo sguardo di lei, comprende infatti che è lui stesso l’anima perduta. E così non gli rimane che un appartamento buio, un domestico che odia e la neve gialla e bagnata pietroburghese.

Palazzo di Caterina, dettaglio, San Pietroburgo, foto di Tama66, fonte: Pixabay.

L’uomo del sottosuolo come punto di partenza dell’opera di Dostoevskij

Non soltanto non ho saputo essere cattivo, ma non ho saputo essere niente di niente: né cattivo né buono, né canaglia né galantuomo, né eroe né insetto.

F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Milano, Mondadori, 2016, p.7.

L’uomo del sottosuolo, fin dalle prime righe, provoca. Non scrive per essere capito o ottenere redenzione: esiste e come tale, parla. Dimostra che l’essere abietto non dipende dalla classe sociale o dal livello di istruzione, ma semplicemente dalla propria natura. Si lascia andare alla solitudine e alla depravazione, cercando il buio e sperando di non essere mai visto. Striscia ai margini della vita e, in uno dei dialoghi con Lisa, afferma di cercare «il fango, per tutta l’angoscia che ha dentro». (F. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Milano, Mondadori, 2016, p. 128.) Alternando momenti di estrema lucidità ad altri di puro isterismo, si mette a nudo rivelando il tormento della natura umana. Vive le sue paranoie come se fossero reali e altera i fatti in una visione istrionica delle sue relazioni.

La potenza di questo personaggio sta nell’universalità di ciò che racconta: incredibilmente viaggia attraverso le culture, al di là del tempo e della geografia, per rivelarsi sempre attuale. La grande sfida è che la vita di un essere amorale, che non è nulla, è degna nella sua umanità, anche se va contro il senso di giustizia e di bello proposto dalla società.

Archetipo letterario al di là del “bello e sublime”

Memorie dal sottosuolo racchiude in sé tutte le tematiche cardine dei grandi romanzi di Dostoevskij. Ciò che emerge dal romanzo verrà poi ripreso e approfondito in Delitto e castigo, L’idiota, I demoni e I fratelli Karamazov. L’ossessione, la colpa, l’isterismo, le nevrosi raccontate non solo sono metafore dei disagi della modernità, ma anzi anticipano la letteratura novecentesca nella sua espressione esistenzialista e postmoderna. La metamorfosi di Franz Kafka, Ulisse di James Joyce, La nausea di Jean-Paul Sartre o anche Infinite Jest di David Foster Wallace (solo per citarne alcuni) devono molto all’opera filosofica e letteraria di Dostoevskij. Tutti i romanzi citati, infatti, come Memorie dal sottosuolo propongono una narrazione brutalmente schietta dell’animo umano, sfidando i canoni del bello e del giusto dei rispettivi tempi. L’uomo del sottosuolo arriva direttamente nel 2020, seguendo una sorta di filo conduttore tra i grandi romanzi dell’Ottocento e del Novecento. Come un archetipo si ritrova quindi in numerose opere letterarie successive. L’eredità di Memorie dal sottosuolo, pertanto, non si riduce ai soli romanzi successivi dell’autore russo, ma a un intero secolo di letteratura. Dostoevskij ha saputo raccontare una parte dell’essere umano, tanto nascosta quanto vera, andando al di là dell’ordine costituito, grazie a una visione del mondo acuta e geniale che ha reso eterna la sua eredità.

Illustrazione a cura di Francesca Pisano.