Non è il precariato che sognavo da bambina: vita da Millennial

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La Critica d’arte ha pensato che non ci fosse miglior libro di cui parlare, nel mese dedicato al sogno, del romanzo d’esordio di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio: Non è questo che sognavo da bambina. Il romanzo tenta infatti di delineare la situazione lavorativa e sociale in cui si trova a vivere la generazione dei Millennial. Il consiglio di lettura le è arrivato ovviamente dallo Stagista, che si sente ampiamente rappresentato e perfettamente descritto dalle autrici, che raccontano i sogni infranti della loro generazione attraverso le vicissitudini quotidiane di Ida. La protagonista del romanzo, alle prese con uno stage in un’agenzia di comunicazione di Milano, è infatti l’emblema della Millennial: neolaureata, coinquilina, fuorisede e precaria.

Ispirandosi agli episodi raccontati dalle autrici, la Critica d’arte vuole fare una sintesi della situazione lavorativa della maggior parte dei ventenni e trentenni di oggi.

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti davvero accaduti è puramente reale.

S. Canfailla, J. Di Virgilio, Non è questo che sognavo da bambina, Milano, Garzanti, 2021.

Il precariato

Il ruolo ricoperto da Ida all’interno dell’agenzia Meeto è quello della stagista. Figura molto nota soprattutto a chi ha intrapreso studi universitari, ed equivalente a quella di tirocinante o di apprendista in certi settori. Lo scopo, in tutti e tre i casi, dovrebbe essere quello di imparare a svolgere una determinata attività lavorativa, tramite l’affiancamento di un tutor e lo svolgimento di un percorso di formazione teorica. Nella realtà dei fatti, però, si tratta invece dell’affidamento di svariate mansioni che nessuno è disposto a prendersi in carico, e della carenza o totale mancanza della formazione di cui si dovrebbe beneficiare. Il tirocinio, lo stage, l’apprendistato si traducono dunque in lavoro gratuito o sottopagato, in cui si diventa una figura ibrida che si occupa di tutto e di niente.

[Ida] aveva continuato a sorridere anche quando lui le aveva spiegato quale sarebbe stata di preciso la sua figura professionale: community manager, ma anche content creator e social media manager. All’occorrenza, copywriter e ufficio stampa.

Ivi.

Il rapporto annuale di Almalaurea indica che, delle persone laureatesi tra il 2010 e il 2015, cioè di coloro che attualmente hanno tra i trenta e i trentacinque anni, solo un terzo definisce come proficuo il proprio percorso di studi, mentre i restanti due terzi lo ritengono inutile o per niente efficace. Ciò porta a riconsiderare la percentuale di occupazione a un anno dalla laurea, pari, secondo i dati, all’ottanta per cento. La maggior parte dei Millennial ha quindi un lavoro, ma in campi lavorativi estranei al proprio percorso di studi, spesso con contratti a tempo determinato o di apprendistato. Possiamo dunque ritenere tale percentuale gratificante? Inoltre, è necessario considerare anche il fattore stipendi: in Europa, quelli italiani sono i più bassi degli ultimi trentanni.

I dati certificano quindi una situazione allarmante: si studia di più, ma si guadagna meno e si svolge un lavoro diverso da quello per cui si è studiato.

La fuga di cervelli

Ho messo in standby la mia vita per cercare in un altro paese qualcosa di cui ignoro l’esistenza.

Ivi.

Queste sono le parole che Gio, confidente di Ida, le scrive durante un loro scambio di e-mail. L’escamotage narrativo scelto dalle autrici consente loro di far raccontare a Ida, in prima persona, alcuni momenti della sua vita. Il linguaggio è semplice e i sentimenti si percepiscono vivi e senza censure, perfettamente in linea con il tono del romanzo. Anche la testimonianza di Gio è importante, perché grazie a lei è possibile comprendere il punto di vista di connazionali trasferitisi nella metropoli inglese per lavoro.

Le ho chiesto se è felice e lei mi ha risposto che è meglio fare la lavapiatti a Londra che la stagista sottopagata in Italia. Ha detto che i suoi compagni di università si accontentano… “Io una vita così non la voglio”.

Ivi.

Secondo i dati del rapporto annuale Istat, dal 2008 al 2020, 355.000 giovani tra i venticinque e i trentaquattro anni – circa il sei per cento del totale – si sono trasferiti all’estero, la maggior parte dei quali con un basso livello di istruzione o, al contrario, con un alto livello di specializzazione. La conferma di ciò la si trova semplicemente pensando a quante persone, nella cerchia dei propri conoscenti, hanno intrapreso questo percorso senza mai tornare sui loro passi.
Ci sono inoltre due persone indimenticabili che, come raccontano i genitori, per inseguire i propri sogni sono state costrette a trasferirsi all’estero perché in Italia non hanno trovato ciò che cercavano. Due giovani straordinari che è necessario ricordare perché le loro scelte rappresentano il coraggio di una generazione intera: Valeria Solesin e Giulio Regeni.

Il linguaggio

“Lei invece è la nostra Jasmine”, la voce di Gigi sterza, assumendo una nota più tenera, quasi paterna. L’associazione è automatica e fulminea: anche Jasmine, proprio come lei, è la nostra.

Ivi.

Le autrici ritengono importante inserire all’interno del romanzo piccole perle in difesa della lingua italiana, ed esempi dell’uso improprio che ne viene fatto anche sul posto di lavoro. Questo fattore, all’apparenza irrilevante, contribuisce a diffondere, quasi in maniera impercettibile, un’idea arcaicamente patriarcale della società, ed è una delle cause del divario occupazionale tra uomini e donne. Le nuove generazioni cercano di combattere l’uso improprio che viene fatto della lingua e i pregiudizi che ne conseguono, come ci dimostra Ida nello spiegare come rifletta bene sulle parole che usa, anche in un momento di sfogo.

Troia è escluso perché non userò la sua sessualità come un insulto, non ora che ho iniziato a fare tutto bene, che ho comprato la coppetta, che quando dico “retaggio del patriarcato” non lo dico come presa per il culo, che ho imparato a riconoscere il mansplaining… Non cadrò nella vecchia trappola dell’insulto sessista. Non è la dimostrazione che l’amicizia tra donne non esiste.

Ivi.

Il futuro

Un lavoro. Forse è questo che significa diventare adulti. Ti siedi qui, lo accetti. Non farai quello che avresti voluto fare, non sarai quello che avresti voluto essere. Ma sarai qualcuno. Mi chiedo se sia quello il momento in cui si dovrebbe capire di avere fallito.

Ivi.

Quale dovrebbe dunque essere la scelta per la generazione dei Millennial? Accontentarsi di un lavoro fisso, anche se non rispecchia i sogni, le aspettative e tantomeno il percorso di studi?

Questa generazione è quella a cui viene detto che il precariato ha anche i suoi vantaggi, come ad esempio il fatto che permette di acquisire competenze in diversi campi e di non avere una vita monotona, provando svariate attività lavorative. Non fosse che, proprio per questo “lato positivo”, quella dei Millennial è anche considerata una generazione esigente, definita più comunemente con il termine inglese choosy. I Millennial infatti sono così “esigenti” che, per la maggior parte delle volte, si accontentano di un lavoro inferiore alle proprie aspettative, ma spesso meglio retribuito.

È vero non è questo che sognavo da bambina, ma ti dirò una cosa: è questo quello che voglio da adulta. Io la voglio la carta igienica quattro veli. Me la merito!

Ivi.

Illustrazione a cura di Sabrina Poderi.