Il Maestro e Margherita: la magia di rivoluzionare la società

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La storia del Maestro e Margherita di Michail Bulgakov è davvero magica: non solo per la trama – l’arrivo di Satana nella Mosca degli anni Trenta è già un elemento sufficiente a far passare la definizione –, ma anche per le intriganti vicissitudini legate all’autore, alla pubblicazione dell’opera e al fatto che avremmo potuto non stringerne mai una copia tra le mani.  

Anche questa, come quelle che segnavano le tappe del nostro viaggio letterario di agosto, è una storia tipicamente russa. Lo è dentro le pagine del libro, in cui spiccano inconfondibili la profondità di pensiero, la tragicità, resa sempre leggera dall’ironia, e le immancabili sfilze di nomi e patronimici. Lo è fuori dalle pagine, perché non c’è opera russa del Novecento che non abbia dovuto fare i conti con il regime e con la censura.

Come ho detto, è una storia magica, in cui cose e persone compaiono, scompaiono e riappaiono. 

«I manoscritti non bruciano»: Bulgakov rinasce dalle sue ceneri

In prima edizione mondiale esclusiva, ecco finalmente il testo completo e definitivo del romanzo. L’edizione apparsa su Moskva ha infatti subìto, come si è poi saputo, alcune riduzioni. Il Maestro e Margherita appare qui reintegrato da una settantina di pagine, in modo da corrispondere pienamente alla volontà del suo autore.

M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, Einaudi, Torino, 1967.

La prima edizione integrale di Il Maestro e Margherita, pubblicata da Einaudi nel 1967 e di cui ho la fortuna di possedere una copia, è dunque italiana, non sovietica. Questa edizione risale a quasi quarant’anni dalla stesura del primo manoscritto e a più di vent’anni dalla morte dell’autore.

Nel 1930, dopo due anni di lavoro, Bulgakov fa comparire il suo romanzo. La censura lo definisce “cabalistico” e ne impedisce la pubblicazione, appellandosi alla sovrannaturalità dei personaggi e degli avvenimenti che lo animano. È decisamente più probabile, però, che il motivo della stroncatura sia la linea realistica del racconto: una continua satira nei confronti della società e degli intellettuali sovietici. A ogni modo, l’autore cade nello sconforto più totale e fa sparire il manoscritto, bruciandolo nella stufa.

– […] Essa ha un concetto troppo alto del romanzo che ho scritto.
[…]
– Su che cosa, su che cosa? Su chi? […] Faccia un po’ vedere –. E Woland tese la mano con la palma all’insù.
– Io, purtroppo, non posso farlo, – rispose il Maestro, – perché l’ho bruciato nella stufa.
– Scusi, non ci credo, – replicò Woland, – non può essere, i manoscritti non bruciano –. Si voltò verso Behemoth e disse: – Su, Behemoth, dammi qua il romanzo.
Il gatto, all’istante, saltò giù dalla seggiola e tutti videro che era seduto su un grosso pacco di manoscritti. Con un inchino, il gatto porse a Woland l’esemplare che stava sopra gli altri.

M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, Einaudi, Torino, 1967, p. 281.

Così come Woland (il nome con cui Satana si presenta ai moscoviti) fa riapparire il romanzo del Maestro, anche Bulgakov rifiuta di far scomparire il proprio e si rimette all’opera già dall’anno successivo: “I manoscritti non bruciano”, le idee non possono essere censurate. Ci lavora fino alla fine dei suoi giorni, nel 1940, lasciando una notevole quantità di materiale che sarà poi risistemato dalla moglie, Elena Šilovskaja.

Una primissima pubblicazione esce soltanto tra il 1966 e il 1967: è la versione a puntate sulla rivista Moskva, cui si riferisce l’edizione Einaudi. Il nome di Bulgakov, fatto sparire da tempo perché associato a idee spregiative come quella di “scrittore borghese” o di “emigrante interno”, comincia a riemergere dall’oblio coatto. Più importante ancora, il romanzo raggiunge finalmente il pubblico, anche se con parti mancanti. 

Ma i sovietici sono avvezzi a questo genere di “magie” e possiedono un circuito nascosto per la letteratura proibita. I brani censurati del Maestro e Margherita circolano comunque per il Paese: sono dattiloscritti in forma di samizdat, letteralmente “edito in proprio”.

A questo punto, la grandezza dell’opera non può più essere negata. Fuori dall’URSS, gli editori si muovono all’istante per ricongiungere le parti ufficiali con quelle censurate e creare delle versioni integrali. In Unione Sovietica, invece, la prima edizione completa risale appena al 1973.

Dalla storia della pubblicazione del libro, passo ora alle diaboliche vicende che ne animano la trama. Mi lascio alle spalle le tristi sparizioni legate al regime e alla censura e procedo alla ricerca di magie più spassose.

«Non parlare mai con sconosciuti»: il Diavolo arriva a Mosca

Come detto in apertura, il potenziale magico della storia è già tutto racchiuso nell’idea di fondo. Quella del Diavolo in persona che visita Mosca insieme a un codazzo di tirapiedi tutt’altro che comuni è, in realtà, solo una delle linee narrative portate avanti da Bulgakov. Senza nulla togliere ai toni quasi filosofici dei capitoli dedicati a Gesù e Ponzio Pilato, o a quelli più romantici che raccontano l’amore del Maestro e Margherita, le vicende dei moscoviti alle prese con Satana restano le più affascinanti dell’opera.

Nel parco degli Stagni Patriaršie di Mosca c’è un cartello. È simile a un comune segnale di divieto, ma all’interno del cerchio barrato ci sono tre sagome nere: raffigurano un uomo allampanato, un grosso gatto e un uomo elegante, con tanto di cilindro. La dicitura subito sotto recita: «Vietato parlare con gli sconosciuti.» È un omaggio della città a Bulgakov, che proprio in quel luogo ha ambientato il primo capitolo di Il Maestro e Margherita. Esso si intitola Non parlare mai con sconosciuti ed è uno dei fulcri magici del libro.

È qui che appare il Diavolo di Bulgakov, un uomo distinto, un professore esperto in magia nera, che si fa chiamare Woland. Con lui appaiono anche Fagotto, l’altissimo maestro di cappella vestito a quadretti, e un grosso gatto nero, Behemoth, che parla e cammina eretto sulle zampe posteriori.

Non è difficile immaginare quanto scompiglio portino simili personaggi nelle vite dei moscoviti. La prima vittima è Miša Berlioz, che proprio su una panchina dei Patriarše scopre da Woland, incontrato “per caso”, che morirà quella sera stessa. La seconda è il poeta Bezdomnyj, primo testimone della profezia e poi dell’incidente che porta effettivamente Berlioz alla morte. Fuori di sé, racconta a tutti che un professore straniero, che ha fatto colazione con Kant, uno spilungone svanito nel nulla così come è apparso e un enorme gatto parlante sapevano in anticipo della morte di Berlioz. Li denuncia alla polizia in quanto colpevoli del misfatto e, come risultato, viene spedito al manicomio.

«Lo sa il diavolo, come!»: apparizioni e sparizioni

Sono molti i personaggi del Maestro e Margherita che, come Bezdomnyj, finiscono al manicomio, se non addirittura in qualche altro luogo più remoto.

La vita di Berlioz era così fatta che agli eventi straordinari egli non era abituato a credere.

M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, Einaudi, Torino 1967, p. 6. 

Berlioz è il simbolo dell’uomo medio e lo scopo di Bulgakov è quello di contrapporre la mediocrità delle persone alla straordinarietà di certi eventi. L’incapacità umana di gestire situazioni fuori dal normale è resa evidente dallo stravolgimento del flusso delle cose per mano del Demonio e dei suoi compari. Naturalmente, la questione è affrontata nella maniera più magica e spassosa possibile. I personaggi più comuni vengono messi alla prova con stranezze di ogni tipo ed è costante la presenza di elementi – cose e persone – che, magicamente, appaiono e scompaiono.

Togliendosi il camice, il professore diede un’occhiata al punto dove il barista aveva lasciato le banconote, e vide che non ce n’era l’ombra, ma al loro posto c’erano invece tre etichette di Abrau-Djurso [vino caucasico, N.d.R.]. […] Quando però il professore tornò alla sua scrivania […] nel punto dove prima stavano le etichette c’era un gattino nero, un orfanello, con un musetto triste, e miagolava sopra un piattino pieno di latte.

M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, Einaudi, Torino 1967, p. 205.

Questo, naturalmente, è solo un esempio. L’intera prima parte del romanzo è tempestata di fatti inspiegabili. Impiegati denunciati per possesso di valuta estera, comparsa magicamente nei luoghi più nascosti delle loro abitazioni; donne che si ritrovano scalze in mezzo alla città, perché le scarpe ricevute in dono allo spettacolo di magia di Woland si smaterializzano dai loro piedi. A scomparire, talvolta, sono anche le persone. Come Prochor Petrovič, di cui alla scrivania rimane soltanto il vestito, che continua a firmare carte e a rispondere al telefono. Qualcuno si ritrova catapultato da Mosca a Jalta; altri ancora spariscono e poi riappaiono in forma di zombie. Nessuno riesce a trovare una spiegazione razionale per simili fatti e la frase che più spesso è sulla bocca di tutti è: «Il diavolo sa, come!». 

La forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene

Certo, il Diavolo lo sa. Di fronte a simili storie e alla pungente ironia con cui Bulgakov le presenta, è difficile trattenere le risate. Uno sguardo più attento, però, sarà in grado di cogliere l’intento più profondo dell’autore, proprio quello per cui la censura non aveva gradito la sua opera.

Le vittime degli scherzi del Demonio sono persone tutt’altro che esemplari. Lo spettacolo di magia, un altro dei fulcri magici del libro, non è altro che un test a cui Woland sottopone i moscoviti. Regala loro soldi e vestiti nuovi e i cittadini immediatamente se ne approfittano, riempiendosi tasche e portafogli o scegliendo di gettare gli abiti vecchi per tenersi quelli nuovi. I personaggi che in un modo o nell’altro vengono fatti sparire sono quasi sempre funzionari statali pigri, avari, adulteri e assetati di potere.

La critica morale ai costumi e alla società è evidente e, sebbene venga sfruttata un’enorme quantità di simboli legati alla tradizione religiosa, la denuncia di Bulgakov non ha nulla di bigotto. La questione resta sempre legata alla sfera umana e sempre viva è la speranza in un miglioramento, sebbene, per il momento, sembra che solo la magia sia capace di portarlo.

Per questioni di brevità, ho limitato la mia analisi alla sola prima parte del romanzo, quella in cui la diavoleria fa da padrona. Mi concedo, qui, solo un breve accenno alla seconda metà, in cui agiscono gli effettivi eroi della storia: il Maestro e Margherita, personaggi che non hanno nulla a che fare con gli uomini “piccoli” incontrati finora. Esseri umani straordinari e per questo costretti dalla società a soffrire ma, come l’autore, fiduciosi in un futuro migliore. Woland, riconoscendo in loro delle anime nobili, si prende carico delle loro sfortune e li aiuta a ricongiungersi, non senza l’aiuto di una buona dose di magia.

Il Diavolo di Bulgakov è «una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene» (citazione dal Faust di Goethe, in epigrafe al testo originale), è il ribaltamento dello status quo, è la scintilla della rivoluzione che porterà al trionfo dei giusti.

Ogni potere è violenza sull’uomo, e verrà un tempo in cui non vi saranno né potere, né cesari, né qualsiasi altra autorità. L’uomo giungerà al regno della verità e della giustizia, dove non occorrerà alcun potere.

M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, Einaudi, Torino 1967, p. 27.

Illustrazione a cura di Noemi D’Atri.