La fragile natura terrestre dell’uomo: intervista al fotografo Emanuele Mariotti

La fragile natura terrestre dell’uomo: intervista al fotografo Emanuele Mariotti

Reading Time: 7 minutes

Dopo il successo delle mostre temporanee Viola acceso e Millon Comics & Pride, il nostro Curatore ha deciso di chiudere il mese di giugno con una mostra fotografica dedicata a Emanuele Mariotti.

Classe 1994, romano de Roma, Emanuele Mariotti ci ha accolti nella sua mansarda affacciata sui tetti della capitale; presente in molti dei suoi scatti, quel sottotetto con quel piccolo lucernario è ormai un segno distintivo della sua produzione artistica.
Gli scatti di Emanuele spiccano per le tonalità cupe e l’attento studio della luce, per un’intimità ricercata, per la presenza costante del corpo umano in simbiosi con l’ambiente circostante.

Un animo delicato da cui traspare la volontà di farsi conoscere, di farsi esplorare. Un giovane talento che diffonde il Made in Italy nel mondo.

Domanda banale, ma di rito. Quando e come è nata la tua passione per la fotografia?

La passione per la fotografia è nata grazie a mia sorella Benedetta. Al suo diciottesimo compleanno le regalarono una reflex, una Nikon D3100: erano i tempi in cui le reflex spopolavano sul mercato. Da subito Benedetta ha condiviso con me la sua macchinetta, che presto è diventata anche mia. La portavamo sempre con noi, e dopo poco tempo abbiamo iniziato a capire che la ritrattistica era l’ambito che ci piaceva di più.

Iniziando a fotografare principalmente noi stessi e i nostri amici, abbiamo sviluppato il nostro senso artistico e l’occhio fotografico. All’inizio era per lo più un gioco, ma ben presto è diventato una passione che siamo poi riusciti a far evolvere anche in lavoro. Da quando abbiamo iniziato non abbiamo mai smesso; la macchina fotografica è diventata la nostra migliore amica. Presente in ogni situazione, la fotografia è la nostra passione: ogni giorno si fa più forte, e permea le nostre vite. 

Il tuo percorso di studi è stato completamente slegato dalla fotografia: da pochi mesi ti sei laureato in Psicologia. Quanto influisce la tua formazione universitaria sulla tua ricerca artistica?

A livello di pancia ti direi che non influisce per niente. Ho sempre voluto tenere separate le due strade, intendendo la psicologia come un percorso di studi interessante ma non declinabile nella fotografia.

Di contro, la fotografia è sempre stata la mia più grande passione, la cosa verso cui mi sento naturalmente incline: nel tempo libero quando non dovevo studiare, nei viaggi, insomma, in ogni ritaglio di tempo c’era e c’è la fotografia. La psicologia invece è sempre rimasta legata strettamente al dovere universitario

Detto questo, posso razionalmente dire che il percorso di studi che ho fatto ha influito e influisce nel modo che ho di fotografare e guardare il mondo: sono da sempre attratto dalla fragilità umana, ho sempre adorato fotografare persone in pose che rivelassero una certa vulnerabilità, mi piacciono le atmosfere cupe e misteriose, tutte cose che mi fanno pensare alle nostre turbe psichiche, nonché all’inconscio. L’attenzione per l’umanità che riservo nelle mie fotografie è in parte anche frutto dell’influenza della psicologia.

Credi che la fotografia possa essere uno strumento utile per poter superare momenti di difficoltà e, magari, ritrovare se stessi?

Assolutamente sì! Ho sempre usato la fotografia come strumento di comunicazione. Mi ha aiutato nel processo di coming out, uno dei momenti più difficili e intensi che ho mai vissuto. 

La fotografia, come ogni passione, può aiutare a guardarsi dentro e a farsi guardare dagli altri. Sia che fotografi persone, sia che fotografi te stesso, sia che fotografi paesaggi o qualsiasi altro soggetto, c’è sempre una parte di te che accompagna i tuoi scatti, i tuoi sentimenti e pensieri. Riguardando le foto scattate si può scrutare dentro se stessi e, magari, mettere a fuoco sensazioni e sentimenti che prima non si riusciva a focalizzare. Per me, ammirare i lavori di altri fotografi ha sempre avuto un effetto placebo. Riempirsi gli occhi della bellezza generata dagli altri è da sempre una grande fonte di ispirazione, speranza e voglia di fare di più e al meglio.

Cosa cerchi di trasmettere attraverso le tue foto? Io leggo una profonda intimità, racchiusa in una labile malinconia, in cui cerchi di attirare chi le osserva; e questa sensazione è amplificata dal fatto che spesso i soggetti ritratti siete te e Francesco, il tuo fidanzato.

Come dicevo anche prima, della fotografia mi hanno sempre affascinato la vulnerabilità umana e la fragilità; sono caratteristiche che cerco sempre di ritrovare quando scatto, assieme alla delicatezza. È comunque difficile spiegare questa attrazione, è sempre stata qualcosa di irrazionale, una forza interna che mi spinge in una determinata direzione. 

Sia in fase di scatto e sia in fase di post-produzione, mi faccio ispirare dalla musica – quella malinconica è la mia preferita, è in grado di toccare quelle corde profonde dell’animo in cui trovo maggiore ispirazione. Inoltre, mi piace molto sottolineare la “natura terrestre” dell’uomo, il suo legame inscindibile con la natura che lo circonda. Fotografare il nudo e l’intimità umana per me significa anche questo. È soprattutto grazie agli autoritratti – o alle foto che faccio a Francesco – che sento di riuscire a comunicare questa mia attrazione per l’intimità umana, tirando fuori sentimenti ed emozioni che a volte sono difficili da verbalizzare. 

Assieme a Benedetta, tua sorella, hai creato il progetto BEM PHOTOGRAPHY. Ti andrebbe di spiegare ai nostri lettori in cosa consiste? Inoltre, cosa accomuna te e tua sorella dal punto di vista fotografico?

Avendo iniziato a scattare assieme a lei, la fotografia è sempre stata un forte anello di congiunzione tra di noi. Quando abbiamo capito che la fotografia sarebbe stata più di un semplice gioco; grazie anche ai riscontri positivi ricevuti, abbiamo sviluppato il nostro brand, BEM PHOTOGRAPHY, il cui nome non è altro che l’acronimo dei nostri nomi: Benedetta ed Emanuele Mariotti. 

BEM è nato come la voglia di creare ritratti per valorizzare i nostri amici e raccontare qualcosa. Con il tempo hanno preso forma progetti sempre più concettuali, in cui emergevano spesso l’intimità, la malinconia, il legame con la natura e la fragilità, tutti quegli elementi che sono ancora ben presenti nel mio modo di fotografare. A oggi, BEM continua a essere il nostro grande progetto comune che, nonostante i mille impegni di entrambi, cerchiamo sempre più di curare e rendere concreto. 

Chi sono le tue fonti di ispirazione? Uno, e credo di non sbagliare, è Paul Freeman, per cui hai posato lo scorso anno.

Esattamente. Ho sempre ammirato le fotografie di Paul, e quando mi ha chiesto di posare per lui non ho potuto crederci. Trovo che la possibilità di posare per i fotografi che ammiro sia una delle più grandi fortune che abbia mai avuto: assistere in prima persona al processo creativo di artisti che si stima è sempre fonte di grande ispirazione. 

Oltre a Paul c’è sicuramente Alessio Albi, di cui ho sempre ammirato il senso estetico e la delicatezza delle immagini, tanto da partecipare anche a un suo workshop qualche anno fa.
Potrei citare altri mille fotografi che, attraverso i social, ogni giorno mi ispirano. Eccone alcuni: Annie Leibovitz, Marta Bevacqua, Nicholas Fols, Paolo Barretta, Alex Stoddard, Georgia Rosie Hardy, Fran Mart.

In quanto giovane talento italiano, come credi possa evolvere la fotografia, e più in generale l’arte, nel nostro Paese?

L’Italia è la culla dell’arte, a partire dai numerosi tesori che risiedono nelle nostre città. Sinceramente non so cosa aspettarmi, dal momento che il mondo si muove sempre più velocemente e ogni giorno escono svariate novità tecnologiche che rivoluzionano sempre tutto.

È difficile quindi immaginare come evolverà il futuro della fotografia e dell’arte in Italia, ma coltivo la speranza che sia sempre riservato loro uno spazio meritevole, perché l’Italia e il mondo intero hanno bisogno della bellezza, dell’arte.

Dal punto di vista artistico come hai vissuto i mesi della quarantena?

Devo dire molto bene. Quando fotografo amo prendermi i miei tempi e lasciarmi ispirare dalle situazioni che si creano. Grazie ai lunghi tempi della quarantena ho avuto modo di osservare e lasciarmi ispirare dalla luce. Sono un ricercatore seriale di raggi di luce e durante la quarantena, anche grazie alla casa in cui vivo che mi ha offerto molti spunti creativi, ho potuto studiare con calma le strade che la luce percorreva e le diverse forme che assumeva durante i vari momenti della giornata. 

La quarantena è stato un momento tragico, ha portato ognuno di noi a reagire in maniera diversa, ma allo stesso tempo simile: la paura, l’attesa, l’incertezza del futuro sono stati gli elementi che ci hanno accomunato. Vivere la casa così intensamente e la fortuna di poterla vivere con la persona che amo mi hanno ispirato profondamente. Ho cercato di materializzare la quasi assenza dello scorrere del tempo, che in casa sembrava muoversi più lento che mai, l’attesa e la speranza di un futuro migliore per tutti.

Altra domanda di rito: quali sono i prossimi progetti per il futuro?

Ne ho sempre tanti in testa, la maggior parte purtroppo rimane inespressa. Un progetto su cui voglio cimentarmi è in collaborazione con una ragazza, Lucie, che fa la costumista e ha ideato un abito con un materiale che si dissolve a contatto con l’acqua. Non vedo l’ora di far prendere forma a questo progetto e vedere cosa ne uscirà fuori.

Da qualche tempo, per fortuna o purtroppo, anche a causa della mia scarsa capacità organizzativa, tendo a non organizzare i progetti ma a lasciarmi ispirare dai momenti, dalle situazioni che si creano con determinate persone in determinati momenti. Dico “per fortuna” perché grazie a questa modalità carpe diem non mi blocco più e sono in grado di produrre contenuti senza dover aspettare le condizioni perfette per scattare; dico “purtroppo” perché mi rimane il desiderio di riuscire a organizzare gli shooting con calma, fare le cose fatte bene e come voglio io. Ma c’è sempre tempo per migliorare e migliorarsi.

Fotografie di Emanuele Mariotti.
Collage a cura di Caterina Cornale.