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La verità sugli abissi del nostro io: Kraken, la recensione

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«Io lo odio, il mare».

E. Pagani e B. Cannucciari, Kraken, Latina, Tunué, 2017, p. 9.

Giuro, non sono parole mie. O almeno non lo sono quelle che dopo poche pagine introduttive vengono pronunciate dal signor Dougarry, uno che di rimpianti e treni persi della vita sembrerebbe essere un professionista navigato. E, lo so cosa state pensando, non è che abbia scelto di recensire Kraken perché il protagonista, o presunto tale, odi il mare e rimpianga qualcosa del proprio passato o forse, ancor più correttamente, della propria condizione attuale. Come se il pretesto scelto per potersi liberamente crogiolare nella propria insoddisfazione facesse poi tutta questa differenza.

È che quando ho scoperto che il tema del mese sarebbe stato il mare ho fatto una certa fatica a immaginarmi davanti alla tastiera, in una sera d’estate, a scrivere di ciò che, tutto sommato da ormai diversi anni, non mi interessa come prima. Non so quand’è che di preciso questa sensazione si sia impossessata di me. Già da tempo sento, però, di poter concludere quanto “mare” sia per me sinonimo di una certa irrequietezza

Che cos’è il mare? 

Vi risparmio la parte noiosa del mio carattere in cui avrei elencato il fatto che odio il caldo, lo stare senza far niente sulla spiaggia, il traffico per arrivare, le difficoltà per trovare parcheggio, come se non bastasse il dover cercare posto sulla spiaggia libera, il rendermi conto che è tutta occupata e sborsare cifre esorbitanti per un lettino e un ombrellone. Che poi io manco ci volevo venire al mare ma mi hanno costretto perché che fai, sei giovane e non vai al mare, ma che problemi hai, ma che problemi avete voi? – mi chiedo. Ma comunque.

Se lasciassi da parte il mio lato pedante che contribuisce per la maggior parte al mio personalissimo charme, quello più riflessivo suggerirebbe che il mare – tema del mese e della recensione di un fumetto a cui non ho neanche minimamente accennato in questa introduzione, direi bene al mio esordio su Galleria Millon – incarni la quintessenza della spensieratezza. Capace, in quanto tale, di attrarre l’animo umano di un disilluso come il sottoscritto e, mi sento di dire con una certa sicurezza, il signor Dougarry. Il mare è tutto ciò che ci lega al brodo primordiale dei nostri sentimenti, emozioni di un’altra vita che cerchiamo disperatamente di rivivere ma che non ci rendiamo conto che non saranno mai come prima. Il mare è sempre lì, con la sua incantevole bellezza e la terrificante malinconia, ma a essere cambiati siamo noi. Il tempo è passato, e non è più come una volta. Anche se non lo ammetteremo mai a noi stessi.

Il modo in cui ho visto, e letto, Kraken

Avrete capito, arrivati a questo punto, di quanto sia una persona piuttosto disordinata e avvezza all’esistenzialismo. Ma la verità è che leggere Kraken pensando a una semplice storia sulla leggenda di un mostro marino dimenticato dagli uomini sarebbe ingiusto. Non rappresenterebbe il corretto punto di vista del soggetto e sceneggiatura di Emiliano Pagani, e dei disegni, colori e lettering di Bruno Cannucciari. Ho anche pensato molto a come approcciarmi in maniera più o meno imparziale a quello che sin da quando ho potuto tenere tra le mie mani (non sono uno di quei mostri che preferisce leggere in digitale, tranquilli) ho reputato un gran fumetto, soprattutto cercando di dare un senso a quanto avrei poi scritto. Operazione magari già compromessa, ma tant’è. 

Mi sono comunque risposto che ciò che ha reso Kraken unico, per me, era stato il mio modo di vederlo. Giusto o sbagliato che sia, ho pensato che a essere condiviso sarebbe dovuto essere quello. 

Kraken, la trama 

Dicevo, prima, del signor Dougarry, uno a cui ho voluto un gran bene sin dalle prime pagine. Per lui il mare rappresenta quello che c’era prima e adesso non c’è più, e quanto sia difficile accettarlo. Un tempo volto della televisione e di alcuni documentari sui misteri irrisolti e più affascinanti, Dougarry vive in un appartamento ammobiliato a mo’ di piccolo museo, per la verità più simbolico mausoleo, della sua carriera passata, perso tra i traguardi di una vita che è ormai volata via

Alla sua porta, un giorno come un altro, bussa un ragazzino, un tipetto un po’ strano. Questi è un suo ammiratore, specialmente per la puntata dedicata al gigantesco cefalopode generalmente somigliante ora a una piovra, ora a un calamaro: il Kraken, per l’appunto. L’intreccio è presto spiegato: Damien, questo il nome dell’altro volto della graphic novel, è l’unico superstite di un incidente in mare. Suo fratello maggiore e i membri dell’equipaggio che si trovavano a bordo del peschereccio su cui stavano navigando sono morti, pur essendo marinai esperti. Lui, alle prime armi, è invece sopravvissuto. E qui, tra un bicchiere bevuto a orari proibiti e l’ennesima sigaretta di giornata, inizia il viaggio in un mondo fatto di pregiudizi e colpi di scena che risponde al nome di Kraken. 

Radici, pregiudizi e colpi di scena

Ho avuto la fortuna di crescere in città e, non vorrei sembrare eccessivamente borioso – vabbè dai, lo sembrerò per forza e non credo di poter rimediare in qualche modo stavolta –, ma ho potuto presto notare la differenza con il vivere fuori, in paesi più piccoli. I discorsi da fare sarebbero veramente tanti, e francamente non ci porterebbero da nessuna parte. Insomma, già credo di essermi dilungato abbastanza sul mio rapporto con il mare, se dovessi sparare le mie cartucce anche su questo finirei troppo presto i miei pezzi forti, o no? Fatto sta che Selalgues, il paesino sulla costa settentrionale della Francia in cui il signor Dougarry approda, non è soltanto un piccolo centro cittadino che vive di commercio ittico che crede ancora in rituali pagani per ingraziarsi le divinità del pescato. Ai fini dell’intreccio è certamente così, ma è anche molto di più. 

Selalgues è il pregiudizio, è una società che punta il dito contro soltanto per il fatto di essere diverso. È quell’insieme di sensazioni e atteggiamenti che ti fanno costantemente sentire fuori posto. Sentimenti che iniziano a farti pensare giorno dopo giorno che lo sia per davvero, se mai non ne avessi avuto tu stesso il sospetto. Viviamo in un’epoca in cui la disperata ricerca dell’approvazione altrui ci porta in maniera del tutto naturale a esaltare il nostro legame con la comunità, in una spersonalizzazione costante del proprio io che lascia progressivamente spazio a un’affermazione certamente più comoda e condivisibile, ai tempi dei social network è forse il caso di dirlo, della collettività. 

Fare quello che fanno gli altri è sempre stato più semplice, credere in ciò che ci viene detto e a nostra volta diffonderlo, come un Verbo, è quanto esattamente accade a Selalgues. E sui social – citati non a caso dal parigino Dougarry, in contrasto con le logiche chiuse e scontrose della piccola comunità – lo è ancora di più: è garanzia di like.

La città dove sei nato diventa “la mia terra”, la tua fuga da lì in cerca di un futuro migliore viene spacciata per nostalgia canaglia, l’essere legati emotivamente a dei luoghi una questione di appartenenza quasi ontologica. La perdita dei legami umani e sentimentali in favore di un legame territoriale può essere pericolosa. Non fraintendete: tutti abbiamo e meritiamo un luogo del cuore in cui amare tornare, nessuno dovrebbe però esserne vittima

«Le radici ti tengono inchiodato a terra» (ivi, p. 60) dirà Janet, la fidanzata del fratello di Damien, tragicamente scomparso nell’incidente sul peschereccio, a un certo punto della storia. «E l’unico modo per salvarsi è andare via» (ivi, p. 67) aggiungerà poi, qualche tavola più tardi. Damien è vittima degli eventi, certamente dei pregiudizi tra cui è cresciuto, ma innanzitutto delle persone e di ciò in cui ostinatamente credono. E l’unica soluzione percorribile, per l’appunto, è andare via

Ma Damien non è d’accordo. È appena un ragazzo, la vita lo ha privato dei suoi legami familiari e probabilmente anche della ragione, nonostante la giovane età. Ma non ha rinunciato a vivere come il signor Dougarry, che in quel paesino dimenticato da Dio ci è fondamentalmente finito per dei soldi promessigli. Il giovane vuole trovare chi ha fatto tutto questo, la causa del suo dolore e di quello della madre. Damien vuole disperatamente trovare il Kraken, da lui ritenuto il responsabile dell’incidente in cui è morto suo fratello e suo padre prima di lui, e ucciderlo. Perché forse è inevitabile sentirsi parte di un qualcosa di più grande del semplice io. Una famiglia, una città, un’idea per cui lottare rappresentano davvero dei demoni da esorcizzare? Fuggire, in fondo, non può essere sempre una soluzione.

Vogliamo davvero scoprire la verità?

Ma allora, con il sospetto che possa esistere per davvero, che cos’è il Kraken? È certamente il senso dell’ineluttabile, la rappresentazione mostruosa e tentacolare dell’avidità dell’uomo. Capace, come tale, di adeguarsi ai tempi. A un certo punto della storia, nel corso della sua disperata ricerca, assumerà le forme di una macchina senz’anima in un enorme bacino di pesca, causa evidente dei mancati raccolti dei pescatori di Selalgues. Ma questi continueranno invece a preferire il riversare le proprie insicurezze nelle leggende che, di generazione in generazione, vengono tramandate tra gli uomini del villaggio. Questi, non a caso, incapaci di trovare una spiegazione alla carestia dei mari, punteranno il dito contro colui che ha avuto come unica colpa quella di sopravvivere al disastro da cui tutto è iniziato. Credere che la soluzione possa essere quella evidente e al tempo stesso più logica, e non quella che ci viene chimericamente raccontata, è un atto più audace di quanto possa sembrare in apparenza. 

Dal punto di vista tecnico, devo ammettere che il lavoro di Cannucciari è stato profondamente immersivo. I colori appena accennati tra il grigio e il verde acqua, così come le tonalità plumbee, hanno impregnato la storia delle stesse emozioni e sfumature che segnano la vita di Selalgues. Rendono il lettore partecipe e complice delle dinamiche che vengono raccontate. Impossibile, in questo senso, non apprezzare il lavoro del carboncino nelle pagine rivelatrici della storia e che crediamo essere immutabili, ma rappresentano, in realtà, l’ennesimo esame a cui sottoponiamo noi stessi e i protagonisti del fumetto. 

Ho pensato a lungo sul perché il mare potesse essere per Dougarry un luogo da repellere. In un certo senso, assieme al Kraken ha rappresentato l’arenarsi della sua carriera. Ha preso le forme del giudizio, al passo con i tempi ma umanamente sterile, di una vita giudicabile esclusivamente in base ai propri successi e traguardi professionali. Il mare di Selalgues è allora un’occasione per riscoprirsi, dove la propria supponenza soffre le convinzioni degli altri.

«Perchè in fondo, se credi a qualcosa, allora esiste veramente» (ivi, p. 68): dove può arrivare l’essere umano pur di vedere soddisfatto il suo bisogno più recondito di risposte e quanto è disposto a soffrire pur di ottenerle? 

Kraken capovolge le convinzioni di ognuno di noi. E sa che ogni bella storia ha sempre il suo colpo di scena finale. Ma ogni convinzione che cade ha il suo prezzo. Il mare ti porta al largo, ti offre le risposte. Siamo davvero sicuri di volerle scoprire?

Kraken, una graphic novel di Emiliano Pagani e Bruno Cannucciari. Latina, Tunué, 2017.

Illustrazione a cura di Caterina Cornale.