La tempesta: metafora della magia come rappresentazione

La tempesta: metafora della magia come rappresentazione

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PROSPERO: We are such stuff / As dreams are made on; and our little life / is rounded with a sleep.

W. Shakespeare, La tempesta, Milano, Mondadori, 1991, p. 136.

Qualche anno fa, in televisione, girava uno spot di un’automobile con protagonista Uma Thurman. Ve lo ricordate? Una strada, la Giulietta Alfa Romeo, Uma a bordo, sexy e desiderabile, frasi ispirate come colonna sonora. Lo spot si concludeva poi con una citazione di William Shakespeare: «Noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni»; verso suggestivo e iconico, ormai entrato nella cultura pop.

A volte viene attribuito alla tragedia Romeo e Giulietta – sarà forse colpa della Giulietta Alfa Romeo? Invece è pronunciato da un mago, Prospero, in La tempesta. Questa commedia viene considerata tradizionalmente la penultima opera di Shakespeare scritta interamente da lui. In sé racchiude la potenza narrativa non solo del drammaturgo inglese, ma della rappresentazione teatrale tutta, di cui la magia si rivela una chiave di interpretazione.

Un’isola di intrighi, amori e incantesimi

La tempesta è una commedia in cinque atti. A differenza di tutte le altre rappresentazioni teatrali di Shakespeare, le vicende raccontate si susseguono linearmente nell’arco di circa quattro ore. Il pubblico si trovava coinvolto in tempo reale nelle vicende rappresentate sul palcoscenico: lo spettacolo, come l’intreccio degli eventi della commedia, iniziava alle due del pomeriggio, l’orario tradizionale in cui le rappresentazioni erano solite cominciare, e terminava alla sei.

Prospero, duca di Milano esiliato in una non precisata isola del Mediterraneo, trama per riscattare il suo nome e quello della figlia con lui esiliata, Miranda. L’isola, popolata da spiriti, è immersa nella magia che Prospero fa propria attraverso lo studio.
Grazie a quest’arte e all’intervento dello spirito Ariele, Prospero evoca una tempesta che causa il naufragio di una nave proveniente da Cartagine. A bordo sono presenti il fratello di Prospero, Antonio l’usurpatore, e il suo complice, Alonso re di Napoli, oltre al principe di Napoli Ferdinando e alcuni servitori. La commedia ruota intorno alle orchestrazioni di Prospero eseguite grazie al suo sapere magico e all’aiuto dei servitori Ariele, spirito da lui liberato e per questo a lui debitore, e Calibano, creatura mostruosa e unico abitante in carne e ossa dell’isola.
Ferdinando, Miranda, Alonso e Antonio saranno quindi travolti da una serie di eventi che provocheranno sofferenze, illusioni ma anche, per alcuni, gioia.

Senza entrare troppo nel dettaglio e non spoilerare un’opera che merita assolutamente di essere letta e vista, alla fine Prospero riuscirà a riabilitare se stesso e Miranda e tutti avranno ciò che si meritano, in un perfetto equilibrio tra morale e meraviglia.

Ferdinando corteggia Miranda (nella Tempesta di W. Shakespeare, atto I, scena II), William Hogharth, 1736, olio su tela, National Trust, Nostell Priory.

L’ultimo Shakespeare

Il fascino di questa commedia drammatica non si cela solo nelle vicende, ma anche nella capacità di Shakespeare di richiamare elementi cardine delle sue opere precedenti, creando una sintesi del suo stile drammaturgico. Infatti, La tempesta, messa in scena per la prima volta nel 1611, fa parte dell’ultima fase dell’attività shakespeariana, quella dei romances che comprendono anche Pericle, principe di Tiro, Cimbelino e Il racconto d’inverno. In essi vengono ripresentati elementi narrativi per collocarli in una cornice mitica, a tratti malinconica, e sacrale.

Nella Tempesta possiamo trovare, per esempio, un’analogia tra la storia d’amore improvvisa che nasce tra Miranda e Ferdinando, e quella tra Romeo e Giulietta. Così come la vendetta inscenata da Prospero riecheggia le atmosfere amletiche (e infatti Anna Luisa Zazo, nel saggio introduttivo nell’edizione Mondadori della Tempesta, definisce Prospero «un Amleto “risolto”»); o lo spirito Ariele che tanto ricorda Puck, il folletto di Sogno di una notte di mezza estate.

Mago e strega

Un elemento centrale in tutta la narrazione è indubbiamente la magia, che si manifesta in più sfaccettature. Gli spettatori coevi erano avvezzi agli elementi soprannaturali nelle opere di Shakespeare e non solo: fantasmi, streghe e folletti facevano parte della narrazione quotidiana del popolo inglese – e lo saranno anche più tardi, in epoca vittoriana, come ci ricorda Christina Rossetti. Il mondo del soprannaturale costituiva per loro una realtà alternativa concreta, non un universo frutto dell’immaginazione. La loro presenza in opere teatrali e letterarie, mutuata dalle leggende e dal folklore britannico sul piccolo popolo, era data quasi per scontata.

Nella Tempesta, oltre alla magia bianca di Prospero e quella di Ariele, è presente indirettamente anche quella di Sicorace, che potremmo definire nera. Strega africana, fu lei a intrappolare Ariele durante il suo esilio nell’isola, dove morì in anni precedenti all’arrivo di Prospero e Miranda, lasciando il figlio deforme Calibano come unico abitante dell’isola.

Si crea così la più classica delle dicotomie nel mondo magico: una magia buona, ottenuta grazie alla conoscenza, e una magia malvagia di origine bestiale; si delinea in questo modo una sorta di moralità nella magia. Tuttavia, anche la magia più buona rimane comunque legata a un aspetto demoniaco, e infatti alla fine Prospero se ne libererà. L’epoca in cui Shakespeare visse, a cavallo tra Cinquecento e Seicento, non fu solo quella del Rinascimento inglese o dell’Età elisabettiana, fu anche quella dell’Inquisizione e della caccia alle streghe. La magia era perciò ricondotta a un sentimento anticristiano.
Shakespeare, in qualità di drammaturgo e poeta di Corte, non poteva permettere che un personaggio positivo, quale Prospero, avvalorasse un utilizzo buono della magia. Pertanto la rinuncia della magia da parte di questo personaggio è inevitabile quanto coerente all’epoca in cui fu ideato. Eppure, non è solo la magia intesa come pratica a essere presente in La tempesta; in quest’opera Shakespeare la restituisce anche nelle atmosfere e negli intenti.

Miranda – La tempesta, John William Waterhouse, 1917, olio su tela, collezione privata.

La magia del teatro e la figura del Prospero-Shakespeare

PROSPERO: […] Our revels now are ended. These our actors, / As I fortold you, were all spirits, and / Are mellted into air.

W. Shakespeare, La tempesta, Milano, Mondadori, 1991, p. 134.

I critici non sono del tutto d’accordo nel definire La tempesta l’ultima opera scritta interamente da Shakespeare prima del suo ritiro. Tra il 1612 e il 1613 compose anche Enrico VIII, molto probabilmente con il supporto di un altro drammaturgo, John Fletcher. Purtroppo, quindi, le fonti attualmente disponibili non permettono di datare con certezza l’ultima opera interamente shakespeariana. Tuttavia, si può definire La tempesta come una summa e forse opera ultima per gli intenti drammaturgici. Infatti, non solo sono presenti, come abbiamo detto, elementi narrativi delle sue opere precedenti, ma anche aspetti della drammaturgia e della rappresentazione teatrale in sé. Prospero architetta una vera e propria messa in scena, dalla tempesta evocata dalla magia di Ariele a situazioni inventate ad hoc in cui manipola gli altri personaggi nella sua personale realizzazione di un revenger’s play. Sarà poi lo stesso Prospero che interverrà per risolvere le trame da lui ordite, diventando a sua volta autore e anche regista. 

Shakespeare sembra quasi celebrare la magia del teatro che per tutta la vita l’ha accompagnato, donandogli fama e gloria e assicurandogli il consenso della regina Elisabetta I; esplicitandone la finzione, a partire dal preciso inizio della vicenda che coincide con l’inizio degli spettacoli del teatro elisabettiano. La tempesta diventa così teatro nel teatro, ricostruendo e dando una chiusa all’intento narrativo di tutta la sua opera.

La tempesta appare piuttosto una metafora del teatro shakespeariano, una metafora, una sintesi e una sorta di rivelazione, di messa a nudo, una glorificazione, forse, non tuttavia del teatro shakespeariano, ma della teatralità, rigorosamente intesa come falsità, del teatro shakespeariano.

A.L. Zazo, L’isola dei suoni: metafora teatrale o «commedia» dantesca?, in W. Shakespeare, La tempesta, Milano, Mondadori, 1991, p. XIV.

Alla fine della Tempesta, Prospero, una volta riabilitato il proprio nome, dismetterà le sue vesti di mago e quelle di tessitore di trame. Così come Shakespeare depone infine la sua penna che ha regalato, e ancora regala, infinite suggestioni.

Illustrazione a cura di Caterina Cornale.