La filosofia di Nietzsche: buoni propositi per una metamorfosi

La filosofia di Nietzsche: buoni propositi per una metamorfosi

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Per l’anno nuovo. […] Oggi ognuno si permette di esprimere il suo augurio e il suo più caro pensiero: ebbene, voglio dire anch’io che cosa oggi mi sono augurato da solo e quale pensiero […] deve essere per me fondamento, garanzia, dolcezza di tutta la vita futura! […] Amor fati: sia questo d’ora innanzi il mio amore! Non voglio muovere guerra contro il brutto. Non voglio accusare […]. Guardare altrove sia la mia unica negazione! E, insomma: prima o poi voglio soltanto essere uno che dice sì

F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2008, p. 198.

Questa volta, la missione della Divulgatrice consiste nell’estendere a tutti l’augurio che Friedrich Nietzsche fa a se stesso tra le pagine della Gaia scienza. Lo scopo è certamente quello di condividere un bel pensiero, ma soprattutto di invitare a una riflessione e, perché no, a un cambio di atteggiamento. Gennaio è a tutti gli effetti il mese dei ragionamenti, dei nuovi slanci, dei buoni propositi. In Galleria Millon, quest’anno, è anche il mese della metamorfosi, della trasformazione. Sebbene sia quasi finito, siamo ancora in tempo ad aggiungere un ultimo (profondo) buon proposito alla nostra lista e a capire come realizzarlo. Spesso i nuovi slanci richiedono una metamorfosi.

Sull’utilità e il danno della storia per la vita: conservare o buttare

Era gennaio, nel 1882 (anno di pubblicazione della Gaia scienza), quando Nietzsche scrisse queste righe. Di certo nella sua mente già balenavano le idee che avrebbero dato vita a Così parlò Zarathustra, ultimato poi nel 1884. Il suo auspicio, dunque, può sicuramente ricondursi alla ricerca di una disposizione d’animo utile a intraprendere la nuova fatica: dimenticare gli atteggiamenti sbagliati – la debolezza e il risentimento – e conservare quelli giusti. In frangenti come quello filosofico, gettare basi solide è importante, e rinnovarsi non significa necessariamente buttare via tutto il vecchio. Questo era stato un caposaldo del pensiero nietzscheano già molti anni prima dello Zarathustra.

Per determinare […] il limite in cui il passato deve essere dimenticato, se non deve divenire il becchino del presente, bisognerebbe sapere precisamente quanto sia grande la forza plastica di un uomo […]: parlo di quella forza di crescere su se stessi in modo originale, di trasformare e incorporare ciò che è passato ed estraneo, […] di rimodellare da sé forme infrante.

F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, Newton & Compton editori, Roma, 1993, p. 100.

Nella seconda delle Considerazioni inattuali, datata 1874, il filosofo prussiano si interroga sulla possibilità di vivere “storicamente”, cioè in un corretto rapporto con ciò che si ha alle spalle. Nella sua ottica, occorre sfruttare ciò che di buono si è costruito nel passato, senza però aggrapparvisi in modo sterile: lo scopo del guardare indietro deve essere innanzitutto un andare avanti. L’augurio per l’anno nuovo è perfettamente allineato a questo pensiero – l’intera Gaia Scienza lo è – e ciò fa di esso un ottimo punto di partenza per proseguire tra le pagine di Così parlò Zarathustra.

Delle tre metamorfosi: sopportare e ribellarsi

Qui, ci si imbatte ben presto nel discorso del profeta nietzscheano intitolato Delle tre metamorfosi.
Zarathustra, sceso a valle dal suo eremo per portare agli uomini un nuovo tipo di approccio all’esistenza (fondato proprio su quel “dire di sì” che Nietzsche aveva augurato a se stesso), spiega ai suoi interlocutori come il loro spirito possa trasformarsi in un cammello, in un leone e, infine, in un fanciullo.

Che cosa è gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato.
Qual è la cosa più gravosa da portare, eroi? così chiede lo spirito paziente, affinché io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza.

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano, 2010, p. 23.

In termini nietzscheani, lo spirito-cammello è quello che agisce sempre e solo come previsto dalla società, dall’educazione e dalla cosiddetta “morale cristiana”. Egli si fa carico di oneri non suoi ed è felice di farlo. Più di tutto, egli sacrifica il proprio volere al punto di renderlo inesistente e questo, per un pensatore dell’azione come Nietzsche, è un atteggiamento intollerabile nei confronti della vita.

[…] là dove il deserto è più solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto. […] Chi è il grande drago, che lo spirito non vuol più chiamare signore e dio? ‘Tu devi’ si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice ‘io voglio’

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano, 2010, p. 23-24.

Lo spirito-leone è quello che assume consapevolezza del suo essere-cammello e agisce per porre rimedio alla propria condizione. Il leone si ribella a tutto ciò che è costrizione e incomincia a far valere la propria volontà. Questo è un primo passo verso quella che Nietzsche considera libertà: «Fratelli, perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma […]? […] crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone». (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano, 2010, pag. 24.)

Terza metamorfosi: creare il nuovo

C’è una cosa, però, che lo spirito-leone non può ancora permettersi di fare, ed è ciò che più sta a cuore a Nietzsche: creare valori nuovi. Troppo impegnato nella sua lotta contro il drago del “tu devi”, il leone non gode di quella spensieratezza che è tipica del vero creatore: il fanciullo.
«Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì.» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano, 2010, pag. 25.)

Eccolo, il “dire di sì” della Gaia scienza! E nemmeno l’immagine del fanciullo che gioca è nuova. Nietzsche l’aveva già utilizzata nelle Considerazioni inattuali, in quanto esempio perfetto di un rapporto “leggero” con il passato: «L’uomo si oppone al peso sempre più grande del passato: […] perciò lo commuove, come se ricordasse di un paradiso perduto, vedere […] il bambino che non ha ancora niente di passato da rinnegare e gioca in beatissima cecità tra i recinti del passato e del futuro». (F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, Newton & Compton editori, Roma, 1993, pag. 99.)

Lo spirito-fanciullo, insomma, è il vero spirito libero, perché non è legato a nulla da riproporre o rinnegare. A questo punto, però, sarebbe lecito chiedersi se Nietzsche consideri il ritornare bambini come unica garanzia per la libertà. La risposta a questa domanda è contraddittoria, così come può sembrare contraddittorio il fatto di eleggere il “filosofo dell’eterno ritorno” a guida di una riflessione sul cambiamento.

Il peso più grande: libertà ed eterno ritorno

Una cinquantina di pagine dopo l’augurio per l’anno nuovo, nella Gaia scienza si trova la primissima enunciazione di una delle teorie più importanti di Friedrich Nietzsche, quella dell’eterno ritorno dell’uguale. Dalla definizione, risulta evidente come essa consista nella possibilità di rivivere «ancora una volta e ancora innumerevoli volte» la stessa vita, «nella stessa sequenza e successione» (F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2008, pag. 248). Ma cosa ha a che fare questo pensiero con ciò che è stato detto finora? Tutto, in realtà.
Secondo Nietzsche, ci sono due modi di reagire a una simile eventualità:

Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; […] graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che quest’ultima eterna sanzione, questo suggello?

F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2008, pag. 249.

Nel primo caso, il pensiero dell’eterno ritorno si impone come una condanna, un riproporsi costante degli stessi episodi. Percependolo in questo modo, si inizierebbe a valutare e calcolare molto bene ogni azione prima di compierla, e l’esistenza non sarebbe più sopportabile. Nel secondo caso, invece, dovrebbe subentrare la spensieratezza del fanciullo, per la quale tutto ciò che si fa vale la pena di essere rivissuto perché deriva da una scelta personale e libera.

La teoria dell’eterno ritorno è fondamentale nella filosofia nietzscheana, non perché descrive un costante ripetersi degli eventi, ma perché definisce un atteggiamento nuovo e positivo di viverli, alla luce della possibilità del loro eterno riproporsi. È secondo questo aspetto che vanno interpretati tutti gli elementi considerati finora: l’augurio, il rapporto con il passato e il diventare-fanciullo dello spirito.

Conclusione: ciò che può essere utile a noi

Cosa implicano, dunque, il “dire di sì” e il diventare fanciulli? Nel segno dell’eterno ritorno, si tratta in entrambi i casi di assumere il secondo atteggiamento, quello positivo, per il quale rivivere eternamente ciò che si sta vivendo altro non è che un dono. Senza calcoli né premeditazioni, lo spirito trasformatosi in fanciullo agisce nella più totale libertà; procede, corre rischi e non ha paura di ritrovarsi in situazioni che, in fondo, ha creato lui stesso, secondo le proprie regole. Ciò non significa propriamente tornare bambini, quanto piuttosto ri-diventarlo all’occorrenza, senza dimenticare ciò che c’è di buono nel proprio vissuto.

Di tutta la filosofia nietzscheana, questo è un nodo particolarmente complesso, ma di cui fare tesoro; ecco spiegata l’estensione dell’augurio. Ciò che è insito in esso vale la pena di essere trascritto, stampato, appeso da qualche parte in casa e ricordato ogni anno – a gennaio o quando preferite – perché è un ottimo incentivo a liberarsi, in generale, dai pesi che spesso si vengono ad accumulare nel corso del tempo e opprimono il nostro spirito.

Che il “dire di sì” ritorni eternamente tra i buoni propositi, che si possa avere la forza di plasmare nuove forme dalle buone abitudini: allontanare il brutto, smettere di piegare le ginocchia per farsi carico dei pesi altrui, combattere per la propria volontà e creare spazio per nuovi valori. Questo augura Friedrich Nietzsche a se stesso, ed è questo che la Divulgatrice riporta a tutti voi, per un inizio d’anno all’insegna del “dire di sì” – in senso nietzscheano, naturalmente!

Illustrazione a cura di Sabrina Poderi.