Il ruolo della periferia nel Bildungsroman di Hanif Kureishi

Il ruolo della periferia nel Bildungsroman di Hanif Kureishi

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Sono tanti gli elementi da giudicare in un’opera, ma bisogna riconoscere che sono pochi i libri con personaggi piatti, che riescono a sopravvivere ai decenni. 

Alle figure nei romanzi viene conferito il compito più delicato: colpire al cuore il lettore, farlo identificare con loro, assumere uno spessore per non rimanere mere figure di carta. 

Esistono casi in cui il personaggio riesce a liberarsi della dimensione immaginaria grazie a un elemento di scena che gli conferisce solidità e calore. A tal proposito, come non citare il noto caso del vestito verde di Espiazione, scritto da Ian McEwan, che viene trattato dall’autore alla stregua di un personaggio.

Un effetto simile si trova nel romanzo di formazione di Hanif Kureishi, Il Budda delle periferie. L’autore non si serve di un “oggetto-totem”, invece, anima un luogo: i sobborghi della città vengono dotati di un cuore che pulsa a ritmo di musica punk, stile emergente, grezzo e aggressivo come la gioventù che percorre le vene del loro caotico corpo di cemento. Una gioventù che emerge dalle pagine, cammina e respira, più concreta che mai, muovendosi in un ambiente che non si limita a fare da sfondo, ma agisce, anche da antagonista.

Il volto del “dove”

Londra, anni Settanta. Poche ma significative coordinate che bastano da sole a definire un’atmosfera, un mood, un mondo a parte che costituisce lo scenario perfetto per la storia che Kureishi vuole raccontarci nel Budda delle periferie.

Il nostro autore

Hanif Kureishi, inglese, nato nel 1954, è uno di quei narratori versatili che riescono a declinare il prodotto della propria penna secondo le regole di stili e mezzi differenti. Grazie a questa sua abilità, Kureishi, oltre a essere un romanziere prolifico e instancabile, è anche sceneggiatore e drammaturgo. Il Budda delle periferie è la sua opera più rappresentativa, e forse conosciuta, soprattutto perché si immerge a fondo in un aspetto della sua vita personale: la via di mezzo.

Spiegare cosa significa non sapere che direzione prendere e sentirsi diviso in due è il grande scopo dell’opera di Kureishi. Lo scrittore mette spesso in scena personaggi alle prese con emozioni ed esperienze che li dividono tra due realtà, condizione che lui in prima persona conosce bene, essendo figlio di padre pakistano e madre inglese.

Il ruolo dell’elemento “periferia”

Il protagonista del Budda delle periferie si chiama Karim e vive esattamente questa situazione di laceramento interiore, dovuta allo squilibrio tra la propria percezione di sé e la percezione che di lui hanno le persone che lo circondano, ovvero i concittadini inglesi, che non lo accettano come tale, sebbene il ragazzo condivida con loro nazionalità, lingua madre ed educazione. Kureishi rende ancora più complessa la condizione di Karim, caratterizzandolo come un adolescente bisessuale confuso, che abita in una zona periferica della città. Il protagonista pare condannato a trovarsi sempre nel mezzo, in tutti gli aspetti più importanti della sua vita.

Ora che tutti gli elementi che ci servono sono stati introdotti, possiamo iniziare a parlare della vera protagonista del nostro articolo, che non è Karim, e neppure il suo creatore, bensì la periferia.

Proprio così: “Madama Periferia”, colei che in questo romanzo non si limita a essere un luogo o una condizione, ma assurge al ruolo di personaggio. E non di uno qualsiasi. 

La periferia è ciò che Karim deve attraversare, sconfiggere e lasciarsi alle spalle per diventare finalmente la versione completa di sé. È da essa che parte il percorso irto di ostacoli che mette Karim a dura prova mentre attraversa la “selva oscura” della propria adolescenza nei sobborghi. Il ragazzo parte alla scoperta di sé, attraversa peculiari esperienze e incontri, e, infine, gli è permesso di arrivare a conoscere sé stesso e superare i propri limiti. 

La periferia, ma soprattutto il bisogno di fuggire da essa, rendono la storia di Karim come un moderno viaggio dell’eroe accompagnato da una colonna sonora a tinte punk

L’importanza della musica e dell’arte nelle periferie

I riferimenti musicali costellano le pagine del libro e sottolineano le scene più intense, marcano l’epoca e segnano le menti del lettore e dei personaggi.

La musica in particolare ha un forte impatto sugli adolescenti del romanzo, che attraverso essa sperimentano la propria evoluzione sessuale, espressiva e psicologica. Le ambizioni teatrali di Karim acquisiscono un peso sempre maggiore con il proseguire della storia, ma la musica preme prepotentemente per uscire da ogni pagina del libro, dall’inizio alla fine, permeando le scene come se si stesse effettivamente accompagnando la lettura con un disco. 

È bene sottolineare che non stiamo parlando di musica in termini generali: si parla di un sound specifico, che viene associato alla vita vissuta ai margini: suoni ruvidi e voci roche, batterie esplosive e testi ammalianti. Il lettore non sarebbe in errore nell’immaginare un camaleontico David Bowie, nella sua personale rappresentazione di una Londra anni Settanta. Infatti, il performer di Ziggy Stardust venne scelto personalmente da Kureishi per scrivere la colonna sonora del film omonimo tratto dal libro. Bowie incarna la personificazione di quel mood che si desiderava evocare fin dal primo momento, ma i nomi citati nel romanzo sono molti: Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd, Soft Machine, Frank Zappa e altri ancora.

L’importanza della musica è racchiusa nella valvola di sfogo che essa rappresenta per i giovani protagonisti che, vivendo nelle zone limitrofe della città dove la presenza dell’industria e la mancanza di svaghi si fanno opprimenti, necessitano di un elemento di espressione. È qui che i cantanti rock riempiono gli spazi con le sonorità tronche e irregolari del loro genere, colorano la creatività dei ragazzi che si sentono intrappolati in un mondo che non sentono alla loro altezza e si sorprendono a sognare una via di fuga. La musica di periferia è in queste strade, questi colori e questi sogni che prendono forma attraverso i suoni, il trucco, i vestiti e le ruvide parole delle canzoni che accompagnano i momenti catartici della vita di Karim e dei suoi amici.

Il calderone periferico

Nella periferia londinese di quei tempi si facevano ancora più pressanti che altrove le differenze culturali, i pregiudizi e la mancanza di prospettive. Kureishi sottolinea il senso di alienazione vissuto da Karim che, a causa delle sue origini, fatica a trovare il suo posto e il suo equilibrio nell’Inghilterra anni Settanta, in cui una doppia eredità culturale è fonte di imbarazzo invece che di vanto, dove essere per metà pakistano è una caratteristica risibile. Questo sentimento, fortemente radicato nell’autore stesso, viene enfatizzato dall’ambiente circostante che è disinibito, ben lontano dagli ipocriti perbenismi delle classi alte e, proprio per questo, sfocia spesso in violenza razziale.

Il razzismo non è un problema esclusivo dei sobborghi. Karim subirà gravi discriminazioni anche una volta approdato nel mondo del teatro in polo cittadino. La periferia che lo circonda è semplicemente più esplicita nel dare a Karim motivi di frustrazione, come per incastrarlo in un ruolo ben definito e facile da comprendere: quello dell’immigrato che vive la sua vita da – appunto – immigrato marginalizzato. Si tratta esattamente della parte che Karim non può e non vuole recitare, e per renderlo ancor più chiaro, informa il lettore fin dalla prima pagina che lui è un inglese fatto e finito, per un semplice inoppugnabile motivo: in Inghilterra ci è nato.

Tuttavia, il caotico mondo dei suburbia è ricco e stimolante. È qui, dove le culture si mescolano, che la creatività trova uno sbocco vivace. Quest’ultima affermazione coincide con una personale e profonda convinzione di Kureishi: nella periferia nascono gli stimoli giusti per creare nuove soluzioni, siano queste artistiche o politiche. Karim non potrebbe fare le stesse esperienze, o conoscere persone altrettanto stimolanti, da nessun’altra parte. È qui, in questa varietà tumultuosa impegnata a incontrarsi, scontrarsi e rimescolarsi, che Karim può sperimentare, confrontarsi con le sue origini e imparare a decidere per sé. Anche a costo di imbattersi in alcune difficoltà e di fare sacrifici. 

Il percorso inevitabile

Le vie di mezzo sono affascinanti e misteriose; tutt’altro che nette e definite, nascondono segreti e promettono avventure. È per questo che albe e tramonti sono notoriamente i momenti più magici della giornata. Lo stesso vale per l’ambientazione delle storie: luoghi pericolosi ed epoche di transizione costituiscono i migliori scenari per un racconto. La periferia è un luogo di mezzo, meticcio, confuso, conturbante e psichedelico che, tuttavia, per sua natura, non può essere una condizione definitiva. Kureishi, infatti, sceglie i sobborghi come luogo metaforico della transizione di Karim.

Il romanzo si divide in due parti principali che riuniscono gli avvenimenti della vita del protagonista attorno a due poli: la periferia e la città. Ovunque Karim si muova, qualsiasi percorso scelga, nella sua mente la direzione è una sola e deve portarlo dai margini del mondo al suo centro. Il desiderio di diventare un attore famoso non è altro che il riflesso di questo chiodo fisso che definisce la sua personalità e guida le sue scelte come l’ago di una bussola, da un non-luogo all’ombelico del mondo. 

Kureishi mette bene in chiaro che la periferia non può essere altro che un punto di partenza, un posto da lasciare il prima possibile. Eppure, la inserisce nel titolo del romanzo: questa scelta è cruciale. Bisogna specificare inoltre che il Budda del titolo non è Karim, bensì suo padre, che s’improvvisa guru spirituale per i ricchi londinesi, suscitando il disappunto del figlio.

Haroon – il padre di Karim – e le periferie sono i punti di partenza del ragazzo; sono imprescindibili, lo hanno formato e faranno sempre parte di lui, nel bene o nel male. Sebbene Karim punti al centro della città, a diventare qualcosa di meglio che il semplice specchio delle proprie origini, non può scappare dalle sue radici. Nessuno può. Per quanto i sogni possano rappresentare un obiettivo da raggiungere nella vita, non sono importanti quanto la periferia, che simboleggia la sua origine.

Il punto in cui inizia il proprio viaggio alla scoperta del mondo, coincide con la verità sulla propria essenza. È buffo che, per trovarla e comprenderla, le persone sentano prima di tutto il bisogno di fuggire da sé stesse. Che si tratti di uscire dalla giungla suburbana o di partire per continenti lontani, il viaggio di Karim è il viaggio di ognuno di noi, quello che abbiamo intrapreso, magari già completato o che dobbiamo ancora decidere di iniziare. 

La capacità di Kureishi di farci identificare con un adolescente metà pakistano e metà inglese, probabilmente bisessuale, che non sa bene cosa vuole è la formula che rende Il Budda delle periferie così attuale, nonostante le atmosfere retrò e le tematiche trattate. O forse, anche grazie a quelle.

Rielaborazione grafica a cura di Noemi D’Atri.