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Il mare, Trieste e i suoi abitanti: panorami di un rapporto vitale

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Se l’argomento è il mare, non posso non dedicare un pensiero alla mia città. Trieste accoglie con il mare abitanti e visitatori, sia che ci si arrivi con l’auto sia che si viaggi in treno. E in questo secondo caso è ancora meglio, perché ci si può davvero godere il panorama: dieci minuti buoni di mare. Mare e basta, da ammirare dall’alto, come se i finestrini diventassero improvvisamente dei quadri, o il treno una terrazza.

Trieste e il mare 

È sempre catartico il momento in cui si torna da un viaggio e ci si trova ad ammirare i colori e le sfumature di questo scenario, che non sono mai uguali alla volta precedente, che puoi aver visto mille volte ma che non smettono di lasciarti almeno per un attimo senza fiato. Quando, improvvisamente, al posto di campi, case e autostrade compare il mare – solo il mare – significa che sei di nuovo a casa. E credo che il colpo di scena sia assicurato non soltanto per chi torna, ma anche per chi vive da un’altra parte e a Trieste ci arriva. 

Panorama di Trieste da Strada del Friuli.

Il mare a Trieste è un po’ dappertutto. Attraverso il Canal Grande, arriva fino alle vie pedonali del centro, ma c’è anche là dove sembra di stare in montagna, tra i sentieri rocciosi e i boschi del Carso. Basta voltarsi e lui è lì. Blu, verdastro, qualche volta nero. Diventa anche rosa e arancione, o dorato. Quando soffia la bora si vedono le increspature bianche dell’acqua che viene sollevata dal vento. Ogni tanto è mosso e le onde arrivano fino in strada, altre volte è liscio come uno specchio – di solito al mattino presto. Con il libeccio sale, sale, e sommerge la parte della città che gli sta proprio davanti.

Affacciati sul mare stanno un castello bianco, il teatro lirico, la piazza principale; a guardarlo dall’alto, invece, ci sono la cattedrale, l’università e anche l’ospedale. Praticamente ogni momento della vita di un triestino è scandito da una qualche visione del mare. Ed è per questo, forse, che il mare a Trieste è una sorta di entità viva di cui si conoscono vita, morte e miracoli. Quasi un fratello, o per lo meno un caro amico, sempre di compagnia e di conforto.

Particolare del lungomare di Barcola.

Trieste e il mare d’estate

Come dicevo, del mare i triestini conoscono vita, morte e miracoli. È abbastanza divertente, in spiaggia, stare a sentire le diatribe a proposito della temperatura dell’acqua o partecipare all’orrore di colui che, ancora vestito e con la borsa in mano, scopre che la sua nuotata sarà rovinata dalle meduse. La prima cosa che fa un triestino quando arriva in spiaggia è accertarsi delle condizioni del mare con quelli che, quel giorno, l’hanno già testato.

Ora, dico “spiaggia” per farmi capire, ma a Trieste non ci sono delle vere e proprie spiagge: le poche che riesco a contare sono comunque fatte di sassi. Una di queste, poi, è addirittura attraversata da un muro di cemento che tiene separate le donne dagli uomini – uno dei vari retaggi asburgici della città che sembrano non tramontare mai, come la chiusura dei negozi il lunedì. Se vorreste approfondire la conoscenza di quello che qui viene affettuosamente chiamato “El Pedocin”, potete farlo qui.

Oltre al Pedocin, situato nel cuore della città, esiste tutta una serie di stabilimenti balneari – più o meno vicini al centro e rigorosamente “rocciosi” – ma quello che è più interessante di Trieste è l’approccio al mare “libero”. Il lungomare di Barcola, con i suoi quattro chilometri circa di “marciapiede con accesso al mare” è uno dei luoghi più frequentati dai cittadini in estate e non solo. Lungo questo tratto di costa, è sufficiente arrivare muniti di asciugamano, costume e ciabatte. Non serve organizzare la giornata al mare, basta avere qualche ora libera.

È qui che si assiste a quel fondamentale scambio di informazioni tra chi arriva e chi se ne va: una sorta di passaggio del testimone, direi quasi un rituale. Andare al mare – o “al bagno”, come diciamo noi – è una faccenda talmente seria che ogni triestino ha il proprio orario, la propria zona favorita e, se possibile, la propria postazione precisa. Spiaggia libera… sì, mica tanto. Alcuni scogli, determinati punti del molo o della spiaggia, in genere i più arieggiati, sono off limits, occupati per definizione, inavvicinabili. Se si sgarra (anche involontariamente), questa è la pena: sdraio o asciugamano della “vittima” piazzati a meno di un centimetro dal vostro, sguardi in cagnesco e commenti poco gentili, borbottati neanche tanto a mezza voce.

Ma se si rispettano le regole non scritte, si può entrare a far parte di veri e propri sodalizi. 

Tramonto sul Canal Grande.

I “bagni” di Trieste sono popolati da gruppi più o meno grandi di persone che quasi sicuramente non si frequentano nei mesi invernali, ma che si ritrovano ogni estate al solito posto, alla solita ora, per trascorrere insieme un po’ di tempo al mare. Saper scendere a compromessi con le loro manie può valere molto: grazie ad assetti strategici di lettini e sdraio, sono capaci di farti trovare un posto libero a Ferragosto. Quando ti assenti per andare a fare un bagno al largo o per bere qualcosa al bar, sorvegliano la tua postazione e non si muovono finché non torni. Non serve per forza entrare a far parte del gruppo, è tipicamente triestino anche andare al mare in perfetta solitudine (magari con un libro!). Ma, a maggior ragione se si è da soli, fa sempre comodo avere una compagnia pronta a tutto, tanto alla chiacchiera e alla battuta quanto all’offrire aiuto, se ce n’è bisogno.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.

U. Saba, “Trieste”, in Il Canzoniere, Torino, Einaudi, 2014, p. 79.

Così Umberto Saba descrive Trieste nell’omonima poesia e, davvero, così sono anche i suoi abitanti.

Trieste e il mare d’inverno  

Molto più intimo – ma non meno intenso – è il rapporto dei triestini con il mare d’inverno.

[…] i triestini vanno al mare tutto l’anno. Ci vanno a fare merenda, a leggere un libro sugli scogli, a fare due chiacchiere con gli amici. Ci vanno per lasciarsi, per mettersi insieme. Ci vanno imbacuccati, con la sciarpa tirata su fino agli occhi, a guardare come diventano nere le onde in inverno.

M. Covacich, Trieste sottosopra, Bari, Laterza, 2006, p. 82.

C’è un lungo molo, proprio di fronte alla piazza principale, che si chiama Audace per motivi storici. Anche senza conoscerli, basta vederlo per capire che è un nome che gli si addice: audace è il modo in cui si protende verso il mare, portando al largo chi lo percorre senza bisogno di vele o di remi. Audace è anche chi ci va a passeggiare d’inverno sfidando il freddo e, quando arriva, la bora, che soffia a più di cento chilometri all’ora. Nelle giornate meno ventose, è anche un ottimo punto di osservazione per gli splendidi tramonti che regala Trieste, in inverno ancora più che in estate. Non c’è passeggiata in città che non finisca sulla cima del Molo Audace. Da qui, oltre che il mare, si può ammirare anche tutta la città da lontano, come in una cartolina.

Il Molo Audace.

Anche se è sempre la stessa persona, il triestino in riva al mare d’inverno non è il triestino che va “al bagno” d’estate –salvo eccezioni, perché Trieste è una sedicente città “di vecchi” e in molti dispongono di tempo (e tempra) sufficiente per andare veramente al mare anche d’inverno. Al di là dei casi specifici, però, a Trieste, quello del mare è un richiamo. Anche se lo si vede sempre, ogni giorno, tutto l’anno, si getta sempre uno sguardo verso di lui: per vedere com’è, che colore ha, se la marea è alta o bassa, se il panorama è canonico o memorabile. In questo ultimo caso – e succede spesso – si è sempre disposti a fermarsi, lasciare in sospeso quello che si stava facendo o ciò di cui si stava parlando per scattare una foto; o anche per rimanere un attimo fermi a guardare. 

In una città in cui è così a portata di mano, il mare è davvero un compagno e un conforto. È un suono che rincuora, una vista che stupisce e un luogo dove raccogliere le idee, respirare, o anche semplicemente rilassarsi, da soli o in compagnia. 

È dove si va quando qualcosa va storto, o quando c’è da festeggiare. Il mare rasserena e infonde energia allo stesso tempo, è una potenza affascinante. Poterne godere in ogni momento è senz’altro una grande fortuna, senza la quale, credo, faremmo più fatica a vivere. 

[I triestini] vanno [al mare] anche senza andarci, perché il mare a Trieste è un lato della stanza, ti alzi al mattino e sai dov’è, stai dove stai e sai che c’è. 

Ibidem.

Foto di Giulia Cechet.
Illustrazione a cura di Sabrina Poderi.