Al di là dell’obiettivo: la storia di Gerda Taro, una fotoreporter al fronte

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Il lavoro di fotoreporter nacque dall’esigenza di informare le persone attraverso un linguaggio che fosse universale: la fotografia. Usata inizialmente per i rotocalchi di moda, questa pratica venne poi adottata, a partire degli anni Venti del Novecento, per i grandi eventi storici mondiali. Le fotografie, oltre a informare, parlano anche di chi sta al di là dell’obiettivo, di chi non è soggetto della foto, bensì ne è l’artefice: il suo punto di vista e le sue scelte influenzano il messaggio trasmesso. Durante la Guerra civile spagnola, primo avvenimento dell’Era moderna dei media, furono molte le persone che misero a rischio la propria vita pur di testimoniare ciò che stava accadendo. Tra loro vi era anche una brillante ventenne, sprezzante del pericolo, conosciuta con il nome d’arte di Gerda Taro.

La nascita di una fotografa

Gerda Taro pubblicava le proprie opere su Regard, Vu e Ce Soir, tre delle più importanti riviste dell’epoca. Quest’ultima fu la prima a pubblicare con il timbro rosso Photo Taro, adottato dalla fotografa a partire dall’agosto del 1936, dopo aver utilizzato per un periodo anche il marchio Capa&Taro. In precedenza, invece, le sue fotografie venivano pubblicate come Robert Capa, il nome d’arte da lei inventato per il compagno e collega André Friedmann. Inizialmente, infatti, la loro collaborazione professionale prevedeva che Andrè fotografasse e Gerda si occupasse del resto. L’esperienza acquisita lavorando per Alliance Photo e il suo carattere estroverso, le permisero infatti di diventare un’ottima venditrice. Inoltre, grazie agli studi intrapresi, era capace di redigere con facilità le didascalie di accompagnamento alle fotografie in tre lingue. Purtroppo anche il suo contributo, come accade troppo spesso a quello delle donne (la Divulgatrice ce ne ha parlato poco tempo fa), cadde presto nell’oblio. La stretta collaborazione e la prematura e improvvisa morte della fotografa certamente influirono, ma anche altri fattori la condannarono a essere dimenticata. Il principale fu sicuramente la mostra organizzata nel 1955 da un ormai famosissimo Robert Capa, in cui vennero esposte fotografie di entrambi sotto l’unico marchio di Magnum Photos. Inoltre, nel 1995 avvenne il ritrovamento di quella che è stata soprannominata valigia messicana. Si trattava di una cassetta di legno suddivisa a scacchiera, in cui furono inseriti centoventisei rullini fotografici appartenenti a Gerda Taro, Robert Capa, David “Chim” Seymour e uno di Fred Stein, tutti deceduti al momento della scoperta. Questa misteriosa vicenda ha inoltre ispirato la scrittura del romanzo Una lunga notte messicana di Isabelle Mayault e la graphic novel Gerda Taro di Sara Vivian. A causa di questi motivi, tuttora non è possibile distinguere con esattezza le foto scattate da Taro rispetto a quelle di Capa. Per recuperare il ricordo del suo lavoro è necessario cercare di comprendere dapprima la persona che stava al di là dell’obiettivo: Gerda Pohorylle.

Copertina di Regards. Fonte: International center of photography.

Gerda Pohorylle: la donna

Gerda Pohorylle, nome di battesimo di Gerda Taro, è stata una donna entusiasta della vita, intelligente e con un grande talento, quello di saper affascinare le persone. La sua personalità e la sua vita possono però essere comprese nella loro totalità solamente contestualizzandole all’interno della macrostoria dell’umanità. La Pequeña Rubia, come veniva soprannominata, nacque a Stoccarda il 1° agosto 1910. Nonostante la sua famiglia si occupasse del commercio di uova, la ragazza riuscì a ricevere un’educazione elitaria grazie al supporto di una zia benestante. Negli anni Venti del Novecento iniziò a diffondersi in Europa un clima di incosciente antisemitismo, contro cui Gerda dovette combattere nel corso degli anni scolastici, essendo di origine polacca e di fede ebraica. Terminati gli studi, nel 1929 si trasferì con la famiglia a Lipsia, dove venne arrestata quattro anni dopo. Questo episodio è stato strumentalizzato nel corso della storia per etichettarla come “convinta e attiva comunista”, attributi che non le appartenevano. Tuttavia, era certamente una donna che credeva nella giustizia e nella libertà assoluta. Si rese conto in breve tempo di quanto l’avvento del nazismo fosse pericoloso e si fece, per questo, testimone consapevole della storia.

Tutto in lei è politico. La sua vita, il suo comportamento, le sue fotografie. Politico nel senso più lato e più giusto, che vuol dire sentirsi immersi nel proprio tempo

F. Maspero, L’ombra di una fotografa, Milano, Archinto, 2007, p. 72

Dopo un periodo vissuto a Lipsia, dunque, nel 1934 decise di cercare fortuna a Parigi. Nella capitale francese non ottenne però il permesso di lavoro e quindi sopravvisse solamente grazie alla rete di amicizie e alla sua poliedricità. Si avvicinò, in quello stesso anno, alla fotografia e inizialmente lo fece soltanto per necessità. La sua carriera ebbe uno sviluppo repentino quando iniziò a lavorare per Alliance Photo e conobbe l’uomo che le avrebbe tolto il nome, Robert Capa.

Two republican soldiers with a soldier on a stretcher, Navacerrada Pass, Segovia front, Spain. Fonte: International center of photography.

Gerda Taro: la fotoreporter

Gerda Taro ebbe il suo primo stipendio fisso lavorando sotto la guida di Maria Eisner, la titolare di Alliance Photo, che le insegnò le competenze tecniche e commerciali per gestire un’agenzia fotografica e le trasmise un’importante educazione estetica. Entrò in contatto con numerosi intellettuali, tanto in ambito lavorativo quanto nel tempo libero, frequentando la borghesia parigina nei numerosi caffè della città. La spensierata e allegra vita cittadina resistette anche allo scoppio della guerra in Spagna. Nonostante risultasse in contrasto con la triste realtà di guerra, in quegli anni Taro oscillò tra l’una e l’altra con estrema facilità. Ciò che le permise di intraprendere con entusiasmo il pericoloso lavoro di fotoreporter era la convinzione di essere protagonista della storia in divenire, e quindi di avere il dovere di documentarla.

Le loro foto servivano come prove, fatti e argomentazioni, dovevano essere chiare e autentiche.

I. Schaber, Gerda Taro, una fotografa spagnola nella guerra civile spagnola, Roma, DeriveApprodi, 2007, p. 123

Gerda Taro e Robert Capa arrivarono in Spagna il 5 agosto 1936, pochi giorni dopo il colpo di stato che diede inizio alla guerra. I due avrebbero voluto essere portatori di speranza, invece si trovarono ad attraversare città distrutte, prima Barcellona e poi Madrid. Decisero quindi di spostarsi verso sud, nei pressi di Cordoba, dove rimasero qualche settimana. In quell’anno sembrava però imminente la scissione del loro sodalizio amoroso e lavorativo. Robert Capa allestì uno studio a Parigi, mentre Gerda Taro rimase a Madrid, dove iniziò a timbrare le foto con il proprio marchio. Nella capitale spagnola la fotoreporter soggiornava presso la Casa de Alianza, scelta come base logistica per riuscire a spostarsi velocemente al fronte e allo stesso tempo mantenere i contatti con intellettuali come Rafael Alberti e Maria Teresa León, in modo da rimanere costantemente aggiornata sugli avvenimenti bellici. Nell’estate del 1937 Capa rimase a Parigi per cercare un committente per l’imminente viaggio in Cina e lo trovò nella nota rivista americana Life, confermando la fama raggiunta da entrambi. Il congresso degli scrittori, tenutosi a Valencia all’inizio di luglio, fu l’ultimo evento a cui Gerda Taro partecipò. Decise infatti di partire, contro ogni raccomandazione, per il fronte di Brunete, dove scattò le sue ultime eccezionali fotografie.

Republican soldiers with guns, and men with their arms raised, Battle of Brunete, Spain. Fonte: International center of photography.

Una donna libera

La necessità di far uscire dall’oblio l’arte di Gerda Taro, non solamente per la qualità del suo lavoro di fotoreporter ma anche per la sua coraggiosa scelta di vivere da donna libera, è di estrema importanza. In questi anni hanno tentato l’impresa Maspero e Schaber nei saggi citati, ma anche l’autrice Helena Janeczek nel suo romanzo vincitore del Premio Strega 2018: La ragazza con la Leica. In copertina una foto di Gerda Taro che fa l’occhiolino, sigaretta in mano ed espressione irriverente, piena di vita come era anche al di là dell’obiettivo.

Illustrazione a cura di Martina Nenna.