Cari saluti dall’apocalisse: Rimini di Pier Vittorio Tondelli

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Di recente, per puro caso, mi sono imbattuta nelle fotografie di un fotoreporter della Riviera romagnola, tale Pasquale Bove. I suoi scatti, che ritraggono l’incredibile fauna della Rimini degli anni Ottanta, mi hanno colpito, ma non riuscivo a capirne il motivo. Non sono mai stata a Rimini e sono nata negli anni Novanta: quelle immagini non potevano raccontare qualcosa di me. Eppure più le guardavo, più le trovavo familiari.

In particolare, mi sono concentrata su uno scatto. Era la foto di un cameriere in riva al mare, davanti a una tavola carica di candelabri, mentre sullo sfondo i bagnanti sfilavano tra le sdraio, e ho pensato che non mi era nuovo. Non l’immagine in sé, quanto il sentimento. Quell’emozione che plasma un’epoca – lo Zeitgeist – mi era nota. Perché, sebbene non avessi vissuto quei tempi e quei luoghi, avevo letto un libro che li aveva raccontati con un’intensità tale da scolpirmeli dentro, da qualche parte. Un libro che è un’istantanea, una partitura sinfonica e anche una sfida personale: Rimini di Pier Vittorio Tondelli.

Rimini: la rivoluzione tondelliana

Pier Vittorio Tondelli è uno scrittore emiliano attivo negli anni Ottanta. Erroneamente passato alla storia come enfant terrible, è in realtà un narratore misurato, profondamente consapevole delle sue scelte e del mezzo con cui comunica. Ma Tondelli è anche un giornalista attento. Lo attesta la raccolta di articoli e frammenti intitolata Un weekend postmoderno, un volume di circa seicento pagine in cui il suo talento di certosino osservatore della realtà emerge chiaramente. Tutte queste sue sfaccettature cooperano nella progettazione di Rimini.

Alle spalle, Tondelli aveva il successo e gli scandali suscitati da Altri libertini, il suo libro di esordio per Feltrinelli: un magma da cui prorompe la realtà della provincia claustrofobica e dei giovani tossici che la abitano, raccontata con un linguaggio crudo e sconvolgente che punta a demolire l’italiano standard.

Nel 1985, però, Tondelli è cresciuto. Ha abbandonato Feltrinelli per Bompiani – anche se non ha smesso di consultare il suo vecchio editor, Aldo Tagliaferri. Ora è alla ricerca del best-seller. Siamo alle porte dell’estate e l’idea è quella di vedere Rimini sotto gli ombrelloni, tra le mani dei bagnanti che da giungo a settembre colonizzano le spiagge italiane. In previsione di ciò, a maggio si parla anche di un’intervista lancio a Domenica In con Pippo Baudo, poi saltata per quelle che sembrano ragioni politiche e censorie. Ma in fondo Tondelli può farne a meno: Rimini riscuote comunque un grande successo di pubblico.

La critica, invece, sembra un po’ meno entusiasta. Certo, per la prima volta Tondelli punta a qualcosa di più canonico, un romanzo tradizionale scritto in un italiano meno sperimentale, ma non significa che abbia abbassato il tiro. Come abbiamo detto, Tondelli è uno scrittore consapevole e raffinato. Allora Rimini diventa un’occasione da cogliere a tutti i costi, una grande scommessa con se stesso. È un modo per sperimentare nuove forme espressive e mettersi alla prova scrivendo di personaggi che non appartengono alla sua sensibilità o che non condividono le sue idee. Tondelli ha in mente un progetto ambizioso. Perché quando pensa a Rimini non ci sono semplici pagine di fronte a lui, ma una vera e propria partitura.

Una sinfonia polifonica

Tondelli lo ripete ovunque, fino allo sfinimento: Rimini è una sinfonia polifonica. La trama del romanzo infatti è una pluralità di storie, perché è questa la Riviera: un’intricata trama di vite vissute. Rimini, perciò, racconta sei storie diverse.

C’è quella di Marco Bauer, un reporter milanese che approda in Romagna per riorganizzare la redazione della Pagina dell’Adriatico e che si ritrova a investigare su un misterioso omicidio politico. C’è quella di Beatrix, un’antiquaria berlinese che è costretta a rincorrere in Italia il fantasma sfuggente della sorella minore, Claudia, giovane, ribelle e tossicodipendente. C’è quella di Robby e Tony, uno sceneggiatore, l’altro regista, che battono le spiagge per raccogliere i finanziamenti necessari a produrre un film. C’è quella di Alberto, un sassofonista di nightclub che dedica le sue albe a una storia d’amore impossibile. C’è quella di Bruno May, uno scrittore omosessuale segnato dal peso di un amore tanto intenso quanto tragico. Infine, quella narrata da un ragazzino rabbioso cresciuto in una pensioncina di famiglia, che Tondelli inserisce in corsivo come intermezzo tra le tre sezioni del suo romanzo.

La struttura è complessa. Tre parti – In un giorno di pioggia, Rimini e infine Apocalisse, ora – come tre cantiche in cui il movimento infernale della Riviera si fa sempre più spericolato. Al loro interno i capitoli vengono montati come scene di un film che alterna sullo schermo le avventure di un personaggio prima di mostrarne un altro. Un gioco di pause e di attese, abilmente orchestrato per rendere l’idea di una variegata coralità. Quando scrive, Tondelli tiene sempre a mente il suo obiettivo: fare un romanzo sinfonico.

Infatti, sullo sfondo di una Riviera illuminata da luci al neon, il caldo denso e polveroso è tagliato dalla musica. I tormentoni della radio e il punk-rock si mescolano alla mazurka romagnola, mentre le sonate del sassofonista fanno da contrappunto all’andamento della narrazione. E poi c’è la musica che Tondelli ascolta nei quattro mesi in cui lavora alla stesura del romanzo. Quella soundtrack ideale che Fulvio Panzieri, editor e beneficiario del lascito artistico di Tondelli, ha riportato all’interno del curatissimo paratesto dell’edizione Bompiani.

L’epitome del postmodernismo

Tondelli è un osservatore. Vuole raccontare il mondo per come è. Ma la realtà è complessa, è eterogenea. La Riviera, in questo senso, è un correlativo oggettivo perfetto. Un brulichio di anime, una pluralità di esperienze e di sentimenti.

Ciò che ne risulta non può che essere un’epitome del postmodernismo. Rimini è un contenitore in cui Tondelli ha sapientemente miscelato molte trame, molti stili, molti generi e molti registri espressivi. In Rimini c’è il giallo politico, c’è la commedia sentimentale, c’è il romanzo esistenziale, c’è l’indagine sociale. La penna cambia inclinazione e le pagine a volte sono scritte in stile comico, altre in quello drammatico. A volte, invece, predomina il lirismo, altre l’erotismo esplicito di una scena di sesso (non sempre perfettamente riuscita, a mio avviso), mentre sul finale trionfa lo stile apocalittico.

«La Riviera aveva un aspetto prodigioso. Verso il promontorio di Gabicce s’addensavano nuvoloni neri e gravidi di pioggia. A Rimini, invece, una luce spettrale e metallica illuminava tratti di spiaggia e di mare. Oltre, verso Cesenatico, altri nuvoloni, altri raggi di sole, altri squarci argentei. La linea del mare pareva un neon acceso. Una striscia di chiarore pallidissimo e freddo separava infatti la linea color mercurio delle acque da quella gonfia e sinuosa del cielo.»

P.V. Tondelli, Rimini, Milano, Bompiani, 2015, pp. 115-116.

La pluralità è un valore che Tondelli ha appreso al di fuori della letteratura tradizionale. Nel pieno spirito del postmodernismo, infatti, lo scrittore guarda altrove, soprattutto al fumetto e al cinema: «ho bisogno di far trame, di raccontare, di scandire i rapporti tra personaggi. Il fumettone mi va benissimo […]» (P.V. Tondelli, Rimini, Milano, Bompiani, 2015, p. 334). Un’innovazione che è in realtà una tecnica antichissima. Infatti l’accostamento di vignette e lo stacco brusco tra scenari diversi è prerogativa di un’espediente della letteratura classica, il centone. Il presente e l’attualità al fianco degli echi classici e mistici: questo mescolamento caotico tra l’alto e il basso è l’essenza del postmodernismo.

L’apocalisse è ora

Tondelli, a livello formale, ha accantonato l’intento scandalizzante. Ma non ha rinunciato all’imperativo di mostrare la realtà delle cose, anche nel loro aspetto più scabroso. Infatti Rimini, non troppo oscuramente, è un romanzo di critica sociale. Ci sono le aspettative frustrate dei singoli individui, che inseguono un successo inconsistente, o addirittura maledetto, come fa Marco Bauer. Poi ci sono le turpitudini del sistema, che non è semplicemente composto da politici corrotti, ma è guasto fin nelle dinamiche che lo governano.

Sullo sfondo delle vicende particolari, poi, c’è il tema della psicosi collettiva. Un profeta moderno, infatti, annuncia come la fine del mondo sia prevista proprio a Rimini in quei giorni. L’isteria di una millantata apocalisse spinge i bagnanti a mettere a ferro e fuoco la Riviera, salvo poi ritornare quietamente alla normalità la mattina successiva. Rocamboleschi assalti al treno, culti millenaristi accampati in spiaggia, attacchi terroristici, ingorghi incredibili e scorribande di piromani e delinquenti. Un baccanale illumina la notte sulla Riviera: «tutti i segreti si rendevano palesi, le voglie scoppiavano, i desideri straripavano dalle intimità.» (P.V. Tondelli, Rimini, Milano, Bompiani, 2015, p. 307).

Rimini è la Babilonia estiva delle vacanze. Una Babilonia provinciale in cui si mescolano proletari e noti politici, turisti stranieri e piccolo-borghesi nostrani, in cui si vive all’insegna della frivolezza, della futilità e dell’insensatezza. Rimini è un fenomeno di costume complicato, che negli anni Ottanta evoca lo spettro del fellinismo e insieme quello dei tossici, delle prostitute e dei travestiti. È un luogo dell’immaginario nazionale: un’isola di conformismo sfolgorante, in cui «la massa si cuoce e rosola, gli eroi sparano a Dio le loro cartucce.» (P.V. Tondelli, Rimini, Milano, Bompiani, 2015, p. 334). A Rimini, alla metà degli anni Ottanta, l’Italia chiude i battenti, scivolando lentamente verso la disfatta, verso quegli anni Novanta che segnano la fine della Prima Repubblica e la crisi di ogni ideologia.

Un gioco di specchi: Rimini e Italy&Italy

Le atmosfere decadenti e l’italianità folle del romanzo di Tondelli, per uno strano gioco del destino, sembrano condensarsi nelle fotografie di Pasquale Bove.

Bove lavora per quasi quarant’anni per Il Resto del Carlino, inseguendo le notizie – esattamente come i corrispondenti della Pagina dell’Adriatico – e raccogliendo più di 200.000 fotografie. Ha archiviato tutto, dividendo gli scatti per argomento: retate, prostituzione e droga, incidenti stradali, eventi mondani.

Nel 2016 Luca Santese, fotografo fondatore del collettivo Cesura, seleziona 336 foto dall’archivio di Bove per costruire una storia. Nasce Italy&Italy, il racconto di un’Italia che collassa. Ancora una volta si tratta di un’operazione postmoderna: Italy&Italy, come Rimini, è un centone fatto di ritagli cuciti insieme, che assumono senso solo nella dimensione extra-testuale della lettura.

Italy&Italy è un reperto di archeologia, l’iconografia di un’Italia familiare e insieme scomparsa, un tentativo di rafforzare una memoria collettiva varia e avariata. Soubrette che sguazzano negli spaghetti, matrimoni provinciali, prostituite in déshabillé, celebrità estasiate, politici in giacca e cravatta, manifestazioni di orgoglio collettivo. È un sunto di tutto ciò che accade sotto le insegne al neon della Riviera. Un sunto iconico, come la foto della famiglia a pranzo all’Italy & Italy, il primo fast food italiano. Un sunto esaustivo, come le pagine di Rimini di Pier Vittorio Tondelli.

Uno strano parallelismo, o una coincidenza fortunata. Due autori, Tondelli e Bove, con i loro media prediletti: la scrittura e la fotografia. Due progetti postmodernisti che si svolgono sotto gli occhi attenti e vigili di fini osservatori della realtà. Ma uno solo è il soggetto: il proscenio di una grande epopea marittima e vacanziera nazionalpopolare. È Rimini, con la sua mondanità da rotocalco e il suo mare metallico gremito, con le sue atmosfere di follia controllata e la sua anima apocalittica.

Illustrazione a cura di Francesca Pisano.