The House: antologia di un archetipo dell’horror

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Il 14 gennaio un piccolo gioiello è comparso su Netflix senza fare troppo scalpore. Si tratta di The House, un film in stop motion del 2022, ideato da Niki Lindroth von BahrJohannes Nyholm, che racconta la “casa” come un elemento tipico del genere horror.

Un’atipica rappresentazione della paura

L’orrore, strisciante e subdolo, permea i tre racconti che compongono questa particolare antologia, che esplora così diversi spazi della casa: quello dedicato alla fiaba di foggia antiquata (cupa, cattiva, senza pietà!), quello ispirato dal moderno racconto dell’orrore (che scaturisce dai nonsense dei tempi moderni) e quello della psiche più paludosa e inafferrabile (mistero che tutti accomuna).

Ogni racconto è un mondo a sé, legato agli altri dal simbolo centrale della casa: non è chiaro se sia una sola o se si tratti di tre diversi edifici. Questa casa, una e trina nelle sue diverse rappresentazioni, ricopre un ruolo importante all’interno di ognuno dei cortometraggi. Non è mai una semplice ambientazione; viene infatti declinata in personaggio, in strumento e in parte nell’esternazione della personalità dei protagonisti, i quali investono nella struttura architettonica che li contiene sentimenti, sogni, progetti… in poche parole: se stessi. La domanda è: sarà una mossa saggia?

La mente è come… una casa

La casa è usata come simbolo dell’inconscio: una gabbia esterna fatta per contenere i personaggi mentre conduce gli spettatori nei meandri della storia, nelle profondità dei suoi attori.

Proprio come la mente delle persone è composta di tante sfaccettature, così ogni scompartimento di quest’opera racchiude un mistero (che coincide con uno dei tre episodi, da immaginare come stanze dalla porta socchiusa).

Nella prima fiaba accompagniamo due bambine nella casa nuova, regalata ai genitori da un misterioso architetto che ha offerto loro un contratto di locazione troppo vantaggioso per esserlo davvero. Il secondo è invece un racconto sul rischio della modernità e del pericolo di perdere se stessi mentre si cerca di compiacere gli altri, pronti a svendersi in un mondo del lavoro composto da parassiti. Nel terzo capitolo, che è un piccolo capolavoro simbolista, la casa è la metafora di un passato ingombrante da superare. Di volta in volta la casa si muta in radici familiari, nel fallimentare tentativo di sradicarle appoggiandosi a un futuro incerto e nel finale trionfo, costituito dalla capacità di riuscire a prendere le distanze dal proprio passato senza abbandonare del tutto le proprie origini. Trovare il modo di portarne qualche frammento con sé nel viaggio della vita è la chiave per risolvere l’enigma.

Chi è il pubblico ideale di The House?

Il lavoro svolto da The House è molto concettuale e, allo stesso tempo, semplice. Alcuni momenti un po’ lenti vengono compensati dall’intensità delle sensazioni suscitate. Eppure è un prodotto visivo capace di veicolare emozioni molto complesse che scalano dall’angoscia alla tenerezza, per poi sfociare nella serenità di un finale in colori pastello che tradisce un principio dalle tinte fosche.

Pur sfruttando le tecniche del racconto dell’orrore, The House rimane un’antologia fiabesca. Il suo retrogusto agrodolce, che non si adatta a tutti i palati, è ideale per chiunque voglia scoprire un prodotto insolito e originale, ma stranamente familiare… Come una fiaba quasi dimenticata.