Maniac: racconto originale e sensibile del dramma della malattia mentale

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Il tema della mostra di questo mese, Recessi della mente, è particolarmente delicato. La Critica d’arte ha quindi cercato un’opera che potesse raccontarne la complessità e le dinamiche senza cadere nel pregiudizio o nella semplificazione. Ha scelto Maniac, la miniserie Netflix che ha saputo regalare agli spettatori un delicato racconto, dalle sfumature fantascientifiche, delle vicende di due personaggi ai margini. Attraverso strane rievocazioni e grazie a un legame indissolubile, i due protagonisti, insieme agli spettatori, impareranno a fare pace con loro stessi.

Una miniserie particolare

Maniac è una miniserie Netflix composta da dieci episodi, uscita nel 2018. Tre anni fa aveva suscitato molto interesse perché vedeva tra i protagonisti la quotatissima Emma Stone nei panni della giovane disturbata Annie Landsberg. Diretta e scritta (insieme a Paul Sommerville) da Cary Fukunaga, già noto per essere stato autore del primo True Detective, Maniac si è rivelata un ambizioso tentativo di rappresentare i recessi più nascosti della mente umana.

Con un pretesto narrativo tra fantascienza e fantasy, Maniac esplora le vite e le menti della già citata Annie Landsberg e di Owen Milgrim (Johan Hill). Annie ha subito un forte trauma emotivo che l’ha portata alla depressione e alla dipendenza; deve superare la tragica morte della sorella per riprendere in mano la propria vita. Owen è uno schizofrenico, cresciuto in un contesto familiare negativo in cui i parenti l’hanno sempre messo in secondo piano e sminuito davanti a fratelli. La patologia l’ha convinto di essere l’unico a saper interpetare certi segnali che lo porteranno salvare il mondo dalla sua apparente fine.

La gabbia mentale in cui i due si trovano li porta tra le braccia della Neberdine Pharmaceutical and Biotech. La casa farmaceutica sta sperimentando una nuova cura che, quasi messianicamente, promette di risolvere qualsiasi disagio mentale. Owen vuole solo allontanarsi dalla sua famiglia e questa sperimentazione gli permetterebbe di sparire per un tempo sufficientemente lungo. Annie invece, nel tentativo di soffocare i propri demoni interiori, è diventata dipendente da un’altra pillola della Neberdine Pharmaceutical and Biotech e partecipa alla sperimentazione nell’intento di ottenerne di più. Annie e Owen sono diversi tra loro, quasi opposti, ma si troveranno ben presto inesorabilmente legati.

Maniac: storia di un legame

In una New York diversa da quella che conosciamo, con meno grattacieli e un’atmosfera decadente da film di fantascienza anni Ottanta, si muovono le vicende di Maniac e dei due giovani protagonisti.

Owen è un ragazzo silenzioso, dimesso ed estremamente fragile. Quello che cerca è l’accettazione e la comprensione della sua complessa natura da parte della sua famiglia. La sua personalità è trasmessa anche dal suo aspetto: grigio e malinconico. Grazie a un’interpretazione magistrale di Johan Hill, Owen è un personaggio per cui risulta difficile non provare empatia.

Annie è esattamente l’opposto: dinamica, manipolatrice e incapace di ammettere i suoi limiti. Grazie a una chioma platino e agli occhi azzurri di Emma Stone, l’aggressività di questo personaggio viene però mitigata: anche lei è fragile e sprofonda sempre più nel suo abisso privato.

La sperimentazione di questo nuovo farmaco intreccia i destini di Annie e Owen. Prima vengono entrambi sottoposti a un colloquio conoscitivo che sembra quasi un interrogatorio, poi vengono introdotti nel laboratorio dove vivranno – quasi internati – per tutta la durata dell’esperimento. È un luogo asettico, bianco e giallo: ospita i loculi in cui dormiranno e la zona comune a cui saranno relegati. Completa la struttura un’ulteriore stanza dalle pareti grigie con delle comode poltrone a semicerchio, dove Annie, Owen e gli altri partecipanti saranno costretti a stare, giorno dopo giorno. Quello che la sperimentazione promette è che, tramite l’assunzione di pillole, i pazienti possano rivivere in modo alternativo le esperienze più traumatiche per superarle. Ma al primo tentativo qualcosa va storto e Annie e Owen si ritrovano invischiati nella stessa realtà alternativa.

Una struttura ricorsiva per un’interpretazione a matriosca

La struttura di Maniac è ricorsiva. Nei dieci episodi, che non superano mai i quarantacinque minuti, vediamo Annie e Owen alle prese con scenari sempre diversi e irrealistici: da ambientazioni fantasy si passa a quelle poliziesche. Ognuna di esse racchiude in sé un immaginario cinematografico autonomo rispetto alla cornice narrativa della serie. In questi scenari riproposti, Owen e Annie rivivono di continuo le loro esperienze più traumatiche. Le diverse ambientazioni permetteranno loro (e agli spettatori) di cogliere sottili sfumature, sorprendenti quanto dolorose, dei meccanismi che la mente umana attua per proteggersi.

Ogni episodio ripropone quindi lo stesso pretesto narrativo ma regala una visione differente. Nonostante la struttura e la narrazione siano ricorsive, l’interpretazione degli eventi è a matriosca. La sperimentazione è il primo strato, la proiezione dei traumi in realtà alternative è il secondo, la comprensione del trauma grazie alla realtà alternativa è il terzo.

Gli scenari evocati di volta in volta sono potenti e coinvolgenti e racchiudono in sé omaggi e citazioni alle opere cinematografiche più importanti. Ognuna di esse è quasi un mondo onirico in cui la mente umana può galleggiare, libera di esprimere le connessioni tra i pensieri, gli eventi e le emozioni. Scenario dopo scenario, viene rivelata con grande delicatezza la fragilità dei due protagonisti. Non è rivelata solo allo spettatore, ma soprattutto a Owen e Annie, che, rievocando i loro traumi passati, insieme imparano a conoscere loro stessi e l’altro, e a capire come andare avanti in quella vita ormai bloccata.

Perché guardarla (anche dopo tre anni dall’uscita)

Episodio dopo episodio i recessi della mente umana sono qui messi a nudo. Il punto di forza di Maniac è che tratta questi temi senza mai giudicare. Infatti, il racconto è portato avanti con molta sensibilità ed empatia. La serie vuole restituire una visione cinematografica dei meccanismi della mente che possono scattare in ognuno di noi.

Grazie all’incredibile interpretazione di Emma Stone e Johan Hill, a una fotografia curata e una sceneggiatura ben scritta, Maniac è un interessante tentativo di rendere visibile ciò che di solito non lo è. Sebbene in alcuni momenti l’esplorazione della mente risulti quasi esasperata dalla ripetitività voluta delle vicende, lo spettatore è ripagato dalla narrazione commovente e non stucchevole che converge in un finale catartico.

Maniac racchiude in sé un racconto bello, empatico e sensibile di un aspetto umano spesso stigmatizzato. Non è perfetta: in alcuni momenti le realtà alternative costruite diventano un po’ noiose, soprattutto dopo che lo spettatore si è abituato al finale a cui si arriva episodio dopo episodio. Tuttavia, Maniac permette comunque di godere di uno scenario originale, che mette insieme generi narrativi diversi, difficilmente visibili in una stessa opera. Grazie a elementi narrativi fantastici, irreali e anche assurdi, la rappresentazione della mente e delle emozioni umane diventa concreta agli occhi dello spettatore in modo commovente e quasi doloroso.

Illustrazione a cura di Noemi D’Atri.