Un viola forte, acceso, vivace: intervista a Viola Bartoli

Un viola forte, acceso, vivace: intervista a Viola Bartoli

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In questo tempo fatto di incertezza, in cui non sappiamo bene cosa ci aspetti all’orizzonte, Galleria Millon ha deciso di abbassare lo sguardo per concentrarsi su quello che è in prossimità. È questo il senso del tema del mese, il Made in Italy: scoprire e ri-scoprire i tesori che già sono in nostro possesso, e valorizzarli ora che ne hanno più bisogno che mai.

Non ci poteva essere occasione migliore per fare una chiacchierata con Viola Bartoli, una giovanissima illustratrice esordiente. Viola, classe 1993, nata a Pesaro, ci ha accolto virtualmente nella sua casa, con un sorriso timido ma tanta voglia di raccontarci qualcosa di sé e della sua carriera agli albori.

Come è nata la passione per l’illustrazione?

Non ricordo di preciso; so che mi è sempre piaciuto disegnare. Da bambina, ricordo che passavo interi pomeriggi a disegnare. Quando ero in quarta elementare, ci ha fatto lezione Giuliano Ferri, un illustratore pesarese. La nostra classe doveva creare un libro e Ferri era venuto per tenere un mini corso di illustrazione. 

Ricordo che mi sono gasata tantissimo, ed è tutto nitido, come fosse ieri pomeriggio. C’era questa mia amica – fortunata, lei – che doveva fare il mare, mentre io dovevo disegnare la facciata della scuola: una tristezza infinita. Ferri ha guardato il mio disegno e mi ha rimproverata, perché sopra l’edificio avevo messo un cartello con scritto “scuola”. «Non ci devi scrivere “scuola”, non è un supermercato!», e così è rimasto un quadrato giallo con niente sopra. Ecco, questa esperienza mi ha fatto capire cosa volessi fare da grande.

Qual è stato il tuo percorso di studi?

Ho frequentato l’Istituto d’arte Mengaroni di Pesaro, indirizzo grafica pubblicitaria, e mi è servito a capire che il computer non era lo strumento che volevo usare nella vita. Dopo il liceo, mi sono iscritta al Corso biennale di perfezionamento della Scuola del libro di Urbino. È una scuola stranissima, fuori dal comune, che prevede questi due anni dopo la maturità in cui si disegna ventiquattro ore su ventiquattro: esattamente quello che volevo fare io.

Per alcuni anni, poi, ho lavorato con i bambini, insegnando tecniche come la serigrafia, l’incisione e la decorazione della ceramica, e ho partecipato alla summer school della Scuola di illustrazione Ars in Fabula di Macerata. Poi mi sono iscritta all’Accademia delle belle arti di Urbino e mi sono laureata online proprio durante l’ultima sessione. 

La mia passione è sempre stata l’illustrazione, ma mi interesso anche al fumetto e all’animazione. Insomma, qualsiasi attività che abbia a che vedere con il disegno.

Viola Bartoli, Macchina gialla

Come definiresti il tuo stile? Chi sono i tuoi modelli?

Ho qualche difficoltà a rispondere. Infatti, quando guardo i miei lavori, non riesco a riconoscere uno stile preciso. Ad esempio, se devo illustrare un romanzo di Cassola, preferisco puntare su un disegno più rapido, mentre quando illustro Cheever scelgo uno stile completamente diverso, perché sono gli autori a richiedere cose diverse. Chi guarda le mie opere dice di riconoscere uno stile, ma io non riesco a vederlo. Certo, ci sono alcuni elementi ricorrenti, come i colori vivaci. Mi piace usare colori forti, accesi, e dare un aspetto realistico alle cose. 

Non ho dei veri modelli, ma ci sono degli artisti che mi piacciono molto, come Pablo Auladell, Quentin Blake, Manuele Fior, Beatrix Potter – anche se è tanto diversa da me –, e due artiste come Silvia Rocchi e Viola Niccolai, che invece sono più “pittoriche”, come me.

Mi hanno detto che i miei disegni ricordano Edward Hopper, e mi fa piacere perché, effettivamente, tra i pittori è uno di quelli che mi sono più cari, insieme a Fairfield Porter. Ecco, questi sono i miei autori preferiti, che poi forse sono anche un po’ dei modelli, perché quando ti piace così tanto uno stile, un disegno, l’ammirazione e l’interesse sono talmente grandi che provi a modo tuo a rifarlo.

Che strumenti usi per disegnare?

Con il computer, come ti dicevo, non ho un grande rapporto. Lo so, dovrei aggiornarmi. Non uso la tavoletta grafica, e apro Photoshop solo per modificare i colori delle tavole, se qualcosa non mi piace.

Ultimamente, uso molto gli acrilici. Adopero anche i colori a olio, ma con gli acrilici mi trovo meglio: mi danno più libertà, una bella spinta di colore. Anche gli acquerelli mi piacciono, ma li trovo un po’ troppo spenti, leggeri, velati. Perciò gli acrilici rimangono il mio strumento preferito, per adesso. Ma magari l’anno prossimo cambierò idea.

Qual è stata la tua prima occasione per metterti alla prova?

Ho trovato un concorso su Facebook. Si trattava di una rivista letteraria bilingue, The FLR, che cercava un esordiente per illustrare il suo primo numero. The FLR collabora con autori italiani, spesso famosi, che propongono opere di una certa qualità, accompagnate dalla traduzione in inglese; ogni anno indice un concorso per scegliere l’illustratore che si occuperà della copertina e dei disegni che affiancheranno i testi. Mi è piaciuta tantissimo l’idea di dover abbinare i miei disegni ai racconti. Così mi sono detta: «Ci provo», tanto bastava mandare il portfolio.

Dopo non molto mi hanno contattata: erano rimasti molto colpiti dal mio lavoro. Quando mi hanno scelta, non ci credevo. Ho preparato alcuni bozzetti, che sono stati approvati. Per me è stato tutto nuovo: sono stata a Firenze, ho partecipato alla presentazione, e mi sono accorta che in fin dei conti anche per loro era lo stesso. È stata una bella esperienza: ho avuto l’opportunità di leggere racconti inediti di autori molto capaci, ma soprattutto mi hanno lasciato la piena libertà nel decidere come interpretarli. Anche se dovevo cercare di dare una certa omogeneità al tutto, ad esempio nella caratterizzazione dei personaggi o nella scelta dei colori, non ho avuto grandi limitazioni. Sono contentissima di questa esperienza. E poi, il mio numero ha fatto il sold out.

Viola Bartoli Macchina gialla
Viola Bartoli, Macchina gialla

Oltre ai concorsi, in che modo sei riuscita a realizzare i tuoi progetti?

Tramite varie collaborazioni. Di solito, questi progetti nascono in seguito agli incontri che avvengono davanti ai banchetti dei festival. I contatti si creano così, in questo mondo. Ad esempio, insieme a Incubo alla balena, un collettivo di artisti che lavorano tra Rimini e Riccione, ho pubblicato A seguire i ghepardi, un libro-leporello stampato in serigrafia a due colori su carta Alga. Ma ho avuto anche la possibilità di autoprodurre alcuni miei lavori, come Macchina gialla, un fumetto che tratta il tema dell’abbandono di un posto caro.

Hai fatto parte del gruppo di illustratori che si sono esibiti sul palco del MI AMI 2019. Com’è nata e come hai vissuto questa esperienza?

Mi ha invitata Alessandro Baronciani. È di Pesaro, come me, e ci conosciamo da tempo. Nel 2019 Baronciani era direttore artistico del festival e ha deciso di invitare degli illustratori per fare live painting durante le esibizioni musicali. Per me era una cosa nuova e, quando mi ha spiegato cosa dovevo fare, avevo un po’ di ansia. Io sono meticolosa, mi piace concentrarmi sui dettagli, e questo mi rende lenta. In questa occasione, invece, dovevo velocizzarmi; così nelle settimane precedenti ho fatto pratica, per adattarmi senza rinunciare al mio stile. 

Ho disegnato per Maggio, un rapper milanese, e la sua crew, la Klen Sheet, sul palco WeRoad, quello degli esordienti. Ogni illustratore poteva fare quello che preferiva: collegarsi ai testi dei brani o disegnare cose sconnesse; usare il pc, fare collage, dipingere. Non conoscevo Maggio e l’ho incontrato per la prima volta nel backstage, ma prima del festival ho ascoltato la sua musica per prepararmi. Non sapevo la scaletta, quindi non potevo essere specifica, ma mi è sembrata musica potente, forte, e mi è piaciuta. Così ho deciso di fare un excursus su quella che per me che è musica “focosa”.

Ho preparato delle tavole di partenza, su cui avevo disegnato un vinile, una musicassetta o un iPod, e durante il live ho riprodotto alcuni successi musicali, scegliendoli tra quelli che avevano in copertina immagini di fuoco. Ad esempio, ho disegnato la cover di Wish You Were Here dei Pink Floyd e una canzone di Madonna, in due colori. Dopo l’esibizione, Baronciani ha organizzato una battle che ha chiamato “serigrafie selvagge”: alcune stamperie di Pesaro e Milano si sono sfidate in una gara di velocità in cui vinceva chi realizzava più rapidamente la serigrafia dei disegni proposti dagli illustratori. È stata un’idea carina e una bella occasione per mostrare la capacità di tutti questi artisti.

Ora che ti sei laureata, come impegni il tuo tempo?

Attualmente, sto preparando il materiale per partecipare ad alcuni concorsi. Uno di questi è organizzato da una casa editrice di fumetti lettone, la Kuš! Komikss, che ho conosciuto a BilBolBul – il festival internazionale del fumetto che si tiene ogni anno a Bologna – e ho iniziato a seguire sui social. Inoltre, sto collaborando con The Apostrophe Project, un gruppo di ragazzi di diverse nazionalità che scrive articoli illustrati sull’attualità a cadenza settimanale.

Un altro progetto a cui sto partecipando è “This is not a love song”, un’autoproduzione editoriale ideata da Andrea Provinciali. Provinciali mi ha chiesto di scegliere, a partire da una lista di canzoni, quella che più mi piaceva e di illustrarla come preferivo. Io ho scelto Pezzi di vetro di De Gregori, che è uno dei miei autori preferiti. Il prodotto finale è una musicassetta, con l’involucro classico, ma dentro, invece del nastro, c’è un pieghevole illustrato che spiega la canzone. Ho apprezzato la libertà che questo progetto dà agli artisti. Ascoltando Pezzi di vetro, io ho immaginato un ragazzo al fiume, perché la mia mente è andata in quella direzione, ma un altro avrebbe potuto fare una scelta completamente diversa.

Viola Bartoli The FLR
Viola Bartoli, The FLR

Che progetti hai in cantiere in questo momento?

Appena si ristabilisce la normalità, vorrei stampare il mio fumetto di laurea. È basato su un racconto di John Cheever, Addio, fratello mio. Mi ha folgorato, l’ho trovato bellissimo. È ambientato in una casa al mare, in Massachusetts, e parla di una famiglia apparentemente perfetta che in realtà nasconde profondi difetti e antipatie radicate. È una storia familiare che finisce con un colpo di scena. Ho cercato di adattarla, ma ho anche cambiato un po’ la storia.

Adesso, invece, sto disegnando per un concorso un fumetto che ha per tema la fine. Ognuno può interpretarlo come meglio crede: la fine di non si sa cosa, di quello che vuoi. Non so nemmeno io come finirà, sto decidendo come procedere man mano.

Quali sono le sue aspirazioni future, il tuo sogno nel cassetto?

Il mio sogno nel cassetto è fare una copertina per il New Yorker. Anche se mi chiamassero a ottant’anni, andrebbe benissimo! Per quanto riguarda le mie aspirazioni future, invece, non mi dispiacerebbe tenere una personale. Ho già molte cose: tengo tutti i miei originali. Ad aprile ne ho donati due per le aste benefiche tenute dall’Ospedale San Salvatore di Pesaro e dall’Ospedale Infermi di Rimini, ma è stato l’unico caso in cui sono riuscita a separarmi dai miei lavori. Comunque, se penso al mio futuro, quello che vorrei fare è diventare un’illustratrice di professione. Riuscire a mantenermi disegnando, senza fare un doppio lavoro. Magari!

Illustrazioni di Viola Bartoli.