Tr3censioni dall’al-di-là: tre libri che travalicano il reale

Tr3censioni dall’Al-di-là: tre libri che travalicano il reale

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Questo mese la Critica d’arte è inarrestabile. Le suggestioni con cui l’imperscrutabilità dell’aldilà affascina gli uomini sono troppe perché si possa pensare di esaurire l’argomento in una sola Tr3censione. 

Perciò, dopo aver parlato di tre serie TV, la Critica d’arte ha deciso di portare in Galleria tre libri che inventano, immaginano e ipotizzano ciò che sta oltre la realtà in cui viviamo:

  • Il settimo giorno di Yu Hua,
  • Silenzio in Emilia di Daniele Benati,
  • Quasi leggera morte. Ottave di Osip Mandel’štam.

Il settimo giorno e Silenzio in Emilia, sebbene siano geograficamente e culturalmente agli antipodi – il primo di un autore cinese, il secondo di uno italiano –, condividono il nucleo più profondo. Entrambi, infatti, provano a immaginare come sono fatte le terre abitate dai morti, e a ipotizzare quanto il ricordo della vita passata influisca sulla nuova condizione dei defunti. 

Quasi leggera morte. Ottave, invece, cerca di indagare ciò che si trova alle nostre spalle, dietro l’angolo della creazione, prima di tutto, nel caos informe dell’increato. Di quel luogo abbiamo visione grazie alle intuizioni suggestive dell’acmeismo, movimento letterario russo che si colloca al di là della poesia simbolista.

Federico ha scelto: Il settimo giorno di Yu Hua

Federico ha scelto: Il settimo giorno di Yu Hua

“Vai,” dico, “le foglie ti chiamano, i sassi ti sorridono e l’acqua del fiume ti saluta. Non ci sono ricchi né poveri, non esiste sofferenza né dolore. Niente vendetta, niente odio… I morti sono tutti uguali.”
“Che posto è?”
“La terra di chi non ha sepoltura.”

Yu Hua, Il settimo giorno, Milano, Feltrinelli Editore, 2017, p. 192.

Nella cultura cinese, nei sette giorni successivi alla morte, lo spirito dei defunti si trova in un limbo che potrà lasciare solo se il cadavere riceverà una degna sepoltura.

In questo limbo si trova anche Yang Fei, protagonista e voce narrante del Settimo giorno di Yu Hua. Dopo la dipartita, viene avvisato di recarsi immediatamente al forno crematorio, ma, come molti altri che l’hanno preceduto, non ha nessuno nel mondo dei vivi che possa acquistargli una tomba.
E così si trova a vagare nella terra di chi non ha sepoltura, popolata da spiriti che col passare del tempo si decompongono.

Nel suo eterno vagare, Yang Fei ha modo di incontrare le persone che hanno fatto parte della sua vita e che sono decedute prima di lui: Li Qing, l’ex moglie morta suicida; Topina, una vicina di casa gettatasi nel vuoto dalla Torre Pengfei; Li Yuezhen, la donna che lo allattò; Yang Jinbiao, l’uomo che gli fece da padre dopo averlo raccolto, neonato, lungo i binari del treno.

L’incontro con queste figure, e in particolare quello con il padre adottivo, costituisce il fulcro della narrazione.
Allo stesso tempo, però, questi incontri sono un pretesto adottato dall’autore per denunciare gli orrori della Cina contemporanea: case demolite senza preavviso, feti gettati nei fiumi come spazzatura, persone disposte a vendere i loro organi per acquistare un iPhone, morti occultate dal governo.

Vita e morte, amore e compassione si aggrovigliano e si sovrappongo in questo breve romanzo, che scava a fondo nelle contraddizioni della Repubblica popolare cinese.

MarMar ha scelto: Silenzio in Emilia di Daniele Benati

Marta ha scelto: Silenzio in Emilia di Daniele Benati

«Prendi nota, Lino. Questo è il Campo del Limite Estremo. Apri il quaderno e descrivi la linea di mezzo. Guardala bene e ti accorgerai che è solo un segno immaginario». 

D. Benati, Silenzio in Emilia, Macerata, Quodlibet, 2009, p. 242.

Silenzio in Emilia di Daniele Benati è una scelta d’obbligo, se si parla di aldilà. Mi è bastato prendere in mano la mia vecchia copia, edita da Quodlibet nel 2009, per ricordarne il motivo. Sul frontespizio, attorno al titolo, avevo appuntato: «l’Emilia di Benati è un luogo metafisico, un altrove, un aldilà. La scrittura diventa un processo di straniamento continuo, la trascrizione puntuale di uno smarrimento».

Silenzio in Emilia, con i suoi undici racconti, risponde a una domanda semplice: come parlano i morti? O meglio, come dialogano con chi è rimasto al di qua della linea che separa la vita dalla morte?

Ci sono personaggi strampalati e situazioni da mitologia popolare: fabbriche che esplodono, partite di calcio tra fantasmi, bocciofile infernali. Ci sono tantissimi riferimenti letterari colti, incastonati nelle profondità dei racconti, che riemergono come tesori inaspettati tra le righe di Benati. C’è molto Dante, nell’erraticità confusa di chi si aggira per le diramazioni sempre deserte della via Emilia. Sta anche, in un certo senso, nella condanna a ripetere azioni che hanno perso senso e a ritornare, con la memoria, a posti e circostanze familiari. Ora, senza ricordarne il motivo.

C’è molta nebbia, in Silenzio in Emilia. Non solo sulle campagne e sugli scenari spettrali, ma anche nella mente dei protagonisti, morti che non sanno di esserlo. I ricordi non sono più affidabili, i nomi e gli affetti si confondono. L’identità, che in vita teneva uniti tutti i pezzi che ci rendono individui, si è squarciata. La memoria, personificata dai personaggi di Benati, arranca in peregrinazioni inutili, muovendosi senza una direzione – sbandando, ritornando indietro, ostinandosi attorno a punti di riferimento fallaci – alla ricerca di un senso ormai svanito per sempre. E noi, lettori affascinati e spettatori impotenti, finiamo per dialogare con i morti. E poco importa se non ci sentono.

Jenny ha scelto: Quasi leggera morte. Ottave di Osip Mandel’štam

Jenny ha scelto: Quasi leggera morte. Ottave di Osip Mandel’štam


2

Amo l’apparizione del tessuto
quando una, due, più volte
manca il fiato e infine arriva
il sospiro che risana

Benessere e tortura nell’attesa
dell’attimo sempre più vicino,
e nei miei borbottii di colpo risuona
l’espansione ad arco.

Novembre 1933

O. Mandel’štam, Quasi leggera morte. Ottave, a cura di S. Vitale, Milano, Adelphi, 2017, p. 37.

Osip Ėmil’evič Mandel’štam fu un poeta russo di origine ebraica che visse nei primi anni del Novecento. Fu tra i fondatori dell’acmeismo, movimento che si affermò principalmente in Russia in contrapposizione alla poesia simbolista. Al contrario di quest’ultima, la poesia acmeista è basata su una trasposizione lineare, concreta e precisa della realtà che racconta.

Quasi leggera morte. Ottave raccoglie undici liriche scritte da Mandel’štam tra il 1933 e il 1935.
Definite dal poeta stesso come dei componimenti sulla conoscenza, indagano il momento in cui la poesia sembra scaturire, e il rivelarsi in modo chiaro dell’inaccessibile. Senza l’uso di evocazioni o simbolismi, Mandel’štam ricorre a metafore mutuate dall’architettura, dalla biologia e dalle scienze naturali, di cui fu attento conoscitore. È una raccolta casuale di suggestioni, che porta il lettore a cercare di orientarsi nel caos creativo poetico.

La genesi di questa raccolta si staglia sullo sfondo delle persecuzioni nei confronti degli ebrei volute da Stalin e dal partito comunista. Agli inizi degli anni Trenta, a seguito della diffusione di un epigramma esplicitamente offensivo nei confronti di Stalin, Mandel’štam fu fortemente ostacolato nella sua espressione poetica. Insieme alla moglie, Nadežda Jakovlevna Mandel’štam, riuscì a ricostruire le liriche distrutte dal regime e a dare luce a Quasi leggera morte. Ottave. L’edizione Adelphi, curata da Serena Vitale, presenta una ricostruzione puntuale della genesi dell’opera ed è completata da un commento critico che permette anche a un neofita di comprendere la lirica di Mandel’štam, iniziando a esplorarne la grande profondità celata dall’apparente semplicità acmeista.

Rielaborazione grafica a cura di Francesca Pisano.