La lingua è potere: accorgimenti per un uso non discriminatorio dell’italiano

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Quasi due anni sono passati da Parla come mangi, primo articolo che scrissi per Galleria Millon. Da allora la situazione linguistica non si è evoluta molto, ma le persone hanno iniziato a prendere coscienza del fatto che la lingua è la rappresentazione della società che la utilizza. In questo secondo articolo sulla lingua italiana vorrei soffermarmi sulle motivazioni per le quali è necessario e importante utilizzare delle soluzioni verbali e scritte che non siano discriminanti, così da contribuire attivamente alla costruzione di una società migliore, non giudicante.

Lo spazio linguistico si plasma in base alle relazioni e interazioni messe in atto da chi quello spazio lo vive, presidia, attraversa: siamo noi a strutturarlo con i nostri atti linguistici.

M. Manera, La lingua che cambia, Milano, Eris edizioni, 2021, p. 46

Femminile singolare

Oliva Denaro è la protagonista che dà il titolo al secondo libro di Viola Ardone, già autrice di Il treno dei bambini. Olivia ha la fortuna di avere una maestra che la stimola a imparare sempre parole nuove, sostenendo che «la grammatica serve anche a modificare la vita delle persone». La protagonista, come i bambini e le bambine della scuola primaria, non si spaventa infatti di fronte a parole quali “deputata”, “architetta” o “ingegnera”. Il contrario purtroppo succede alle persone adulte. La spiegazione alla differente reazione è da ricercare nella paura del cambiamento. L’utilizzo di parole mai usate prima spaventa e per non utilizzarle si ricorre a scuse banali quali la cacofonia. Da sempre le donne sono state maestre e infermiere, ma hanno dovuto lottare e rivendicare la parità di diritti ed elezione per essere assessore, sindache, magistrate e tranviere come nonna Adelaide.

Quando si tocca lo snodo lingua-genere, la partita si gioca non sul piano della grammatica, ma su quello del potere.

M. Manera, La lingua che cambia, Milano, Eris edizioni, 2021, p. 26

La paura del cambiamento è anche ciò che ha portato molte persone a commentare in maniera negativa gli articoli riguardanti il linguaggio di genere. A ogni obiezione posta, la sociolinguista Vera Gheno ha risposto con efficacia e semplicità attraverso il suo libro Femminili singolari, da poco ripubblicato dalla casa editrice Effequ con un nuovo capitolo dedicato a una delle proposte per portare anche la lingua italiana a superare la dicotomia maschile-femminile.

Sono solo parole

Il commento più diffuso che si può trovare è quello di chi sostiene che la lingua non sia una priorità tra le rivendicazioni per la parità; questo perché, a loro parere, “le lotte vere sono altre”. Il discorso viene approfondito anche da Vera Gheno che dimostra come «l’impossibilità d’impiego di determinati femminili sia sociale e non linguistica» (V. Gheno, Femminili singolari, Firenze, Effequ, 2019, p. 105). Al momento la lingua italiana, per come viene utilizzata, soprattutto per quanto riguarda il diffuso utilizzo del maschile universale, non riesce a soddisfare l’esigenza della società di essere rappresentata. Colmare questa lacuna linguistica dipende solo da noi. Pensare alle parole che si sceglie di utilizzare è il primo passo. Prima Pensa Poi Parla Perché Parole Poco Pensate Portano Pene. Un contributo interessante, che potrebbe stimolare la riflessione e indurre a compiere questo piccolo sforzo linguistico, è il monologo eseguito da Paola Cortellesi in occasione della premiazione David di Donatello 2018, in cui riflette sull’irrigidimento di significato di alcune parole quando sono declinate al femminile.

Chi viene nominato ha più concretezza; chi non ha un nome, invece, è meno visibile ai nostri occhi. Per questo in una società che mira ad essere più equa è necessario essere nominati.

Questioni di un certo genere, aa.vv., Milano, Iperborea, 2021, p. 39

Che genere di società

La società in cui viviamo è in continua trasformazione. Non solo le donne chiedono fortemente di essere rappresentate e di conquistare un loro spazio all’interno della lingua. Alle loro voci, infatti, si uniscono quelle di molte altre persone.

Ritengo che sia facile parlare di serenità linguistica quando si è nella posizione di non essere stati mai, nemmeno per un attimo, linguisticamente o socialmente sottorappresentati (e qui il maschile è assolutamente voluto).

V. Gheno, Femminili singolari, Effequ, 2019, p. 190

Le parole di Gheno sono fondamentali per capire il punto di vista di chi questa discriminazione la subisce. Nel momento in cui si è privilegiati, è difficile rendersene conto, perché si gode di agevolazioni invisibili dal proprio punto di vista, ma la corsa della vita è più tortuosa per alcune persone.

Il privilegio infatti è tanto maggiore quanto più le proprie caratteristiche si avvicinano allo standard: uomo, bianco, cisgender, eterosessuale e non disabile. Tali caratteristiche corrispondono al centro di ciò che viene definita la “ruota del potere e del privilegio” (in inglese the wheel of power and privilege):

[…]c’è un momento in cui chi ha uno o più privilegi deve fare un passo indietro e non dire “so come ti senti provo empatia”, ma “non so come ti senti, quindi ti lascio lo spazio per spiegarmelo”. Con le tue parole.

V. Gheno, Che genere di cose, Milano, Iperborea, 2021, p. 41

Uno di questi momenti potrebbe essere l’espressione di questa parte della società tramite la semplice sostituzione dell’ultima lettera delle parole con qualcosa di inaspettato. L’utilizzo dello schwa o scevà /ə/ è un mezzo che permette alle persone che non si riconoscono in uno dei due generi canonici maschile-femminile di essere adeguatamente rappresentate. Nonostante Vera Gheno stessa dica che probabilmente questa non sarà la soluzione definitiva, il suo utilizzo si sta lentamente diffondendo. Altre soluzioni sono state precedentemente sperimentate. La più largamente utilizzata è sicuramente l’asterisco, un espediente ideato negli anni Novanta e messo per iscritto nel 2015 da Luca Boschetto nel suo sito italiano inclusivo.

Decidere di fare fatica

Con i nostri atti linguistici agiamo su immaginari e mondi futuri: possiamo decidere di partecipare in modo attivo e militante, oppure stare a guardare.

M. Manera, La lingua che cambia, Milano, Eris edizioni, 2021, p. 59

Solamente il tempo ci permetterà di sapere quale soluzione verrà scelta dalla popolazione parlante come la più adeguata a rappresentare la nostra complessa società. Nel frattempo, ciò che possiamo fare è comprendere l’importanza di utilizzare determinate strategie linguistiche cosicché il nostro modo di parlare non risulti discriminante verso altre persone.

Sabotare il maschile universale è un atto politico. Nominare il femminile è un atto politico. Usare lo schwa, l’asterisco, la -u è un atto politico.

M. Manera, La lingua che cambia, Eris edizioni, 2021, p. 60